Leggi della Maldicenza - Chafetz Chaim Precetti Negativi - Rabbi I. M. Hacohen Kagan


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Traduzione di Ralph Anzarouth e Raphael Barki


Lashon Harà: Precetti Negativi


  1. Chi commette delazione verso il prossimo trasgredisce un precetto negativo, com’è detto (Levitico 19, 16): «Non commettere delazione tra il tuo popolo». Chi è un delatore? Chi raccoglie informazioni e si aggira tra la gente dicendo “Tizio ha detto di te tale cosa” o “ho saputo che Caio ti ha fatto questo e quest’altro”. Anche qualora si tratti di verità, questo atto distrugge il mondo. E c’è un peccato ancora più grave di questo, ed è la lashon harà', ed è inclusa in questo divieto, e la si commette quando si parla male del prossimo, anche qualora si tratti di verità. Invece [il peccato] di chi dice una menzogna si chiama motzì shem ra’, ovvero “diffamazione del prossimo”.

  2. E chi racconta o accetta [la maldicenza] trasgredisce anche il precetto negativo di (Esodo 23, 1) «Non accettare un racconto vano», perché [questo versetto, scritto in ebraico] si può leggere anche “non far accettare” e quindi questo divieto si applica a entrambi [sia a chi racconta che a chi accetta].

  3. E chi racconta trasgredisce anche il precetto negativo (Deuteronomio 24, 8): «Osserva molto attentamente le prescrizioni relative alla piaga della lebbra», e nel Sifra* (Bechukkotài 1, 3) viene spiegato che l’espressione della Torà “osserva molto” si riferisce a non dimenticarsi di fare attenzione [ed evitare] la lashon harà', affinché questo racconto maldicente non provochi la lebbra [a chi lo racconta].1

  4. Chi [la] racconta e chi l’accetta trasgrediscono anche il divieto (Levitico 19, 14) di «Non porre un ostacolo davanti a un cieco», perché ognuno di loro pone un ostacolo di fronte all’altro, per fargli trasgredire divieti della Torà. Ma qui c’è una differenza tra chi racconta e chi accetta: chi racconta trasgredisce un divieto, sia che lo ascoltino in pochi sia in tanti, e anzi, più sono gli ascoltatori e più cresce l’entità della trasgressione, perché pone un ostacolo di fronte a molte persone. Il caso di chi accetta è diverso: può succedere che egli trasgredisca questo divieto soltanto se si trova a essere l’unico ascoltatore della lashon harà' o della rekhilut, e che qualora se ne andasse, quell’altro non avrebbe più interlocutori cui raccontarla. Ma se quando viene detta una maldicenza ci sono altri ascoltatori all’infuori di lui, può darsi che chi l’ascolta non trasgredisca questo precetto negativo, bensì altri divieti elencati in questa introduzione - si consulti il Pozzo d’Acqua Vivente. E questo [vale] per chi si è aggregato [ad altri ascoltatori] dopo l’inizio del racconto, ma il primo [ascoltatore], davanti a cui si è cominciato a raccontare, certamente trasgredisce in ogni caso questo divieto, anche se poi si sono aggiunte altre persone per sentire questa chiacchiera infame, perché la trasgressione è cominciata a causa sua.
    E in ogni caso bisogna stare molto attenti a frequentazioni di questo tipo e a non riunirsi con loro, perché lassù vengono tutti segnati come membri di una cosca malfattrice, com’è scritto nel testamento di rabbi Eliezer il Grande che ordinò a suo figlio Horkenùs quanto segue: «Figlio mio, non stare mai in un gruppo di gente che sparla del prossimo, perché quando le parole salgono lassù, esse vengono iscritte nel libro, e tutti i presenti vengono catalogati come membri di una cosca malfattrice e maldicenti».

