Leggi della Maldicenza - Chafetz Chaim
Regola 5 - R. Israel Meir Hacohen Kagan


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Traduzione di Ralph Anzarouth e Raphael Barki


Lashon Harà: Regola 5


In questa Regola si chiarirà brevemente il divieto di lashon harà’ sui precetti riguardanti i rapporti con il prossimo, la negazione delle [sue] virtù, e le norme di lashon harà’ che dipendono dalla persona in questione, e il divieto di lashon harà’ sui beni del prossimo, e in essa vi sono otto paragrafi.

5.1


Così come è vietato svergognare il prossimo riguardo agli obblighi dell’uomo verso D-o, è altrettanto vietato svergognarlo riguardo agli obblighi verso il prossimo, e perfino se non si mischia alcuna menzogna nel racconto in esame. E non nasconderò che questo aspetto è molto articolato e ha molte ramificazioni, e [di conseguenza] in molti casi la legge cambia; e, a D-o piacendo, spiegheremo [queste variazioni] in dettaglio più avanti nella Regola 10 – ma ora spiegheremo un caso particolare di divieto, su cui non sussiste alcun dubbio.


Se si vede qualcuno che ha chiesto del denaro in prestito a qualcun altro (anche se si tratta di un precetto positivo della Torà, come è scritto nell’Esodo (22, 24): «Se presterai del denaro ecc…» e come spiegato nel Sefer Hamitzvot - Libro dei Precetti di Rambam, Precetto Positivo 197) oppure gli ha chiesto di aiutarlo in favori di altro genere e quell’altro si è rifiutato. Oppure nei precetti negativi riguardo ai rapporti con il prossimo, come il divieto di vendicarsi o di serbare rancore (e si rimanda a quanto spiegato nel Talmud Bavli, Yoma 23a, riguardo alle definizioni di vendetta e rancore), siccome quell’altro non gli ha provocato alcun danno (e d’altro canto se anche la persona che ha subìto il rifiuto lo raccontasse ad altri non ne ricaverebbe alcuna utilità) – quindi, chi lo critica per questo motivo in presenza d’altri commette lashon harà’ a tutti gli effetti. E tutto ciò vale perfino se osserva l’accaduto in prima persona e gli sia evidente che avrebbe potuto fargli questo favore ma si è rifiutato a causa della sua perfida natura. E su quanto appena descritto valgono tutti gli aspetti del divieto già spiegati nel par. 4.3 sui rapporti dell’uomo con D-o. E anche se l’aiuto è stato rifiutato a qualcun altro e chi racconta è mosso soltanto dall’amore per la verità, e, a maggior ragione, se chi si è visto rifiutare il favore è colui che racconta, certamente in seguito è vietato andare a criticarlo per questo. E chi trasgredisce, oltre a commettere il peccato di lashon harà’, viola anche il precetto negativo di «Non serbare rancore». E se nel raccontare ha intenzione di vendicarsi dell’altro per l’accaduto e di renderne pubblico l’animo malvagio, allora viola anche il precetto negativo di «Non vendicarti», oltre al divieto di lashon harà’.


5.2


E fino a questo punto abbiamo proposto, fra gli aspetti della chiacchiera vietata, molti argomenti la cui normativa talvolta varia a seconda dei casi. E ora, in questi paragrafi, discuteremo della parte maggiore di loro, poiché non c’è alcuna attenuante per chi racconta senza volerne trarre alcuna utilità, ma solo per denigrare qualcuno, e questa è la trappola più frequente, in cui cascano quasi tutti e soltanto per ignoranza. E pertanto vorrei chiedere al lettore che non si stupisca del fatto che mi dilungherò entrando nel dettaglio, perché spero che forse per questo D-o vorrà che venga rimossa una parte di questa grande insidia.


