Il Segreto del Mondo Futuro - Elogio della Solitudine - Rabbi Yerucham Halevy Leibovitz


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Un altro testo ebraico tradotto in italiano da Ralph Anzarouth per i lettori di ‘Maestri della Torà’


Il segreto del mondo futuro

(Elogio della Solitudine)


"E Giacobbe rimase solo."
[Vayishlach: Genesi 32, 24]


"Rabbi Berachia dice a nome di Rabbi Simon: [È detto] (Deut. 33, 26): 'Nessuno è come il Signore'.
E chi è come il Signore? Il patriarca Israel 1 : infatti, è scritto del Santo, benedetto Egli sia (Isaia 2, 11):
'E D-o Si elevò solo'. E anche Giacobbe rimase solo."
[Midrash Bereshit Raba 77, 1]



I nostri Maestri di benedetta memoria hanno visto nel versetto "E Giacobbe rimase solo" una somiglianza con le virtù di D-o benedetto. Infatti, "Solo" è proprio il Nome del Santo, benedetto Egli sia; e non come si ha l'abitudine di interpretare questo termine2, cioè essere solo perché non si ha bisogno del prossimo - perché se così fosse, non sarebbe opportuno usare questo termine per Giacobbe.


Invece, l'argomento è più profondo e - come abbiamo già detto in numerose occasioni - la spiegazione è che la virtù della solitudine è uno degli attributi del Santo, benedetto Egli sia. Infatti, esiste il creato ed esiste il segreto del "Creatore dei servitori" 3, come se il Santo, benedetto Egli sia, avesse bisogno della creazione, come se Gli fosse necessario un aiuto, del tipo evocato dai versetti (Isaia 63, 5): "E ho guardato: e non c'era nessun aiuto" e (Salmi 68, 35): "Date forza4 al Signore". Ecco, così [Hashem] Si comporta riguardo alle Sue altre virtù, ma Egli possiede anche la virtù della solitudine, che domina tutte le altre: "Signore del mondo5 che regnò prima ancora che alcuna creatura fosse stata creata", quando di certo era completamente solo, "e dopo che tutto sarà scomparso6, da solo regnerà maestoso", nuovamente solo, in assoluta solitudine, senza mancare di niente.


Il versetto "Giacobbe rimase solo e un uomo7 combatté con lui" non significa che rimase abbandonato e senza aiuto, sicché quell'uomo poté attaccarlo. Anzi, secondo le spiegazioni dei nostri Maestri è proprio il contrario: ciò ci insegna la grandezza di Giacobbe, che aveva raggiunto il massimo del suo potenziale, essendo arrivato ad assomigliare al Signore benedetto per quanto riguarda la solitudine8: non aveva bisogno di nessun aiuto, perché quella è una virtù che racchiude tutto ed è proprio grazie alla solitudine che ha potuto combattere ed è stato benedetto. Come dissero i Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Pesachim 118a): "Quando Nimrod il malvagio spinse il nostro patriarca Abramo nella fornace infuocata, l'angelo Gabriele disse al Santo, benedetto Egli sia: 'Padrone del mondo, scenderò a raffreddare [la fornace] e a salvare il giusto dalla fornace infuocata'. Il Santo, benedetto Egli sia, gli rispose: 'Io sono solo nel Mio mondo e lui è solo nel suo mondo9. È bene che sia Colui che è solo a salvare colui che è solo10."


Non è forse la caratteristica del Santo, benedetto Egli sia, di essere Unico e solo? E così pure il nostro patriarca Abramo, la pace sia su di lui, aveva la proprietà di essere unico, completamente unico, e così pure "E Giacobbe rimase solo".


È scritto (Numeri 23, 9): "Questo popolo vive in solitudine e non si mischia alle genti". E così tradusse [in aramaico] Yonatan ben Uziel: "Questo popolo da solo erediterà il mondo perché non adotta le usanze delle genti". Quindi tutto il privilegio del mondo futuro è forse da attribuire al fatto che [gli Ebrei] "non adottano le usanze delle genti"!? Ma la spiegazione di questo proposito è che proprio da qui viene la forza di non confondersi con le genti e di non imitare i loro costumi [come richiede il precetto] (Lev. 18, 3): "Non seguirete le loro leggi": non è forse questa la caratteristica del popolo ebraico che meritò ai suoi santi patriarchi di essere un popolo "solo"? Ecco, per eredità [gli Ebrei] sono solitari, unici, indipendenti, non sono attratti da nessun altro, perché non hanno bisogno di nessun altro. Essi possiedono dentro di loro e insieme a loro assolutamente tutto11 e questo è il segreto celato nel termine "da solo", attributo del Santo, benedetto Egli sia, ed è il segreto del mondo futuro, perciò sicuramente [questo popolo] "da solo erediterà il mondo" [futuro]. Quindi troviamo in questo insegnamento uno straordinario messaggio di stimolo: il segreto del mondo futuro dipende dalla misura in cui un uomo è "solo", "indipendente"; e questo è sconvolgente.


