Leggi della Maldicenza - Chafetz Chaim Introduzione - R. Israel Meir Hacohen Kagan


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Traduzione di Ralph Anzarouth e Raphael Barki


Lashon Harà: Introduzione


Introduzione alle regole del divieto di lashon harà' e di rekhilut.

Per via dell’amore che D-o benedetto prova per il suo popolo d’Israèl, e del fatto che desidera moltissimo il suo bene al punto da riferirsi ad esso con i termini “figli”, “parte di D-o”, “eredità”, e altri nomi affettuosi che dimostrano l’entità del suo amore per Israèl, com’è scritto (Malachia 1, 2): «Vi ho amati, dice l’Eterno» ecc., perciò li ha allontanati da tutte le perversioni e in particolare dalla lashon harà' e dalla rekhilut, poiché esse portano l’uomo a liti e controversie, e si può a volte giungere allo spargimento di sangue, come scrisse Rambam nel Mishnè Torà (Leggi della Conoscenza 7, 1): «Malgrado non si applichino le percosse per questa trasgressione, in ogni caso si tratta di un grave peccato e uccide molti ebrei, perciò [nella Torà] è posto accanto a (Levitico 19, 16) ‘Non essere indifferente al tuo prossimo in pericolo’, e si veda ciò che è successo a Doèg l’Idumeo e a Nov, la città dei kohanìm».


E anche immense calamità furono provocate da questo disdicevole vizio, com’è noto che il peccato del serpente fu originato principalmente dalla lashon harà', avendo egli detto lashon harà' sul Santo, benedetto Egli sia, dicendo: «[D-o] ha mangiato da questo albero e ha creato il mondo», e in questo modo ha tentato Eva, come hanno detto i nostri Maestri nel Talmud Bavli, Shabbat 146a: «Il serpente si accoppiò con Eva e le iniettò il veleno – cioè provocò l’adulterio – e allo stesso tempo causò la morte per il mondo intero – cioè lo spargimento di sangue.» E in questo modo indusse Adamo ed Eva a contravvenire alla volontà del Santo, benedetto Egli sia. E di conseguenza, chi pronuncia lashon harà' abbraccia quel suo vizio che ha corrotto la creazione del mondo.


E anche il motivo della discesa del popolo ebraico in Egitto va ricondotta principalmente a questo, com’è scritto (Genesi 37, 2): «E Giuseppe raccontava maldicenze su di loro al loro padre», e per questo motivo si decretò in Cielo, misura per misura, che sarebbe stato venduto come schiavo, così come egli aveva detto di loro che essi chiamavano i loro fratelli “schiavi”, come spiegato nel Midrash (Bereshìt Rabbà 84, 7) e nel Talmud Yerushàlmi (Peà 1, 1): benché vi fosse una giustificazione alla maldicenza che raccontò, come spiegato dai commentatori - si osservi che, malgrado ciò, nessuna giustificazione gli sia servita.


Inoltre, il motivo del nostro esilio risiede integralmentte nell’atto degli esploratori, com’è scritto nei Salmi (106, 26-27): «E giurò loro di farli soccombere […]. e di disperderli nelle loro terre»; e ciò, secondo la spiegazione di Rashì a quei versetti, e così scrisse Ramban nel [commento alla] Torà, nel passaggio sugli esploratori (Numeri 14, 1). E dissero [i nostri Maestri] nel Talmud Bavli, ’Arakhìn (15a) che l’essenza del peccato degli esploratori fu la lashon harà', perché dissero del male riguardo alla Terra d’Israele, e in conseguenza al loro pianto ingiustificato fu decretato su di loro un pianto per le generazioni [future]. E altri innumerevoli guai ci hanno afflitto a causa di questo grave peccato, perché anche l’uccisione dei Maestri d’Israele da parte di Re Yannài all’epoca di Shimon ben Shatach, cognato di Yannài, fu anch’essa conseguenza della rekhilut, com’è detto nel Talmud Bavli, Kiddushin (66a), si consulti colà. E l’uccisione del tana* rabbi Eliezer Hamodaì, che fu anche il motivo della distruzione di Betar, fu anch’essa causata dalla rekhilut, allorquando fu oggetto di delazione presso Ben Kozivà1, come spiegato nel Midrash Ekhà (Ekhà Rabbà 2, 4).


E per via dei guai inclusi in questo deplorevole vizio, la Torà ci ha ammonito in modo specifico a questo riguardo con un precetto negativo (Levitico 19, 16): «Non commettere delazione tra il tuo popolo ecc.», come spiegheremo in seguito. E ciò, a differenza dell’ira, della crudeltà, della frivolezza e degli altri vizi deleteri, che benché siano anch’essi responsabili della corruzione delle virtù e delle qualità spirituali, e benché anche a essi la Torà accenni in diversi passaggi (come esposto dai nostri Maestri), eppure non è dedicato loro un precetto negativo specifico tra i 613 [precetti della Torà].


