Leggi della Maldicenza - Chafetz Chaim
Regola 2 - R. Israel Meir Hacohen Kagan


BS"D


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Traduzione di Ralph Anzarouth e Raphael Barki


Lashon Harà: Regola 2


In questa regola si spiegherà in dettaglio la norma di lashon harà’ in presenza di tre persone, ed essa include tredici paragrafi.

2.1


È vietato pronunciare lashon harà’ su qualcuno, anche se si dice il vero, perfino di fronte a un singolo individuo e, a maggior ragione, in presenza di più persone. E quando aumentano gli ascoltatori – aumenta anche il peccato del narratore, poiché il soggetto del racconto viene offeso di più quando il biasimo viene divulgato davanti a più persone. E inoltre, in queste circostanze, si inducono in errore diverse persone che vengono meno al divieto di ascoltare lashon harà’. ([E su questo vi è il] consenso di tutti i poskìm*).


2.2


E ciò che è considerato permesso di fronte a tre persone secondo i nostri Maestri, è qualcosa che non sia del tutto offensivo, e la storia può essere interpretata in due modi; e si sa che la cosa dipende dal modo in cui la si racconta quando la si racconta. A questo caso si riferiscono i nostri Maestri quando permettono di parlare di fronte a tre persone, derega concessa poiché chi parla di fronte a tre persone sa certamente che la voce giungerà all’orecchio dell’interessato, poiché “il tuo amico ha un altro amico” [ovvero, le voci circolano], e quindi sarà cauto nel suo discorso, affinché non si possa percepire dalle sue parole alcun [accenno di] biasimo. (E faremo un esempio da cui deriveremo tutti i casi simili. Come nel caso in cui gli si chieda: “Dove si può trovare del fuoco?” e lui risponde “Si può trovare [del fuoco] laggiù, dove cucinano sempre carne e pesce” – e questa cosa dipende da come la si dice sul momento. Se lo desidera, lo dice senza oltraggiare il prossimo. E in vero talvolta non c’è malignità, del tipo “è una famiglia numerosa e, con l’aiuto di D-o, ha molti soldi” o “possiede un alloggio per gli ospiti” e così via, e quello gli chiede: “dove si può trovare del fuoco?” e lui gli risponde: “ora non puoi trovare del fuoco, se non a casa di Tizio, dove cucinano sempre”, intendendo quanto sopra. E [cose] di questo genere, riguardo alla polvere di lashon harà’, (si consulti più avanti la regola 9.3) dipende dal modo in cui [le] si racconta. Tuttavia, se dal tono della voce o dal linguaggio del corpo si nota un’allusione al fatto che abbonda spesso in pasti conviviali, anche se questa cosa non è del tutto oltraggiosa, perfino così, secondo i nostri Maestri, si tratta di polvere di lashon harà’, ed è vietato parlare [in tal guisa] anche in presenza di tre [persone].


2.3


C’è chi dice che se uno ha biasimato qualcuno di fronte a tre [persone], anche se ha trasgredito certamente il divieto di lashon harà’ e quanto sopra (par. 2.2), ciò nonostante, se uno dei tre che l’hanno ascoltato mentre diceva queste cose le va a raccontare ad altri non trasgredisce il divieto di lashon harà’ perché, essendo che lo sanno in tre, in ogni caso la cosa è nota e risaputa da tutti, poiché “il tuo amico ha un altro amico”, e la Torà non proibisce informazioni potenzialmente di dominio pubblico nell’ambito del divieto di lashon harà’. E [ciò si riferisce] solo [al] racconto accidentale, non al caso in cui si intende passare parola e diffondere ulteriormente la voce.


[E c’è chi aggiunge che ciò non sia permesso perfino quando fatto casualmente, a meno che l’argomento stesso non arrivi per inciso nel mezzo del discorso, ma senza avere l’intenzione di parlarne come argomento a sé stante.]

Anche se non parla a nome di chi lo ha informato, ma riferisce semplicemente che così e così si dice di Tizio, malgrado ciò, non è esente dal divieto di lashon harà’.