  5. Chi racconta lashon harà' trasgredisce pure il divieto (Deuteronomio 8, 11): «Fai attenzione a non dimenticare il Signore tuo D-o», che è un ammonimento ai buffoni, i quali, poiché deridono il prossimo e se ne fanno beffe, probabilmente ritengono di essere dei saggi e degli esseri superiori; in verità, se conoscessero i propri difetti, non deriderebbero il prossimo. Ed è noto il detto dei nostri Maestri nel Talmud Bavli (Sotà 4b), che il peccato di superbia è molto grave, come esposto colà, ed esso provoca che le spoglie del superbo non risorgeranno alla resurrezione dei morti, e [chi pecca di superbia] viene paragonato a un idolatra, e la presenza divina si lamenta di lui, e viene definito un abominio - si consulti il Talmud. E in particolare, se denigrando il prossimo egli rende onore a sé stesso, certamente trasgredisce questo divieto - oltre al fatto che i nostri Maestri, con la loro santa ispirazione, lo escludono dal mondo futuro dicendo (Talmud Yerushàlmi, Chaghigà 2, 1): «Chi si onora dell’onta del prossimo non ha parte nel mondo futuro».

  6. E chi racconta [la lashon harà'] e chi l’accetta trasgrediscono anche il divieto di (Levitico 22, 32): «Non profanate il Mio Santo Nome». Proprio perché non vi è [l’attenuante di] un desiderio o di un beneficio materiale a incoraggiare l’istinto malvagio ad avere la meglio, ne consegue che questo peccato è considerato assolutamente come una ribellione e come una mera soppressione del giogo del regno divino, e in questo modo si profana il nome divino. Quanto detto riguarda perfino un ebreo qualunque; e se in particolare si tratta di una persona importante, le cui azioni vengono osservate da molte persone, allora in questo modo il nome viene certamente profanato. E, a maggior ragione, se la trasgressione è stata commessa in pubblico, il peccato è sicuramente immenso e viene chiamato “profanazione del nome divino in pubblico”.

  7. E a volte, chi racconta trasgredisce pure il divieto (Levitico 19, 17) di «Non odiare il prossimo in cuor tuo», per esempio quando parla benevolmente con qualcuno, ma alle spalle ne dice del male ad altri, e a maggior ragione se ingiunge loro espressamente di non farglielo sapere – in questo caso è chiaro che si trasgredisce questo divieto.
8-9.  E a volte, chi racconta trasgredisce pure i divieti (Levitico
19, 18) di «Non vendicarti e non serbare rancore»: per esempio, se egli odia qualcuno che gli ha rifiutato un favore che gli aveva chiesto: un prestito, o cose di questo genere (come ho scritto nel Pozzo d’Acqua Vivente a nome di rabbi Eliezer da Metz), e per questo motivo gli serba rancore in cuor suo e quando scorge in lui qualcosa di negativo lo fa sapere ad altri. Costui dapprima trasgredisce il divieto di «Non serbare rancore», a causa del rancore che serba in cuore – e in seguito, quando si è vendicato e ha raccontato il difetto che gli ha scovato, trasgredisce [anche] il divieto di «Non vendicarti». In verità bisogna rimuovere [del tutto] la cosa dal proprio cuore.
  1. E se prende l’iniziativa di prestare testimonianza davanti a un tribunale rabbinico come testimone unico di un divieto infranto da un altro: poiché non ne può scaturire alcuna conseguenza utile – né in termini pecuniari, né per provocare un giuramento, né per provocare l’annullamento del suo stato precedente di persona degna di fede2 – essendo egli l’unico testimone dell’infrazione, in questo caso, ciò che fa serve solo a diffondere voci negative ai danni di quell’altro, e quindi trasgredisce in questo modo anche il divieto di: «Non si ergerà un testimone unico contro una persona per alcun peccato e per alcun delitto», e il tribunale deve percuoterlo per questo motivo.

  2. E tutto ciò che è stato esposto in precedenza vale quando chi racconta è uno solo o chi ascolta è uno solo. Ma se ci si unisce a una compagnia di balordi e maldicenti per raccontare loro [maldicenze] o per ascoltarne, si trasgredisce anche il precetto negativo di (Esodo 23, 2): «Non seguire la moltitudine per fare del male» (secondo la spiegazione di Rabbenu Yona, par. 50)3, che è un’ammonizione a non accettare di unirsi ai peccatori, quand’anche fossero numerosi, e si veda più avanti, al par. 6 dei Precetti Positivi, che con questa nefanda unione si trasgredisce anche un precetto positivo; e si consulti supra il par. 4 dove si è esposto questo argomento a nome del Pirké Derabbì Eliezer, nel testamento a suo figlio.

