Il sentiero dei giusti - Mesilat Yesharim Ramchal: Rabbi Moshe Chaim Luzzatto Capitolo 2: La Prudenza (Zehirut)



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Traduzione di Ralph Anzarouth


La Prudenza (Zehirut)


Il concetto di prudenza1 significa che l'uomo deve prestare attenzione ai propri atti e a tutto ciò che lo riguarda; cioè, deve osservare e verificare le proprie azioni e le proprie scelte: sono esse buone oppure no? Questo, per evitare di esporre la propria anima al pericolo di estinzione, che D-o ce ne guardi. E non bisogna agire sotto l'impulso delle abitudini, come un cieco nell’oscurità.


E la ragione certamente impone questa attitudine. Poiché, dato che l'uomo è in possesso di conoscenza e di capacità intellettuali tali da potersi salvare ed evitare la perdita della propria anima, come potrebbe scegliere di ignorare la propria salvezza? Non esiste di certo peggiore abiezione e follia! E colui che si comporta in questo modo vale meno delle bestie e degli animali, i quali per natura cercano la propria sopravvivenza, e perciò scappano per evitare tutto ciò che considerano una minaccia per la loro incolumità.


E colui che conduce la propria esistenza senza verificare se il proprio comportamento sia buono o cattivo è come un cieco che cammina sugli argini di un fiume: certamente si trova in grandissimo pericolo e ha più probabilità di soccombere che di salvarsi. Poiché infatti la mancanza di attenzione è la stessa, che sia dovuta a motivi naturali o a una cecità volontaria, cioè quando si chiudono gli occhi per scelta e per volontà.


E infatti [il profeta] Yirmiah (Geremia) si lamentava della malvagità dei suoi contemporanei, affetti da questo difetto, poiché distoglievano il loro sguardo dalle proprie azioni, senza analizzarle per decidere se queste meritassero di essere compiute o meno. E di loro disse (Geremia 8, 6): "Nessuno si rammarica per la propria malvagità, [...] tutti continuano a correre come un cavallo che si lancia in battaglia". Ciò significa che rincorrevano di continuo le proprie abitudini e le consuete usanze, senza dedicare tempo a valutare i propri atti e il proprio comportamento e incorrevano così nel male senza prevederlo.


E infatti questo è proprio uno dei trucchi e una delle astuzie dello "Yetzer Harà", l'istinto malvagio: aggravare continuamente la pressione sullo spirito degli esseri umani finché non rimane loro nemmeno un attimo per riflettere e pensare alla strada che stanno percorrendo. Questo, perché [lo Yetzer] sa che se essi prestassero una pur minima attenzione al loro percorso, sicuramente comincerebbero subito a pentirsi dei loro atti, e il loro pentimento aumenterebbe progressivamente fino all'abbandono totale del peccato. E questo assomiglia al piano di Faraone il malvagio, che disse (Esodo 5,5): "Che il lavoro 2 degli uomini sia reso più difficile ecc.", perché non intendeva lasciare loro nemmeno un istante per rendersi conto [della loro condizione] o per ordire un piano contro di lui. Invece, attraverso l'effetto del lavoro continuo e incessante, egli si sforzava di distogliere la loro attenzione da qualsiasi riflessione. Proprio in questo modo funziona la trama dello Yetzer Hara nei confronti dell'uomo. Perché è un combattente bellicoso e un esperto in stratagemmi: non gli si può sfuggire se non con grande ingegno e molta attenzione.


Ed è per dire questo che tuonava il profeta (Chaggay 1,5 e 1,8): "Fate attenzione al vostro comportamento!" E il re Salomone disse con la sua saggezza (Proverbi 6, 4-5): "Non concedere il sonno ai tuoi occhi né il torpore alle tue palpebre: mettiti in salvo come il cervo ecc.". E i nostri Maestri dissero (Talmud Bavli, Trattato di Moed Kattan, foglio 5a): "Chiunque si prenda cura della propria condotta in questo mondo meriterà di vedere la salvezza del Santo, benedetto Egli sia".3


Ed è chiaro che perfino se si bada a sé stessi, non è possibile salvarsi senza l'aiuto del Santo, benedetto Egli sia, perchè l'istinto malvagio è violentissimo (si veda Talmud Bavli, Trattato di Kiddushin, foglio 30b). E come dicono i Testi (Salmi 37, 32-33): "Il malvagio osserva il giusto e cerca di ucciderlo: D-o non lo abbandonerà ecc.". L'uomo si salva dall'istinto malvagio solo se prende cura di sé stesso, perché il Santo, benedetto Egli sia, lo aiuta. Ma se l'uomo non bada a sé stesso, certamente il Santo, benedetto Egli sia, non lo farà per lui; poiché se egli stesso non ha cura di sé, chi ne avrà per lui? Ciò è simile al concetto esposto dai Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, Trattato di Berakhot, foglio 33a): "È vietato avere pietà di chi è privo di conoscenza".4 Ed è ciò che dissero nelle Massime dei Padri (Avot 1, 12): "Se io non mi prendo cura di me, chi lo farà per me?"


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Note del Traduttore:
[1] Si ricordi qui la Beraita di Rabbi Pinchas ben Yair esposta nell'introduzione: "La Torà conduce alla prudenza, la prudenza conduce allo zelo, lo zelo conduce all'integrità, ecc."
[2] Ovviamente si tratta dei lavori della schiavitù degli Ebrei in Egitto.
[3] Abbiamo volutamente scelto la traduzione letterale perché il Ritva (Rabbi Yom Tov ibn Asevilli, capo della Yeshivà e rabbino di Siviglia due secoli prima della cacciata degli Ebrei dalla Spagna) propone due interpretazioni di questo passaggio. La prima è quella più evidente: la salvezza dell'uomo grazie all'intervento del Signore. La seconda, più ardita: la salvezza di D-o stesso, che "soffre" in esilio con il popolo d'Israele (come suggerito dal versetto dei Salmi 91, 15). Si ringrazia il Kollel Iyun Hadaf di Gerusalemme e il caro Rav Kornfeld per averci offerto questa precisazione.
[4] Non si tratta ovviamente di chi ha facoltà mentali limitate: si parla di una persona che ha ricevuto dal Creatore un intelletto abile ma che decide scientemente di sprecare questo dono.

Testo originale in Ebraico

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Tratto dal sito www.anzarouth.com : Messilat Yesharim, Rabbi Moshe Chaim Luzzatto, traduzione e note di Ralph Anzarouth
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