2.4


E perfino ciò che abbiamo permesso nel caso in cui non si intenda rivelare, [vale] solo [per] il primo a sentire di persona ciò che Reuvèn disse di Shimon in presenza di tre, ma colui che apprende da lui non può successivamente andare, in base a ciò che gli ha detto colui che [a sua volta] ha appreso la cosa in presenza di tre, e raccontare a un altro l’infamia che ha sentito su Shimon, anche se non cita la fonte maldicente su Shimon, a meno che la cosa non sia già manifesta e risaputa da tutti. E non c’è bisogno di dire che se questo secondo [anello della catena] non sa in prima persona assolutamente nulla sul nocciolo della questione, se sia vero che Reuvèn abbia detto male di Shimon, [allora] certamente non deve credere che Reuven abbia trasgredito il divieto di lashon harà’. Ma perfino se sa di persona che Reuvèn biasimò Shimon, però non sappia se fosse in presenza di tre, e il primo [anello della catena] gli ha confidato che la cosa fu detta in presenza di tre, ciò nonostante gli è proibito credergli, e si sospetta che non sia accaduto in presenza di tre e che non ci sia la possibilità che si venga a sapere, e perciò gli è vietato raccontarlo ad alcuno.


2.5


Mi sembra che, se la chiacchiera in presenza di tre avviene al cospetto di persone timorate di D-o, le quali si guardano dalle proibizioni della lashon harà’, per questo fatto non c’è la possibilità che la cosa si venga a sapere, e pertanto è vietato dalla Torà raccontarla successivamente a un altro. E anche se soltanto uno dei tre fosse timorato di D-o, e sta attento al divieto di lashon harà’, anche in questo caso la regola è la stessa, visto che [in questo caso] non vi sono più tre divulgatori. E può darsi che questa sia la regola anche nel caso in cui uno dei tre sia un parente o uno che stima la persona criticata e che si ricada nello stesso ragionamento, perché costui certamente non andrà in giro a sparlare di un suo caro o di una persona amata, e quindi non vi sono più tre persone.


2.6


Mi sembra altresì che, solo nella città stessa in cui si è appreso in presenza di tre, ci sia il permesso di parlarne, in quanto il tuo amico ha un altro amico [ovvero, le voci circolano], ma non in un’altra città, anche se vi sono carovane che si muovono tra le due città, e si rimanda al Pozzo d’Acqua Vivente.


2.7


E nel caso in cui il narratore abbia avvisato di non spargere la voce, anche se ha parlato in presenza di più persone, commette lashon harà’ chi poi lo va a riferire anche se casualmente. E pur constatando che uno o due dei presenti non abbiano osservato questo avvertimento e siano andati a raccontarlo ad altri, ciò nonostante il terzo [del gruppo dei tre] non può a sua volta raccontarlo ad altri nemmeno per caso, e si consulti il Pozzo d’Acqua Vivente.


2.8


Non c’è differenza nell’avvertimento, sia che abbia ordinato loro di non parlare più dell’argomento, sia che abbia chiesto ai presenti che la cosa non venga divulgata da parte loro – in ogni caso è vietato rivelare anche ad altri l’onta di qualcuno, e, a maggior ragione, al diretto interessato, poiché dicendola a qualcun’altro la cosa diventerà di dominio pubblico e arriverà anche all’orecchio di quel tale perché “il tuo amico ha un altro amico”.


[Ma se ha ordinato loro di non parlarne col diretto interessato, c’è la possibilità che sia permesso di parlarne casualmente ad altri. E anche se in ogni caso il divieto di lashon harà’ e rekhilut vale perfino se chi racconta non mette in guardia sulla questione, questo riguarda il caso in cui non si racconti in presenza di tre. Ma nel nostro caso, se non si mette in guardia chi ascolta, la cosa si potrebbe venire a sapere – e in questo caso la Torà non include nel divieto di lashon harà’ lo scenario in cui non si ha l’intenzione di spargere la voce – ed è necessario approfondire [ulteriormente].]1

Inoltre sembra chiaro che [la deroga sussista] proprio nel caso in cui ci siano tre ascoltatori, ma quando due persone raccontino ad altre due persone non sussista affatto questa deroga, e si veda il Pozzo d’Acqua Vivente.