  3. E se con questa maldicenza prolunga la discordia, si trasgredisce anche il divieto (Numeri 17, 5) di «Non essere come Kòrach e la sua congrega», che è un’ammonizione a non perpetuare la discordia, come spiegato nel Talmud Bavli, Sanhedrin (110a).

  4. E ci si imbatte spesso in un altro divieto, che è quello relativo a ciò che sono soliti fare coloro che umiliano qualcuno [ricordandogli] le sue azioni di un tempo, o una tara familiare, o il suo scarso acume [nello studio] della Torà o nel suo mestiere - ognuno secondo il suo caso - quando gli si dice qualcosa che lo irriterà o lo turberà, e non potrà reagire, anche qualora la cosa venga detta in privato, si trasgredisce il precetto negativo di (Levitico 25, 17) «Non danneggiatevi l’un l’altro», che si applica all’offesa verbale, com’è spiegato nel Talmud Bavli, Bava Metzia (58b), e a maggior ragione allorquando questa [offesa] venga cagionata in pubblico. E risulta quindi che chi biasima il prossimo, con rekhilut o con lashon harà', in privato o davanti a terzi, oltre al divieto di lashon harà' e rekhilut, come esposto in precedenza, trasgredisce anche questo precetto negativo.

  5. E se si è ecceduto nell’offesa di qualcuno, con il biasimo di cui sopra e in modo simile, in privato o in pubblico, al punto che il suo volto ne risulti alterato, si trasgredisce anche il divieto di (Levitico 19, 17): «Non ti rendere colpevole nei suoi confronti», con il quale la Torà ci avverte di non imbarazzare un altro ebreo, anche qualora lo si rimproveri privatamente – e cioè di non parlargli duramente al punto da farlo vergognare, e a maggior ragione quando non lo si fa per rimproverarlo e quando ci si trova di fronte a terzi. E questo vale quando [l’umiliazione] non è stata fatta in pubblico, ma i nostri Maestri già hanno reciso dal mondo futuro chi lo illividisce in pubblico, e hanno detto (Avot 3, 11): «Chi fa impallidire il volto del prossimo non ha parte al mondo futuro».
    [E si sappia che questa trasgressione è molto frequente presso i delatori per via di ciò che si chiama nel linguaggio ashkenazita oys firin4, e ciò verrà spiegato ora nella lingua santa, affinché si capisca quanti divieti della Torà si trasgrediscono per mezzo di questo infame difetto. Cioè, quando Reuvèn dice a Shimon: “Levi mi ha detto questa e quest’altra cosa su di te” (e in questo modo Reuvèn trasgredisce il divieto di «Non commettere delazione tra il tuo popolo» e altri precetti negativi e positivi come già esposto), Shimon crede alle sue parole (e trasgredisce il divieto di «Non accettare un racconto vano» e altri precetti negativi e positivi come già esposto). Quando poi Shimon incontra Levi, incomincia a insultarlo e umiliarlo (e trasgredisce il divieto di «Non danneggiatevi l’un l’altro»: difatti, se pure egli accetta la maldicenza, e pensa che Levi abbia veramente sparlato di lui, forse che ciò gli permette di offenderlo?). E Levi sta lì sorpreso: “Perché e per che cosa mi insulti?” Finché Shimon in preda all’ira gli rivela: “Perché hai sparlato di me con Reuvèn? E pensi forse che io non ne sia al corrente? Me l’ha raccontato Reuvèn!” (e trasgredisce così anche il divieto di «Non commettere delazione» ecc., la quale, come spiegato da tutti i poskìm*, include i casi in cui si tratta di verità). E Levi gli spiega la cosa dicendo: “Reuvèn ti ha mentito al mio riguardo e mi hai insultato senza motivo.”
    E quando poi Shimon incontra Reuvèn, il cattivo istinto lo istiga a completare accuratamente questa brutta faccenda e gli dice: “Con la tua menzogna mi hai indotto ad aggredire Levi senza motivo! E lui mi ha detto che sono tutte fandonie!” E un peccato tira l’altro, e Reuvèn gli risponde: “Vieni con me e vedrai che ripeto la mia versione proprio davanti a lui!” E poiché chi vuole far del male viene aiutato5, e quindi Shimon va con lui, incontra Levi e dice a Reuvèn: “Ripetilo davanti a lui”! E quello si veste d’arroganza e afferma: “Tu mi hai detto di lui questo e quello” (e trasgredisce ancora una volta il divieto di
    «Non commettere delazione», come già detto, anche se si tratta di verità), e subito Levi impallidisce (e Reuvèn trasgredisce anche il divieto di «Non ti rendere colpevole nei suoi confronti», come già detto). E Levi risponde: “È vero che ho parlato, ma non in questo modo e con questo tono”. Ed è noto che basta una sola modifica per cambiare il senso di alcune cose. E Shimon gli risponde: “Adesso, anche se neghi mille volte, non ti credo più, ora che ha ripetuto la sua versione davanti a te (e trasgredisce anche il divieto di «Non accettare un racconto vano», come verrà spiegato più avanti, che la Torà vieta di credere sotto qualunque forma – e se questo scellerato ha avuto la sfacciataggine e l’arroganza di ripetere davanti a Levi, viene forse annullato per questo motivo il divieto di «Non accettare un racconto vano»? Ciò sarà spiegato più avanti, se D-o vorrà, nella Regola 7, 2).
    Come si può osservare, alcune delle trasgressioni esposte sopra sono il risultato di questo spregevole difetto; se Reuvèn avesse seguito le vie di D-o benedetto, avrebbe dovuto stare zitto e prendere su di sé il sospetto di Shimon, che l’avrebbe sospettato di mentire riguardo a Levi, anziché andare con lui da Levi e aggiungere ulteriori peccati al primo che aveva commesso, la delazione. Che D-o ci protegga da questo orrendo difetto!]
  6. E se si parla di un orfano o di una vedova, anche se ricchi, e si è detto del male di loro in loro presenza, si trasgredisce anche il divieto di (Esodo 22, 21) «Non umiliare la vedova e l’orfano», con il quale la Torà ci ha ammonito di non molestarli o addolorarli in alcun modo. E la Torà ne specifica la punizione (Esodo 22, 23): «E la mia collera si accenderà e vi ucciderò».