E replicherò dicendo: è vietato denigrare il prossimo per la mancanza di perfezione delle sue virtù, sia intellettuali, sia fisiche, sia di pecunia e di altre cose del genere. E spiegherò ciò in tutti i particolari: [denigrare per la mancanza di capacità] intellettuali: per esempio, affermare in pubblico che qualcuno non è intelligente. E non soltanto se ciò è falso o parzialmente vero e si esagera la storia più di quanto non sia per davvero, certamente si tratta di un peccato di enorme portata ed è ancora più grave della lashon harà’, ed è motzì shem ra’ a tutti gli effetti, perché si umilia il prossimo con delle falsità. Ma anche se si tratta di verità assoluta: non ci hanno forse inculcato tutti i primi Maestri, come già ricordato nella Regola 1 (par. 1), che si definisce lashon harà’ anche quando corrisponde alla verità?


E affermazioni del genere - e cioè qualora si neghino le qualità di qualcuno - certamente anch’esse costituiscono lashon harà’. E non ha forse scritto Rambam nel primo capitolo del trattato di Avot (Mishnà 17) quanto segue: «E la lashon harà’ consiste nel parlare male di una persona e nel citarne i difetti, e nel criticarlo in qualche modo che rappresenti un biasimo, e perfino nel caso in cui la persona che viene criticata avesse quel difetto ecc…» e come si è dilungato colà [sostenendo] che si tratta di lashon harà’ qualora abbia detto il vero su di lui (si consulti la fonte). E anche da quanto scrisse nel Mishnè Torà (Hilkhot Deot 7, 5), che la lashon harà’ è definita come una cosa che, se diventa risaputa, danneggia la persona fisicamente o economicamente o lo rattrista o lo spaventa, sembra chiaro che la negazione delle qualità di una persona è lashon harà’ assoluta secondo la Torà, perché se si riflette bene si trova che questa cosa provocherà un danno alle sue finanze o lo rattristerà ecc….


E in primo luogo chiariremo ciò di cui ci stiamo curando adesso, e cioè il caso in cui qualcuno abbia detto di un altro che non è intelligente - in verità non c’è danno più grande di questo, poiché se non è ancora sposato, nel caso in cui si diffonde questa voce non troverà nessuna disposto a sposarlo. E se esercita una professione - manuale o intellettuale che sia - non troverà nessuno disposto ad avere a che fare con lui. E in particolare se si tratta di un morè horaà [ovvero un rabbino che indica le direttive della Torà] e se ne dicesse in giro che non è intelligente, non solo ciò sarebbe vietato dalla Torà come lashon harà’, ché certamente nel caso in cui la gente ci credesse e si venisse a sapere in città, gliene deriverebbe una perdita economica, in quanto nessuno sarà più disposto a rivolgersi a lui per una decisione giuridica o un arbitrato. Ma la cosa potrebbe anche degenerare ulteriormente nel caso in cui, per l’umiliazione [subìta] al cospetto dei concittadini, alla fine dovesse allontanarsi per questo dal suo luogo [di residenza] e la vita sua e quella dei suoi familiari dipenderebbero da questo chiacchierone, considerato che per via della sua lashon harà’ infierirebbe letteralmente sulla sua vita - e per di più con ciò mancherebbe di rispetto verso la Torà e chi la studia - e viene definito “colui che disprezza un talmìd chakhàm”, e su di lui hanno detto i nostri Maestri nel Talmud Bavli (Shabbat 119b) che non c’è alcun rimedio alla sua punizione. E il risultato [del suo comportamento] sarebbe il gravissimo crollo, che D-o ce ne scampi, dell’osservanza della Torà. Infatti, se in seguito il rabbino avvertisse [gli ebrei] riguardo a un certo precetto della Torà, essi non ascolterebbero più le sue parole dal momento che hanno già sentito dai maldicenti che egli non è intelligente.