2.9


E tutto quanto abbiamo discusso riguarda il divieto di raccontare [esattamente ciò che si è sentito], ma D-o ci guardi dall’aggiunta perfino di una sola sillaba, o dall’adattare il racconto a chi ascolta, come ad esempio [quando] qualcuno dice che il fatto che riguarda Tizio gli si addice, e cose del genere – questo è certamente vietato in ogni caso, poiché lo mette in cattiva luce con la sua spiegazione più di quanto non non lo facesse già il racconto [originale] narrato in presenza di tre persone. Inoltre, in questo modo si dimostra che si accetta il racconto come veritiero, e questo è vietato a tutti in ogni caso, e come spiegheremo se D-o vorrà più avanti nel par. 7.1, si veda colà. E perciò bisogna stare molto attenti perfino se è risaputo di una cattiva azione fatta da qualcuno quando era giovane, ma da allora e fino ad ora si è comportato correttamente. Oppure se è noto che i suoi avi non si comportavano affatto bene mentre lui non segue la loro strada. E per tutte le cose di questo genere, in cui la verità è che non ha colpe, è vietato rimproverarlo e svergognarlo presso altri. E chi viene meno [a questo divieto] e chiacchiera di queste cose con altre persone, anche se l’individuo oggetto della chiacchiera non è presente, al fine di svergognarlo agli occhi del prossimo, perfino senza aggiungere nulla alla verità, appartiene al gruppo di quelli che fanno lashon harà’, che non ricevono la presenza divina, come riportato nel par. 214 del testo Shaarè Teshuvà. E non rientra in questo caso la deroga prevista in presenza di tre persone, anche se la cosa è risaputa da tutti, considerato che in vero non c’è niente di riprovevole, come scritto in Ezechiele (18, versetto 20): «Il figlio non è responsabile del peccato del [proprio] padre ecc.» (versetto 22) «[a colui che si pente] tutte le colpe di cui si è macchiato non gli verranno ricordate ecc.» - eppure, per questo, quell’altro lo rende oggetto di scherno.


2.10


E si sappia inoltre che tutte le deroghe [al divieto] valide in presenza di tre persone sono applicabili a chi racconta, ma [non necessariamente a] chi ascolta. E cioè, se si sa che chi ascolta è naturalmente propenso a credere immediatamente a quanto si dice di Tizio, e può darsi che aggiunga altre cose oltraggiose su di lui, a un individuo del genere è assolutamente vietato fare alcun cenno di biasimo su qualcun altro, e chi spettegola con lui infrange il versetto «Non porre un ostacolo davanti a un cieco» (Levitico 19, 14) e su questo divieto ci siamo soffermati più su nell’introduzione (Precetti Negativi, par. 4), si veda colà. E tutti i divieti menzionati nella Regola corrente sussistono anche se chi racconta non cita la prima fonte che ha parlato in presenza di tre persone, ma riferisce semplicemente che girano queste voci su Tizio, perfino così è vietato. E dopo tutte queste cose e la verità che abbiamo spiegato, il caro lettore può valutare quanto bisogna stare alla larga da questa deroga in cui non ci si imbatte quasi mai, e anche se in casi particolari tutte le condizioni sussistono, è necessario approfondire se la Halakhà corrisponda davvero a questa opinione, considerato che, secondo molti poskìm*, non c’è alcuna fonte nel Talmud per questa deroga (come abbiamo scritto al termine del par. 4 nel Pozzo d’Acqua Vivente), pertanto la persona accorta ne rimanga alla larga.


2.11


Ed ecco che, secondo quanto abbiamo spiegato, con l’aiuto di D-o benedetto, relativamente alle regole [del parlare] in presenza di tre persone, è necessario prestare attenzione quando si riunisce l’assemblea dei dirigenti locali per analizzare il comportamento dei cittadini – su questioni di valutazioni e stime a favore di Tizio e a sfavore di Caio– e vi siano opinioni discordanti, e si arrivi alle votazioni, e si segua la maggioranza – quando escono dalla sala riunioni, ognuno di loro deve stare molto attento a non raccontare il proprio punto di vista o quello di un altro [dicendo] che all’inizio era propenso all’indulgenza verso Tizio, mentre gli altri hanno avuto la meglio su di lui costringendolo a seguire la loro opinione. E non c’è bisogno di sottolinearlo, nel caso in cui avessero convenuto fin dall’inizio di non rivelare o raccontare all’individuo presente cui si riferisce il debito discusso, [allora] certamente vige il divieto assoluto, ma perfino incidentalmente – quando non ha l’intenzione di rivelarlo ma solo di raccontare ad altri lasciando capire tra le righe che la propria opinione si discosta dal verdetto anche adesso, ma che non si possa contendere sull’argomento con gli altri [membri dell’assemblea]: anche così è del tutto vietato. (E secondo Hayàd Haketanà è vietato perfino se si racconta semplicemente come la propria opinione fosse fin dall’inizio di essere a favore dello stesso Tizio e successivamente si sia votato e deciso secondo la maggioranza). E non fa alcuna differenza sia che si racconti di propria iniziativa, sia che l’interlocutore si impunti con determinazione [affinché gli riveli i dettagli di] quanto decretato da loro su Tizio e Caio – in ogni caso è vietato riversare sugli altri la colpa allontanandola da sé, perfino se è la verità.


