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Traduzione di Ralph Anzarouth e Raphael Barki
Lashon Harà: Regola 1
In questa regola si spiegherà il divieto di lashon harà’ per mezzo della parola, di un cenno o per iscritto, e la punizione per chi è avvezzo a questo peccato e la ricompensa per chi si astiene da questo amaro peccato, e altri dettagli. Essa include nove paragrafi.
1.1
È vietato sparlare del prossimo perfino se si tratta di una verità assoluta. E i nostri Maestri si riferiscono a ciò, in ogni occasione, come lashon harà’, (poiché se il suo racconto include un miscuglio di bugie e per questo l’oggetto del racconto ne viene denigrato ulteriormente, chi racconta è un motzì shem ra’ (diffamatore) e il suo peccato è ancora più grave). E chi racconta trasgredisce un precetto negativo, come è detto (Levitico 19, 16): «Non commettere delazione tra il tuo popolo» e anche questa è delazione.
1.2
Questa proibizione che abbiamo descritto corrisponde a ciò che è riportato nella Torà proprio riguardo al divieto di lashon harà’ e rekhilut, ma oltre a questo vi sono molti altri precetti negativi e precetti positivi a cui si viene meno con questa maldicenza, come spiegato nell’introduzione, si consulti colà.
1.3
Tutto questo [vale] perfino se soltanto per caso si è detto del male di qualcuno, ma se, D-o ce ne scampi, ci si è assuefatti a questo peccato con perseveranza, come coloro che usano sempre riunirsi e raccontare: “così e così ha fatto Tizio, così e così facevano i suoi avi, così e così ho sentito di lui” e trattasi di biasimo – persone come queste sono definite maldicenti dai nostri Maestri, e la loro pena è ancora più grande, dopo che disgustosamente e intenzionalmente trasgrediscono la Torà divina e la cosa li lascia indifferenti, come già spiegato verso la fine dell’introduzione (Maledizioni, par. 3), e di loro si dice nella tradizione (Salmi, 12, 4): «Che D-o tronchi tutte le labbra lascive e la lingua che parla con arroganza».
1.4
I nostri Maestri dicevano che su tre trasgressioni un uomo viene punito in questo mondo e non si merita il mondo futuro, ed esse sono: idolatria, unioni proibite e spargimento di sangue, e la lashon harà’ le vale tutte. E i Maestri citano a riprova i nostri testi. E spiegarono i primi Maestri che il riferimento è a coloro che si sono assuefatti a questo peccato con perseveranza e non accettano di guardarsi da esso, perché per loro è come se la cosa fosse diventata permessa.
1.5
Non c’è differenza sul divieto di chiacchierare, sia che racconti di propria volontà sia nel caso in cui l’interlocutore abbia insistito supplicandolo fino a che raccontasse: in ogni caso è vietato. E perfino se suo padre o il suo maestro, a cui deve rispetto e riverenza senza contraddirne le affermazioni, gli hanno chiesto di raccontare di Tizio o di Caio, e se egli sa che il racconto implicherebbe lashon harà’ o perfino soltanto polvere di lashon harà’, gli è proibito di obbedire loro.
1.6
Perfino se si rende conto che, abituandosi a questa virtù di non criticare mai alcun ebreo e [di astenersi da] simili dicerie vietate, gliene deriverà una forte perdita nei mezzi di sostentamento, come nel caso in cui, essendo subordinato a persone estranee alla Torà e si sa quanto, per i nostri molti peccati, esse siano immerse in questo gravissimo peccato, al punto che notando qualcuno che non parla a vanvera come loro lo considereranno uno stupido sprovveduto, e per questo lo allontaneranno dal proprio impiego e non avrà di che mantenere la propria famiglia – anche in questo caso è vietato, così come per gli altri precetti negativi per cui deve dare tutto ciò che ha, pur di non trasgredirli, come spiegato nello Shulchàn ’Arùch, Yorè Deà (segno 147, par. 1, nota), si veda colà.
1.7
E da quanto sopra potremo ricavare che, a maggior ragione, [questo vale senz’altro anche] se tutto ciò lo riguarda soltanto per il proprio onore [e non per il denaro], come nel caso in cui si trovi in mezzo a un gruppo di persone e non sappia come estraniarsi, e gli altri discorrano di cose vietate dalla legge, e tenendosi in disparte senza partecipare alla discussione verrebbe considerato dagli altri alla stregua di uno scimunito – [anche così] è certamente vietato. E su questo e sui casi simili i nostri Maestri hanno detto (Mishnà, Eduyot cap. 5, 6): «Meglio passare per stolto durante una vita intera piuttosto che essere empio al cospetto di D-o perfino per un’ora.» E sia lesto al momento opportuno con tutte le proprie forze nel rimanere saldo, e sia sicuro in cuor suo che il compenso di ciò da parte di D-o benedetto sarà infinito, come spiegano i nostri Maestri (Avot cap. 5, 23): «Tanta l’avversità, altrettanta la ricompensa.» Ed è scritto in Avot di Rabbi Natàn (3, 6): «Una volta con fatica vale più di cento volte senza fatica» (e la spiegazione è che il compimento di un precetto o l’allontanamento da un divieto che si realizza con difficoltà procura una ricompensa cento volte più grande di un altro precetto analogo che si compie senza difficoltà). E per questa occorrenza certo vale il midrash dei nostri Maestri: (si veda Èven Shlomò 7, 1) «Ogni qualvolta l’uomo si astiene dal parlare si guadagna la Luce nascosta che nessun angelo e creatura possono immaginare». E sul come comportarsi quando ci si imbatte in cattive compagnie riguardo il rimprovero e l’assenso, si rimanda più avanti alla Regola 6, paragrafi 6.4, 6.5 e 6.6. E si vedano sopra i Precetti Negativi nell’introduzione (segno 16), ché sono correlati a quanto appena spiegato.
1.8
Questo divieto di lashon harà’ vale sia se ci si esprime oralmente, sia se la si riporta per iscritto. Inoltre non c’è distinzione tra lashon harà’ esplicita o per allusione – in ogni caso trattasi di lashon harà’.
1.9
E si sappia inoltre che, se anche nell’ambito di un’offesa rivolta a terzi qualcuno si autocoinvolge nella medesima offesa, perfino se antepone il biasimo di sé stesso, neppure così si elude la delazione.
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Tratto dal sito www.anzarouth.com : Leggi della Maldicenza, Hafetz Haim, Rabbi Israel Meir Kagan, Edizioni Morashà, traduzione e note a cura di Ralph Anzarouth e Raphael BarkiSi richiede di aggiungere anche un link verso:
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