5.3


E io ti chiedo, caro lettore, di riflettere personalmente alla tentazione dello yetzer harà’* che afferma che quanto esposto non sia riconducibile alla lashon harà’: se tu venissi a sapere con tanto di prove che qualcuno ha sparso la voce che non sei intelligente (e altre simili detrazioni), quanto ti irriteresti nei suoi confronti per questo? E penseresti forse: “Chissà quali segni di stupidità avrà notato in me? Questa non è altro che cattiveria e [costui è] un maldicente che vuole soltanto criticare e umiliare il prossimo!” E quando tu [a tua volta] ti comporti in tal guisa nei confronti di qualcuno, malgrado egli sia migliore di te sotto certi aspetti nei confronti di D-o e delle creature, non lo consideri affatto un peccato. Osserva quant’è grande l’inganno in tutto questo. E in vero, mettendo a fuoco la questione, ci troverai molti più elementi inclusi nel divieto di lashon harà’ di quelli estranei. Il primo riguarda chi racconta: si può constatare molto spesso che chi riferisce che un altro ha trasgredito un divieto verso D-o o verso il prossimo, mira soltanto a difendere la verità, e benché ciò non contribuisca alla giustizia, come riportato sopra nei paragrafi 4.2 e 5.1, in ogni caso non aveva cattive intenzioni. Ciò che invece non è vero nel nostro caso, in cui si intende solo condannare e umiliare l’altro, e questo rappresenta un gravissimo difetto come è scritto nello Shaaré Teshuvà di Rabbenu Yona (par. 215 e 216). Il secondo riguarda chi l’ascolta, poiché negli altri casi di lashon harà’ di cui sopra le sue parole non verranno accettate immediatamente, e certamente molti tra gli astanti gli risponderanno: “Fintanto che non lo vedremo con i nostri occhi non ci crederemo. E se anche ciò che hai raccontato fosse vero, c’era probabilmente un motivo che lo ha spinto a comportarsi così, perché detta in questo modo la cosa non è credibile.” E se poi si scoprisse che è falso, chi l’ha raccontato verrà disprezzato e svergognato agli occhi di tutti, perché ha diffamato il prossimo. Ma nel nostro caso, se umiliasse un altro dicendo a tutti che è uno stolto e uno scervellato, e per questo motivo verrà disprezzato e svergognato agli occhi degli altri, è molto frequente, a causa delle molte nostre colpe, che nessuno tra coloro che ascoltano si erga contro di lui e dica: “Parla meno e abbi riguardo per l’onore di un ebreo! Perché devi umiliarlo così tanto?” Come se chi racconta non commettesse un peccato. E su questo ciarlatano è detto nei Proverbi (30, 20): «Ha mangiato e si è pulita la bocca e ha detto ‘non ho commesso peccato’».


[E se con questo si ha intenzione di porre fine alla lite, come nel caso in cui si notasse che Reuvèn detesta Shimon per una certa cosa che questi ha fatto o detto contro di lui, allora si è autorizzati a dire a Reuvèn che Shimon non intendeva criticarlo ma che ciò è dovuto unicamente alla sua stupidità, e questo al fine di alleviare l’odio nel cuore di Reuvèn, ed è anche mitzvà*.]