2.12


Mi pare di dover aggiungere ancora una cosa sulla questione, avendo osservato che molta gente ne ha preso l’abitudine. E mi riferisco alla situazione in cui, durante una lezione al bet hamidrash* è vietato dalla legge schernire l’oratore affermando che la sua spiegazione è vacua e priva di contenuti, e a causa dei nostri numerosi peccati abbiamo constatato che molti hanno questo vizio senza considerarlo per nulla una trasgressione, mentre secondo la legge è proprio lashon harà’. Infatti, esprimendosi in questo modo si può provocare un danno economico al prossimo, e talvolta anche pena e vergogna, perché anche se ciò fosse vero – la lashon harà’ è vietata perfino sulla verità – che beneficio futuro potrebbe avere in mente chi deride e sbeffeggia con il proprio scherno?!


[E il caro lettore sappia che tutto ciò vale anche se tutte le affermazioni di colui che schernisce [l’oratore] sono vere, e perfino in questo caso è vietato rimarcare la cosa di fronte ai presenti per biasimarlo. E pensandoci bene, si scopre che il derisore mischia allo scherno anche molte bugie, perché accade spesso che i derisori, quando si fanno gioco dell’oratore, sostengono che lui stesso non sa quello che dice e prende in giro [il pubblico] col suo discorso, e così via, tra scherzi e pagliacciate che urtano la sensibilità di chi le ascolta.
(E per di più, deridono l’oratore sostenendo che tutta la sua lezione è finalizzata soltanto al proprio tornaconto. In realtà non è così, ché anche affermando che se non fosse motivato da esigenze economiche non si sarebbe recato a predicare, tuttavia, come [può] chi lo deride affermare che l’intenzione dell’oratore sia rivolta esclusivamente al proprio tornaconto? Forse durante la lezione cerca soprattutto di trasmettere al pubblico insegnamenti morali e timore di D-o, e [allo stesso tempo] vorrebbe anche essere remunerato, come troviamo nei testi dei nostri Maestri (vedi
Shemirat Halashon, Shàar Hatorà, cap. 5), secondo cui dobbiamo impegnarci a mantenere gli studiosi della Torà con tutti i mezzi a nostra disposizione, e con questo approccio viene considerato un giusto assoluto, come insegnano i nostri Maestri nel Talmud Bavli, trattato di Bava Batra (foglio 10b): «Chi dice ‘Do questa moneta in tzedakà* affinché mio figlio sopravviva [alla sua malattia]’ è un giusto assoluto». E [troviamo] un caso simile nel trattato di Bava Metzia (foglio 82b) riguardo al creditore che ha bisogno [di usare] il pegno: un maestro [rabbi ’Akiva] sostiene che ha fatto una mitzvà* concedendo il prestito; l’altro maestro [rabbi Eliezer] sostiene che cercasse il proprio tornaconto e quindi non ha alcun merito. E [quindi, se anche l’oratore volesse essere remunerato, tenendo il suo discorso ha nondimeno fatto una mitzvà, perché] si sa che la Halakhà è secondo rabbi ’Akiva [in caso di disaccordo] con un altro maestro (Talmud Bavli, trattato di ’Eruvìn, foglio 46b). Solo che è necessario fare attenzione che qualunque cosa succeda poi a suo figlio [malato], che D-o ce ne scampi, oppure, nel nostro caso, se gli abitanti della città non lo retribuiscono [per la sua lezione], che non ci si penta poi a posteriori della mitzvà compiuta dando la tzedakà o tenendo quella lezione di morale; e si consulti il commento Tosafòt nel Talmud Bavli, trattato di Pesachìm (foglio 8b, commento che inizia con Sheyizké). E in vero ci è stato comandato nella Torà di giudicare [l’oratore] con magnanimità e [presumere] che quella sia la sua intenzione, come è scritto (Lev. 19, 15) «Giudica il prossimo con benevolenza»).
E nella maggior parte dei casi questa derisione è frequente da parte di quegli stessi individui che non sono timorati di D-o; e perciò, quando sentono parole di morale e di rimprovero riguardo alla negligenza nell’osservanza della Torà, [discorsi] che vanno contro la loro volontà, come è detto (Proverbi 15, 12):
«Il buffone non amerà chi lo rimprovera», [essi] cercano qualche difetto in colui che li rimprovera. E in vero, già hanno detto i nostri Maestri nel Talmud Bavli, trattato di Kiddushin (cap. ’Asarà Yochasìn, foglio 70a): «Chiunque critica, critica il proprio difetto.» E in particolare, molto spesso non c’è alcun motivo per deridere, perché davvero accade a volte che [il tipo di] lezione dipende dalla volontà dell’ascoltatore, in quanto c’è gente che vuole e desidera soltanto nuove interpretazioni dei versetti, e chi vuole [ulteriori] approfondimenti, e chi vuole allegorie. E ora vedremo: se la lezione dell’oratore non è ciò che desiderava, forse che ciò lo autorizza a dire che quanto esposto sia privo di fondamento? Ciò sarebbe assolutamente falso.
