Traduzione di Ralph Anzarouth
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[...] E così come è vietato trarre un beneficio da questo mondo senza prima pronunciare una benedizione [per il Creatore], è vietato pure dire una benedizione di cui non c’è bisogno. Difatti Rav e Shmuel dissero entrambi: “Chi pronuncia una benedizione invano trasgredisce il divieto di non pronunciare il nome di D-o invano1.” Perciò è obbligatorio prestare attenzione alle benedizioni, al fine di pronunciare ognuna di esse al momento opportuno. E citando il testo dei Proverbi (18, 21) “La morte e la vita dipendono dalla lingua”, il Midrash Tanchuma (Genesi, Parashat Vayeshev 39, paragrafo 7, a nome di Rabbi Chiya bar Abba) dice: “In che modo? Chi ha davanti a sé un cesto di fichi, qualora ne prendesse e ne mangiasse senza benedizione, questa è la morte [che dipende dalla lingua]; se benedice e poi mangia, ecco la vita [che dipende dalla lingua]”.
E chi non pronuncia ogni benedizione quando è prescritta viene definito un ladro, poiché disse Rabbi Chinnana bar Papa (Talmud Bavli, trattato Sanhedrin 102a): “Chi approfitta di questo mondo senza benedizione è come se rubasse al Santo, benedetto Egli sia e alla Knesset Israel2, poiché è scritto (Proverbi 28, 24): ’Chi deruba il proprio padre e la propria madre con la pretesa che questo non sia un crimine, facendo così si associa a chi provoca disastri’. Il Padre è il Santo, benedetto Egli sia, come è detto (Deuteronomio, 32, 6): 'Non è forse Lui tuo Padre e il tuo Creatore?' E la madre è la Knesset Israel3, poiché è scritto (Proverbi, 1, 8): 'E non abbandonare la Torà di tua madre'.”
E disse Rabbi Chelbo a nome di Rav Huna (Talmud Bavli, trattato Berachot 6b): “Chi sa che un suo amico ha l’abitudine di salutarlo, deve dirgli ’Shalom’ per primo, come è detto (Salmi 34, 15): ‘Cerca il Shalom e inseguilo’. E dopo che il primo saluta, chi non gli restituisce il saluto viene chiamato un ladro, come è detto (Isaia 3, 14): ’La refurtiva rubata ai poveri è nelle vostre case’."
E se chi ruba saluti alle altre persone viene definito un ladro, a maggior ragione chi ruba benedizioni al Santo, benedetto Egli sia. E chi dice ogni benedizione quando si deve viene chiamato ‘Chassid’, poiché disse Rabbi Yehuda: ‘Chi vuole essere un Chassid, che rispetti le leggi sui danni patrimoniali’; Ravina disse: ‘[Che osservi] le Massime dei Padri4 e anche le benedizioni’. E chi benedice viene benedetto, come è detto (Genesi 12, 2): “E benedirò chi ti benedice”, a maggior ragione chi benedice l’Onnipresente. E chi fa attenzione ed è solerte [nelle benedizioni] secondo le loro regole (Salmi 24, 5) "otterrà la benedizione da D-o e la benevolenza dal Signore suo Salvatore".
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Note del Traduttore:
[1] Il terzo dei dieci comandamenti del Monte Sinai.
[2] "Knesset Israel" è un termine molto usato nella letteratura rabbinica. Gli abbiamo visto attribuire anche significati diversi a seconda dell'autore. In questo testo e nella maggior parte degli altri questo termine indica l'insieme del popolo ebraico (e per i più esigenti si può forse suggerire: la rappresentazione spirituale del popolo ebraico al cospetto dell'Onnipotente).
[3] Come ci insegna il Talmud Bavli (trattato Berachot, 35b).
[4] I Pirké Avot, che come è noto raccomandano norme di comportamento morale le quali, pur non essendo obbligatorie, sono perlomeno necessarie a chi vuole servire D-o con devozione.
Tratto dal paragrafo 166 del terzo ”solco” (dedicato alle benedizioni) del libro Shibbolé Haleket di Rabbenu Tzidkiya Harofé, un altro rabbino della famiglia Anav, vissuto a Roma 6-7 secoli fa. Il testo integrale in ebraico di questo articolo si trova nell’ormai famoso sito Hebrewbooks.org, in fondo a pagina 175 (5 ultime righe) e in cima a pagina 176 fino alla fine del “solco”. Il libro Shibbolé Haleqet (il cui titolo, tratto dalla terminologia agricola, si traduce malissimo in italiano: spighe della spigolatura...) è uno dei primi tentativi di aggregare in un unico compendio l’insieme delle leggi della Torah a partire dal testo del Talmud, che come è noto è organizzato diversamente e non può essere utilizzato come indice strutturale delle Mitzvot. In pratica, un codice simile negli intenti a quelli redatti da Maimonide nel Mishné Torà e da Rabbi Yossef Caro nello Shulchan Arukh. Il carattere marcatamente agricolo del titolo spiega l’uso del termine “solco” per indicare i vari volumi.
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Tratto dal sito www.anzarouth.com : Shibolei Haleket, Rabbi Tzidkia Harofé, traduzione e note a cura di Ralph AnzarouthMeglio ancora se si aggiunge anche un link verso:
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