E appare evidente anche un altro motivo per cui la Torà ha specificatamente ammonito riguardo alla maldicenza: ché se veramente osserviamo con precisione la lashon harà' e la rekhilut, vedremo che esse includono quasi tutti i precetti negativi e positivi che si possono elencare [tra gli obblighi] dell’uomo verso il prossimo, e molti [di quelli] dell’uomo verso D-o, come spiegheremo se D-o vorrà; perciò la Torà ci ha ammonito in modo specifico per non farci cadere in questa malefica trappola. E questo sarà spiegato più avanti con l’aiuto di D-o benedetto. E, indirettamente, se ne deriverà un grande beneficio anche riguardo ad altre leggi, e forse in questo modo l’istinto malvagio sarà colpito, quando si vedrà quanto grandi siano il trambusto e i guai che si provocano con la parola; e cominciamo questo argomento, con l’aiuto di Colui che fornisce la conoscenza all’uomo.


E dapprima bisogna conoscere le regole di queste leggi della lashon harà' e della rekhilut (dove lashon harà' significa dire del male del prossimo, e rekhilut significa raccontare a qualcuno il male che altri hanno detto di lui o gli hanno provocato)2: esse sono vietate perfino quando si tratta di verità, come - se D-o vorrà - sarà chiarito in seguito, [e ciò] secondo tutti i poskìm*. Inoltre, il divieto di lashon harà' e rekhilut vale sia in presenza del diretto interessato, sia in sua assenza. E non vi è differenza tra chi accetta e chi ascolta, come si spiegherà in seguito, laddove per “chi accetta” ci si riferisce a chi crede in cuor suo al racconto che gli viene raccontato dal maldicente, anche qualora egli non lo incoraggi a raccontare: basta che si accetti in cuor proprio la lashon harà' e la rekhilut che si è ascoltato per esser definito “colui che accetta un racconto vano” e trasgredire il divieto di (Esodo 23, 1) «Non accettare un racconto vano». Ognuna di queste regole ha radici e ramificazioni come gli altri passaggi della Torà, che D-o ci dia il merito di conoscerli alla perfezione.


E si sappia che ciò che è scritto più avanti, cioè che si trasgrediscono sia i precetti negativi, sia i positivi, sia le tre maledizioni – tutti elencati più avanti e connessi alla lashon harà' – ciò va inteso sia che si tratti di lashon harà', sia di rekhilut, sia di menzogna, sia di verità, e sono quelli che saranno chiamati nel corso di tutto il Pozzo d’Acqua Vivente “i quattro primi casi” (tranne dove sarà precisato esplicitamente che la cosa si applica solo a uno di loro). E non ci rimane che l’obbligo di precisare per ognuno dei precetti negativi o positivi se si applica [quando il racconto è fatto] in presenza [della persona coinvolta] o in sua assenza, a colui che racconta o a colui che accetta.


E per i precetti negativi che includono ognuno dei casi [citati] si farà riferimento nel Pozzo d’Acqua Vivente a “tutti gli otto casi”: cioè sia lashon harà' sia rekhilut, sia in presenza, sia in assenza, sia per chi racconta, sia per chi accetta, sia che si tratti di verità sia di menzogna. E si ricordi questa definizione perché non sarà ripetuta spesso nel corso di questa introduzione.


In principio, verranno spiegati alcuni precetti negativi che si trasgrediscono raccontando lashon harà' e rekhilut, in seguito alcuni precetti positivi e quindi alcune maledizioni che si attirano su di sé in questo modo, e altri gravi divieti che si provocano in questo modo.Questa introduzione è divisa in due parti: la parte interna si chiama Fonte di Vita, mentre la sua spiegazione si chiama il Pozzo d’Acqua Vivente3. Il motivo di questi nomi è già stato precisato nella prefazione. E nel Pozzo d’Acqua Vivente verrà spiegato a che caso si riferisce ogni precetto negativo o positivo e anche alcune regole addizionali. E cominciamo questo argomento, con l’aiuto di Colui che fornisce la conoscenza.


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Note dei traduttori:
[1] Più noto con il nome di Bar Kokhvà.
[2] In questa traduzione abbiamo scelto di conservare fedelmente la terminologia ebraica lashon harà' e rekhilùt. Tuttavia, il lettore può familiarizzare con questi termini associando la lashon harà' al concetto di “maldicenza” e la rekhilùt al concetto di “delazione”.
[3] Si veda la nota 4 nella prefazione.



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Tratto dal sito www.anzarouth.com : Leggi della Maldicenza, Hafetz Haim, Rabbi Israel Meir Kagan, Edizioni Morashà, traduzione e note a cura di Ralph Anzarouth e Raphael Barki
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