  7. E a volte si trasgredisce anche il divieto di adulazione che, secondo molti gheonìm* (il Baal Tosafòt* e il gaòn* rabbi Eliezer di Metz, e rabbi Shelomò Ben Gheviròl), è un divieto vero e proprio, e si tratta del divieto (Numeri 35, 33) «Non disonorate la terra». Cioè, se la maldicenza e la delazione sono dette con l’intenzione di adulare chi le ascolta, perché si sa che anche lui già prova astio verso quell’altro, e in questo modo si conta di ingraziarselo – e si tratta di un peccato criminale: perché non solo ci si astiene dal rimproverarlo (che è un precetto positivo della Torà) per l’astio che prova verso quell’altro, ma per di più con il proprio racconto si rinforza l’acredine che già c’era tra di loro, e in questo modo persisterà sempre di più nella sua malvagità, e si causerà quindi un nuovo attrito e altri guai ancora, che D-o ce ne guardi.
    E si sappia che, a causa delle nostre molte colpe, questo peccato è molto frequente: cioè, quando viene detto del male di qualcuno, e chi ascolta – malgrado si renda conto che ciò che gli viene detto non sia permesso – ciononostante egli annuisce con la testa [nell’udire] quelle parole, e rincara la dose con la sua lingua, aggiungendo espressioni di disprezzo – perché chi racconta a volte è una persona importante o qualcosa del genere, e se ne traggono dei vantaggi, o si teme di essere ritenuti da lui poco intelligenti o qualcosa del genere. E perciò l’istinto malvagio lo spingerà, sotto pressione, ad essere d’accordo con lui a questo proposito. Ma sappia il mio fratello lettore che questo è un peccato di adulazione, perfino se ci si limita a emettere qualche parola, come spiegato nel Pozzo d’Acqua Vivente.
    E ad argomenti di questo tipo si riferisce ciò che è detto (Proverbi 23, 2): «E se sei assennato, ficcati un coltello in gola». L’uomo è tenuto a mettersi in pericolo pur di non macchiarsi di un simile peccato. E secondo la Torà bisogna in ogni caso farsi forza quando ci si trova in questa situazione, e non assecondare nemmeno con un cenno, dal quale si potrebbe dedurre che si è d’accordo con quanto viene raccontato; e a questo si riferisce il detto dei nostri Maestri nel Talmud Bavli, ’Eduyot (5, 6): «È meglio essere ritenuti stupidi per tutta la vita, [piuttosto che essere colpevole di fronte a D-o perfino per un momento]». E questo vale anche quando si intuisce che non servirà a niente rimproverare chi racconta, perché nel caso contrario si ha certamente anche l’obbligo di redarguirlo per questa cosa, come verrà spiegato con l’aiuto di D-o nelle Leggi della rekhilut, Regola 6.