E in particolare, cosa molto frequente per via dei nostri numerosi peccati, che parla spinto solo dall’odio; come nel caso in cui serba rancore nei confronti del rabbino della città perché questi aveva espresso una sentenza a lui sfavorevole in un contenzioso che lo riguardava. Oppure nel caso in cui il rabbino spicca tra gli integri per il proprio timore di D-o e per le sue molte
mitzvòt*, e la natura di quei buffoni e maldicenti è l’odio assoluto nei confronti degli integri, perché sanno che essi non approvano le loro malignità e le loro malefatte. E quando sentono che il rabbino tiene una lezione in sinagoga, anche loro usano accorrere ad ascoltarlo, e lo fanno a fin di male per poi denigrarlo. Perché quando il rabbino tiene una lezione importante su molti argomenti, che includono molti temi positivi e benefici, come lo sprono rivolto al popolo a temere il Signore e ad osservare la Torà, insieme ad altri argomenti più leggeri, come usano fare gli oratori – colui che odia non dirà la verità sul rabbino, e cioè che quanto ha insegnato è molto benefico e che ciò che ne sta riportando è [soltanto] la parte più banale, bensì generalizzerà dicendo che tutto il discorso è privo di fondamento – c’è forse lashon harà’ e menzogna più grande di questa?!
E per di più, quando accorre alla sinagoga per ascoltare, la sua intenzione è solo quella di cogliere spunti per poi schernire il rabbino e irriderlo. Tuttavia egli sbaglia a credere che nessuno verrà mai a sapere quello che pensa: in realtà non è così, perché nel mondo futuro tutti verranno a conoscenza dei suoi pensieri maligni, come è scritto (Ecclesiaste 12, 13):
«Alla fine del discorso tutto sarà ascoltato» e la traduzione [di Onkelos] è: «Ogni cosa fatta di nascosto sarà alla fine rivelata a tutti». E allora saranno guai per costui, per essere andato in sinagoga, e per avere ascoltato e per la maldicenza che ha detto in seguito. E in vero troviamo nelle Massime dei Padri (Avot cap. 5, Mishnà 14): «Ci sono quattro categorie riguardo a coloro che vanno al bet hamidrash: chi va senza agire – ha il merito di esserci andato; chi agisce senza andarci – ha il merito delle sue azioni; ecc.» E lui invece si trova nelle situazioni opposte: per prima cosa pecca nell’andarci, e poi [anche] nell’azione, perché la Santa Torà comanda: «Non andare a commettere delazione tra il tuo popolo» (Lev. 19, 16), per insegnarci che anche per l’atto di “andare» vale il divieto, oltre al peccato stesso della rekhilut, come è spiegato nello Shnè Luchot Haberìt (Parte B, Torà Scritta, foglio 61, seconda colonna).
E a una persona di questa risma si riferisce lo scritto dei nostri Maestri
Chibùt Hakéver (fine del secondo capitolo): «A colui che manda avanti le proprie gambe verso una trasgressione, l’Angelo della Morte viene mandato verso di lui.» Perché un individuo di questa sorta, oltre ad accorrere alla Sinagoga per avere di che schernire, lo vedremo subito dopo la lezione durante il Kaddish e quando si risponde “Yehè Shemè Rabbà” – [frase] su cui si regge il mondo, come hanno detto i nostri Maestri nel Talmud Bavli, trattato di Sotà (foglio 49a): «Su cosa si regge il mondo? Sull’“Amén, Yehè Shemè Rabbà” che si pronuncia dopo lo studio dei midrashìm*» – [ebbene, una persona di questa risma] non se ne preoccupa affatto, e si precipita dai suoi amici di cui conosce già la condiscendenza nell’offendere il rabbino, e si unirà a loro in lazzi e pagliacciate per irridere la lezione, ognuno col suo modo personale di fare il buffone. E a volte è successo che per questo motivo non sentano nemmeno le benedizioni dell’officiante.
Ed ecco che soffermandoci a calcolare i divieti che ha trasgredito, e con lui coloro che hanno ascoltato le sue parole – essi sono incommensurabili. E pensandoci bene, vi si ritrovano tutti i precetti negativi e positivi spiegati nell’introduzione, si veda colà. E in tale individuo sono presenti tutte e tre le categorie menzionate dai nostri Maestri nel Talmud Bavli (trattato di Sotà, foglio 42a):
«La categoria dei bugiardi, la categoria dei buffoni e la categoria dei maldicenti». E soprattutto per il fatto che in tal guisa impedisce agli altri di servire il Signore, perché avendo lui umiliato il rabbino, questi non sarà più ascoltato dal pubblico quando darà loro istruzioni su cose riguardanti la Torà e i precetti. Che D-o ci guardi da un tale individuo e dai suoi compari che ascoltano senza reagire i discorsi di questo buffone e maldicente, come dissero i nostri Maestri nel Talmud Bavli (trattato di ’Avodà Zarà, foglio 18b): «Chi si burla sarà colpito dalle avversità», e anche chi lo ascolta restando zitto verrà punito [come esposto nel] Talmud Bavli, trattato di Shabbat, foglio 33a. E si veda più avanti nella Regola 8 par. 4, dove abbiamo spiegato bene quanto sia grande la disgrazia di chi umilia un talmìd chakhàm*.]