5.4


E tutto quello che abbiamo scritto [vale] perfino se ha soltanto detto di lui che non è intelligente riguardo alle cose terrene, e, a maggior ragione, se ha parlato di un personaggio ritenuto dai concittadini come un saggio di Torà, e abbia riferito che non è poi così saggio e che conosce la Torà solo marginalmente, e in questo modo diminuirà la stima che hanno di lui, allora certamente si tratta di un peccato di lashon harà’, e ciò perfino se è vero, poiché la sua intenzione è priva di utilità e [vuole] solo degradarlo al cospetto degli ascoltatori, perché in questo modo, in qualunque circostanza si trovi, in fin dei conti tutto questo potrebbe provocargli un danno o in ogni caso affliggerlo. E darò un paio di esempi. Si supponga che si parli con i concittadini riguardo al rabbino della città, affermando che non è un grande esperto di Torà e che piuttosto conosce solo il minimo indispensabile delle norme halakhiche da mettere in pratica. Perfino se fosse vero, costituirebbe lashon harà’ a tutti gli effetti secondo la Torà, perché così facendo se ne riduce a zero l’onore, colpendolo proprio nella sussistenza, e si colpisce l’onore della Torà e l’osservanza dei precetti in essa contenuti, come ricordato nel par. 5.2. Un secondo esempio è dire cose simili riguardo a qualcuno che si è appena sposato nella propria città, perché alla fine per conseguenza ne distruggerà sicuramente l’onore al cospetto di suo suocero, di sua suocera e dei suoi familiari, quando verranno a sapere che in città ha la fama di essere un inetto, e non ci sono danno e afflizione peggiori. E tutti i casi di questo genere. E mi è difficile descrivere il tutto, ma «Dai al saggio e diventerà ancora più saggio» (Proverbi 9, 9) perché il mio intervento è solo uno stimolo iniziale e la persona assennata capirà da sé tutto quanto. E sappi ancora che la cosa vale anche quando qualcuno racconta ad altri di un artigiano che è scarso nella sua professione. Anche in questo caso si tratta di lashon harà’ a tutti gli effetti, perché anche qui sono applicabili tutte le considerazioni [che abbiamo esposto]. E se non era sua intenzione di criticarlo in questa circostanza e in quelle di cui sopra, ma mirava solo a fin di bene - di questo caso parleremo se D-o vorrà più avanti nel par. 9.2 delle Leggi della rekhilut e nel capitolo 3 del Pozzo d’Acqua Vivente.


5.5


E ora approfondiremo il caso descritto in precedenza, ovvero [il divieto di denigrare il prossimo per la mancanza] di forza fisica, e cioè quello in cui si chiacchiera di qualcuno con gli altri dicendo ch’egli è di natura debole. [Ciò] dipende dalle circostanze: se, secondo la sua occupazione, potrebbe derivargliene del male, e cioè se per esempio lavora a giornate oppure insegna o in molti altri casi di questo genere, allora certamente si tratterebbe di lashon harà’. E anche il caso [del divieto di denigrare il prossimo per la mancanza di] pecunia, come ad esempio quando si racconta ad altri di qualcuno che è povero o che non è benestante come si dice di lui in città, ma che piuttosto deve ad altri quello che ha, anche questa è lashon harà’, perché di certo se ciò verrà a sapersi in città non ci sarà più nessuno disposto a fargli credito, e gliene deriverà un danno e una grande afflizione, e con questo si infierisce proprio sulla sua vita. Le persone sensate devono fare particolarmente attenzione a tutto questo, perché non avendo l’intenzione di generare alcun beneficio, certamente bisogna usare estrema cautela affinché non ci siano cattive conseguenze per l’individuo in questione. E se in quei casi si è costretti a raccontare per una qualche utilità, spiegheremo tutto, se D-o vorrà, più avanti nella Regola 9 della seconda parte [Leggi della rekhilut], in quali circostanze e modalità. E bisogna fare moltissima attenzione a non affrettarsi a evocare attenuanti dicendo: “La mia intenzione non è di denigrarlo ma soltanto l’utilità che ne conseguirà” perché ci sono molti dettagli, come sarà spiegato a colui chi approfondirà la Regola 9, si consulti colà.


5.6


E sappi anche [che c’è] un principio semplice riguardo alla lashon harà’, che dipende dalla persona di cui si parla. Accade che uno faccia un’affermazione identica su due individui: riguardo a uno essa è una lode e riguardo all’altro invece si infrange il divieto di lashon harà’. Mi spiego. Si supponga che parli di qualcuno dicendo che è mantenuto da altri e che non ha preoccupazioni di sussistenza, che studia [Torà] tre o quattro ore al giorno - ebbene relativamente a questa persona ciò risulterà molto denigratorio e [l’affermazione] viene definita lashon harà’. E se invece parlerà negli stessi termini di un lavoratore, preoccupato principalmente dalla propria sussistenza - in questo caso [dire che studia 3-4 ore al giorno] verrà considerato un grande complimento. E così via riguardo agli altri precetti positivi, in cui la norma dipende dal patrimonio della persona, come ad esempio per l’onore dello shabbat: se si dicesse di un padre di famiglia povero che investe una certa somma per il santo shabbat, sarebbe per lui un grande complimento. E se si dicesse la stessa cosa di qualcuno conosciuto come ricco, che si comporta in quel modo riguardo al santo shabbat, la cosa verrebbe considerata assai denigratoria e per questo motivo gli astanti diprezzerebbero [quella persona benestante], e questa si definirebbe lashon harà’.