Ci è insegnato nelle Massime dei Padri (Avot 4, 1):
"Ben Zoma dice:
Chi è saggio? Chi impara da ogni persona [...].
Chi è forte? Chi domina il proprio istinto [...].
Chi è ricco? Chi si accontenta di ciò che possiede [...].
Chi è rispettabile? Chi rispetta le creature [...].
"

Questa Mishnà ha suscitato molte domande e ne abbiamo già discusso lungamente12, si veda anche il libro "La strada della vita" del Maharal [di Praga] di benedetta memoria. Ben Zoma ci rivela un segreto meraviglioso: che l'uomo racchiude dentro di sé e nella sua stessa persona tutte le qualità, in modo assolutamente indipendente dagli altri. Anzi, [quelle] qualità raggiungono la perfezione proprio quando provengono da una forza interna.


E osserva bene quanto quella forza sia grande e inclusiva: se la virtù della saggezza dipendesse dalla dedizione dell'insegnante, quando questi venisse a mancare l'allievo ne rimarrebbe completamente sprovvisto. E allora, dove sarebbe dunque la perfezione della sua virtù? Invece, chi impara da ogni persona ama la saggezza per propensione personale e questa virtù risiede dentro di lui: egli è perfetto per sempre. Disse il re Salomone (Proverbi 17, 24): "La saggezza si trova di fronte al savio, mentre gli occhi dello stolto la credono agli antipodi", criticando così coloro che cercano la saggezza in capo al mondo: infatti, chi ha bisogno di ricevere la saggezza da paesi lontani rimane nella sua stupidità; e invece per chi è accorto, la saggezza sta davanti a lui, vicino a lui e dentro di lui. L'uomo va in giro e impara la ragione dagli altri (Midrash Bereshit Raba 18, 1), ma troverà le più grandi saggezze dentro di sé.


Se la forza dipendesse dai trionfi sul prossimo, cosa ne rimarrebbe a chi scoprisse qualcuno più forte di lui? E allora, dove sarebbe dunque la perfezione della sua forza? Invece, colui che domina il proprio istinto dimostra la vera forza: essa risiede dentro di lui e non lo abbandonerà mai; è certamente lui a possedere la forza nella sua forma più compiuta.


Anche la ricchezza è un tratto del carattere umano: infatti, a cosa servirebbero tutti gli sforzi dell'uomo, se i suoi beni fossero alla mercè di ladri e predatori notturni? Perciò anche la ricchezza è necessariamente una virtù che l'uomo porta dentro di sé: la vera ricchezza nella sua espressione più perfetta appartiene a chi si accontenta di ciò che ha.


Se l'onore di un uomo dipendesse dal rispetto che gli portano gli altri, cosa sarebbe di lui nel caso in cui essi rifiutassero di rispettarlo e gli negassero gli onori? Costui rimarrebbe in preda allo scherno e al disprezzo. Che D-o ci guardi da un onore che dipende dalle persone. Invece, chi è veramente degno di rispetto? Colui che rispetta gli altri. Ecco, ha acquisito l'onore grazie alla sua personalità, è benedetto in tutto e per tutto13 e possiede tutto dentro di sé senza dipendere dal prossimo in nessun modo.


E questo è il segreto della virtù di chi è "solo". E in effetti, grazie a questa peculiarità e a questa forza, egli "non adotta le usanze delle genti". Non come quelli che si accodano costantemente14, come (Talmud Bavli, trattato Baba Batra 78b) "un asinello disposto a seguire ogni voce suadente", bensì indipendenti, in perfetta solitudine: questo è il segreto del mondo futuro che "erediterà" questo "popolo che vive in solitudine"! 15