  8. E a volte c’è ancora un divieto: è frequente, a causa delle nostre molte colpe, che si dica lashon harà' sotto l’effetto della collera, e al momento del misfatto si maledica anche, e a volte perfino usando il nome [di D-o], seppure in lingua straniera. E in questo modo si trasgredisce il divieto assoluto di (Levitico 19, 14) «Non maledire il sordo» (laddove l’intenzione del testo è “perfino il sordo, e a maggior ragione chi sordo non è”, come spiegato nello Shulchan 'Arukh, Choshen Mishpat, 27, 1).

Abbiamo quindi enumerato diciassette precetti negativi che si trasgrediscono con la lashon harà' e la rekhilut, anche se le si racconta soltanto a un ebreo. E se si sparla di un ebreo davanti ad uno straniero, il divieto si fa più grande e più grave, e si incappa a volte nella questione del massùr6, come verrà spiegato se D-o vorrà nelle Leggi della Maldicenza, Regola 8. E molti dei divieti citati - per i quali è prevista la pena di morte per atto del Cielo, come nel caso del biasimo di una vedova e di un orfano e in quello della profanazione del nome di D-o, e molti dei quali hanno ripercussioni sul mondo futuro, come nel caso in cui si fa impallidire il prossimo in pubblico e quello in cui si aumenta il proprio onore denigrando il prossimo - incombono su chi ha l’abitudine di [macchiarsi di] questo grave peccato della lashon harà' e della rekhilut, come verrà spiegato in seguito, se D-o vorrà.


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Note dei traduttori:
[1] È probabilmente necessario ricordare qui che i nostri Maestri ci hanno insegnato che la lebbra descritta dalla Torà è una piaga inflitta dalla giustizia divina per distogliere i maldicenti dal loro peccato.
[2] Il testo originale usa il termine chezkàt kashrut, modalità per la quale la persona di cui si parla conserva lo stato che gli si era attribuito in precedenza: per esempio, se prima era considerato un testimone credibile, lo rimane; se era considerato proprietario di un campo, lo rimane; se era considerato un kohèn, lo rimane; e così via. Questo succede perché una testimonianza individuale (anche a sfavore) non è sufficiente a modificare lo stato precedente.
[3] Nello Sha’arè Teshuvà (3, 50) Rabbenu Yona spiega che questo divieto proibisce di incoraggiare i peccatori e ammonisce contro l’unirsi a chi acconsente al peccato.
[4] Espressione yiddish che descrive l’attitudine di chi polemizza e vuole sempre avere l’ultima parola.
[5] Qui l’autore allude all’insegnamento dei nostri Maestri secondo il quale l’uomo viene aiutato dalla Provvidenza nella direzione che ha scelto: sia che voglia fare del bene, sia che intenda commettere un peccato.
[6] Letteralmente: “il consegnato”. È il termine che si usa per designare la vittima di una delazione, la quale ne provoca la cattura da parte di agenti ostili (o comunque gli causa serie avversità di qualunque altra natura).


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Tratto dal sito www.anzarouth.com : Leggi della Maldicenza, Hafetz Haim, Rabbi Israel Meir Kagan, Edizioni Morashà, traduzione e note a cura di Ralph Anzarouth e Raphael Barki

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