E allo stesso modo, riguardo alle offerte ai bisognosi o tzedakà*, anche qui dipende dal patrimonio dell’individuo: ciò che rappresenta un complimento per qualcuno diventa offensivo per qualcun altro. E anche riguardo ai rapporti con il prossimo, se si dicesse che un benonì* si comporta in un certo modo con i suoi dipendenti, la cosa non verrebbe considerata denigratoria, e se si dicesse la stessa cosa della persona più importante del popolo ebraico, e cioè che si comporta in un certo modo con i suoi subordinati e inservienti, la cosa rappresenterebbe per lui una critica. E così via. Pertanto è molto difficile riportare nel testo tutti i casi in cui si cade nella [trappola della] lashon harà’; quindi prendi quanto scritto da Rambam (Hilkhot Deot 7, 5), fanne una corona per la tua testa e abbilo sempre in mente: «Ogni cosa che, se si venisse a sapere, potrebbe danneggiare una persona fisicamente o economicamente o rattristarlo o spaventarlo, questa è lashon harà’».


E fai attenzione, caro fratello, a non lasciarti indurre in errore dall’istinto malvagio dicendo: “Non hanno forse detto i nostri Maestri (Talmud Bavli, Shabbat 31a): «Non fare agli altri ciò che ti è detestabile»?” E sbaglieresti affermando: “In fondo cosa ho detto di lui, che studia Torà solo tre o quattro ore al giorno! Non sono mica obbligato ad amarlo più di me stesso! Magari dicessero di me che studio Torà tre o quattro ore al giorno!” E così via riguardo alla tzedakà e a quanto si spende per il santo shabbat e altre cose di questo genere. Ma in verità si tratta di un errore, perché l’intenzione del Talmud (v. supra): «Non fare agli altri ecc.» riguarda qualcosa che avresti detestato se fossi stato nelle sue stesse condizioni, e dipende davvero dalla persona in questione, dal posto e dal momento. Se, secondo la circostanza, la cosa fosse per lui offensiva, allora certamente, secondo la legge, corrisponderebbe a lashon harà’.


5.7


E sappi che, così come è vietato parlare male degli altri, lo è altrettanto degli oggetti di loro proprietà (Rabbenu Eliezer da Metz nel Libro dei Timorati (Sèfer Yereìm), segno 191, precetto 41). Ed è molto frequente, a causa delle nostre molte colpe, che un commerciante, mosso dall’invidia, parli male delle merci di un altro commerciante, e cose di questo genere e secondo la Torà questa è assolutamente lashon harà’.


5.8


Il divieto di dire lashon harà’, secondo cui la Torà ci proibisce di fare affermazioni negative sugli altri, vige anche quando sono vere, perfino quando le pronunciasse una sola persona, e, a maggior ragione, quando a dirle fossero in due, nel qual caso il peccato è ancora più grave che per il singolo, perché la credibilità aumenterebbe e quelle parole provocherebbero [ancora più] sdegno perché riferite da due persone. E dovunque scriviamo nel testo “divieto di lashon harà’” intendiamo in qualunque circostanza, a meno che non sia espressamente specificato.




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Tratto dal sito www.anzarouth.com : Leggi della Maldicenza, Hafetz Haim, Rabbi Israel Meir Kagan, Edizioni Morashà, traduzione e note a cura di Ralph Anzarouth e Raphael Barki
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