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Note del traduttore
[1] Cioè Giacobbe, cui Hashem diede il nome Israel. Il nostro testo cerca di spiegare come possa il Midrash Bereshit Rabba comparare in qualche modo l'Onnipotente al patriarca Giacobbe. Com'è possibile? Il lettore attento capirà la risposta di Rav Yerucham, che a nostro modesto parere è straordinaria.
[2] La solitudine è spesso ritenuta un problema, una mancanza, addirittura un difetto. Nel migliore dei casi, si pensa che è solo colui che non ha bisogno degli altri. Ma qui, come si vedrà in seguito, parliamo di un altro tipo di solitudine, che implica serenità, forza e sicurezza.
[3] Dalla Tefillà di Shachrit, preghiera del mattino. Questo concetto è spiegato in un altro testo di Rabbi Yerucham Levovitz. In pochissime parole: gli elementi del Creato sono servitori di Hashem, che Si rivela attraverso di loro. Rabbi Yerucham fornisce l'esempio dell'elettricità che è invisibile all'occhio umano finché non si accende la lampadina, che rivela in questo modo l'energia che l'ha accesa.
[4] L'autore coglie qui il senso letterale delle parole. Il senso che gli danno invece i commenti di Metzudat Tzion e Metzudat David assomiglia più a "Proclamate che la forza appartiene al Signore".
[5] Preghiera dell'Adon Olam, dal Siddur (il libro di preghiere).
[6] Ibid. Dal seguito dell'Adon Olam.
[7] Si scoprì poi che era una creatura celeste. Il Midrash insegna che quest'angelo era la rappresentazione spirituale di Esaù, fratello di Giacobbe e suo persecutore.
[8] Tentare di imitare le virtù di D-o è un precetto della Torà (Devarim 26, 17): "E seguirai le Sue vie", si veda il commento di Sforno (ibid.), il Trattato Sofrim (3, 17) e l'inizio del Tomer Dvorà di Rabbi Moshé Cordovero. Inoltre, disse Rabbi Simon a nome di Rabbi Yehoshua ben Levi (Midrash Devarim Raba 5, 8): "Chi si affida al Santo, benedetto Egli sia, merita di diventare simile a Lui".
[9] Abramo era infatti l'unico monoteista quando questa idea non andava per niente di moda.
[10] E infatti fu l'Eterno a incaricarSi di salvare Abramo dalla fornace.
[11] In realtà nella versione originale in ebraico questa frase è molto più complessa: Bakol, Mikol, Kol, espressione che conosciamo tutti dalla Birkat Hamazon, la benedizione che segue i pasti. Ognuno di questi termini si riferisce a uno dei tre patriarchi e viene usata nella Torà per indicarne la prosperità, l'essere in possesso di tutto: si vedano Genesi 24, 1 per Abramo; 27, 3 per Isacco e 33, 11 per Giacobbe; e il Talmud Bavli, trattato Baba Batra 17a.
[12] In un altro articolo. Il lettore ricordi bene le quattro parti di questa Massima di Ben Zoma: l'autore spiegherà ora come ognuna di esse avvalori la sua tesi.
[13] Vedi nota 11.
[14] Espressione tratta dal Talmud Bavli, trattato Baba Metzia 6a.
[15] L'autore (o forse l'editore) rimanda qui a un altro testo: Daat Chokhmah Umussar 3, 25.

Rabbi Yerucham Halevi Levovitz fu per molti anni il Mashghiach della santa Yeshivà di Mir, in Polonia. Questa toccante biografia di Rabbi Levovitz (in inglese) testimonia della profonda impressione che egli lasciò su intere generazioni di allievi.


Questo articolo si trova in fondo al "Daat Torà", raccolta di discorsi tenuti da Rabbi Yerucham ai suoi allievi. Si riferisce alla Parashà di Vayishlach, che include il noto episodio della lotta di Giacobbe con l'angelo di Esaù. Ringraziamo Rav Yaakov Shalem e Rav Sasson Cohen per averci confermato la nostra interpretazione di un passaggio difficile. Il titolo originale di questo discorso è "Il segreto del mondo futuro", cui ci siamo permessi di affiancare il sottotitolo "Elogio della solitudine" che ci sembra del tutto appropriato, a condizione di aggiungere una doverosa precisazione: la solitudine di cui parla il nostro testo è un segno di forza individuale (per ogni ebreo) e collettivo (per il popolo ebraico in generale) quando è il frutto della coerenza, della fede nei propri valori, della certezza di essere sulla retta via - che è quella della santa Torà, anche e soprattutto davanti a un mondo moderno in balìa di tempeste materiali e morali che non sembra in grado di affrontare. In questi tempi, in cui il termine "integrazione" viene spesso usato per promuovere l'assimilazione e l'abbandono di ciò che ci è più caro, questa originale apologia della solitudine ebraica (volontaria, permanente e senza compromessi) dimostra che la nostra forza risiede nella fedeltà ai nostri ideali e alle nostre tradizioni, in perfetta solitudine. Non è la solitudine del musone, introverso e rinchiuso in sé stesso, roso dall'invidia per quelli che se la spassano senza di lui. È la solitudine dell'ebreo sicuro di sé, che sa da dove viene e sa dove va, sa come andarci e sa perché ci va, incurante di chi definisce la sua indipendenza "ghettizzante" e "identitaria". Questa solitudine dà forza all'ebreo da 3700 anni. E niente al mondo può smuoverlo dal suo cammino e dalla sua fede nel Creatore.


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Tratto dal sito www.anzarouth.com : Daat Torà, Rabbi Yerucham Leibovitz, traduzione e note di Ralph Anzarouth
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