Ché se è una persona accorta, al contrario, deve poi consigliarlo a quattr’occhi e raccomandargli di esprimersi in un altro modo, e che nel modo in cui ora pronuncia le sue parole, esse non vengono accettate, e con questa raccomandazione si osserva anche [il precetto] «Ama il tuo prossimo come te stesso» (Levitico 19, 18).


E in ogni caso che non lo renda oggetto di scherno da parte degli altri. E in questa [situazione] non vige la deroga “in presenza di tre”


[A meno che la lezione non includa argomenti eretici, che D-o ce ne scampi, e non ci riferiamo a tale individuo. E si consulti più in avanti il par. 8.5.]

come ho spiegato in dettaglio nel Pozzo d’Acqua Vivente.


2.13


Se qualcuno racconta a un amico in presenza di tre di un proprio affare di lavoro o di commercio, e cose che in genere è vietato raccontare ad altri, per evitare che la cosa gli provochi un danno o un dispiacere - eppure adesso la racconta in presenza di tre, ne deduciamo che non teme che alla fine la cosa si venga a sapere, e quindi a priori chi lo ascolta è autorizzato a raccontarlo a sua volta ad altri, a patto che non sia stato specificato che si tiene particolarmente a [non divulgare] questa cosa. E ciò a condizione che non vengano meno i dettagli spiegati più in alto riguardo al caso “in presenza di tre”, e si consulti il Pozzo d’Acqua Vivente.


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Nota dei traduttori:
[1] I nostri Maestri usano spesso l’espressione “È necessario approfondire” in presenza di apparenti contraddizioni o di conclusioni sorprendenti. Ci sembra che l’Autore non voglia lasciare al lettore l’impressione che il caso contemplato in questa nota sia del tutto permesso, e gli consiglia di cautelarsi attraverso le dovute verifiche.


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Tratto dal sito www.anzarouth.com : Leggi della Maldicenza, Hafetz Haim, Rabbi Israel Meir Kagan, Edizioni Morashà, traduzione e note a cura di Ralph Anzarouth e Raphael Barki
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