Leggi della Maldicenza - Chafetz Chaim
Regola 7 - R. Israel Meir Hacohen Kagan


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Traduzione di Ralph Anzarouth e Raphael Barki


Lashon Harà: Regola 7


In questa Regola si spiegherà il divieto di accettare la lashon harà’ quando profferita di fronte a tre persone o in presenza della persona interessata. E anche la legge relativa al caso in cui si è sentita una cosa da molte persone, o quando una voce si sparge in città, o quando la cosa viene detta ingenuamente, o da qualcuno di cui ci si fida come se fossero in due. Essa include quattordici paragrafi.

7.1


Il divieto di accettare la lashon harà’ vale perfino quando chi racconta lo fa di fronte a molte persone: malgrado questa situazione particolare, non bisogna basarsi su di essa per credere che la cosa raccontata sia vera. Bensì, chi la sente deve solamente sospettare la cosa, accertarla, e se si scoprisse che è vera, rimproverare la persona coinvolta per quanto commesso.


7.2


Non c’è nessun permesso di accettare la lashon harà’, neppure quando colui che racconta la lashon harà’ lo fa di fronte alla persona coinvolta: finché non si è sentita un’ammissione diretta da parte dell’interessato, e, a maggior ragione, se egli è assente e chi racconta dice che lo farebbe anche in sua presenza – è vietato basarsi su questa affermazione per credergli – e, per via dei nostri molti peccati, la gente commette molto spesso questo errore. E perfino se l’interessato rimane zitto quando lo si critica in sua presenza, anche in questo caso non la si può considerare una prova che si tratti di verità; e ciò addirittura se questo individuo è naturalmente portato a non tacere quando gli si dice qualcosa che non gli aggrada, e questa volta tace, perché forse adesso sta domando il proprio istinto e si è riproposto di non rispondere più alle provocazioni – o perché forse si è reso conto che gli astanti crederebbero più al suo critico che a lui stesso – com’è pessima usanza tra la gente, che quando ode qualcuno raccontare la cosa di fronte all’interessato, questi può negare cento volte, eppure non gli crederanno – quindi ha deciso che è meglio tacere e rientrare nella categoria dei vilipesi. Perciò non ci si può basare su questo particolare [cioè la presenza dell’interessato durante il racconto e il suo silenzio successivo] per decidere che si tratta di verità.


7.3


Così com’è vietato accettare la lashon harà’ quando la si ascolta da un altro, lo è pure quando la si ascolta da due o più persone. E non c’è bisogno di dire che non bisogna assolutamente credere loro quando essi con questo racconto dimostrano di essere malvagi, perché anche secondo la loro versione, per la quale l’interessato si è comportato male, trasgrediscono il divieto di (Levitico 19, 16): «Non commettere delazione tra il tuo popolo», che vale anche su resoconti veridici, e quindi essi sono dei malvagi, e quindi come possono essere creduti a scapito di questo ebreo, che è ancora da considerarsi del tutto innocente? Perché chi è sospettato di trasgredire il divieto di lashon harà’, è sospettato pure di mentire, cambiare e aggiungere, e che differenza c’è se sono in due? Perfino [se fossero] molti di più, il numero dei malvagi non conferisce valore ai loro propositi! Ma perfino qualora si tratti di un racconto col quale non si rivelano essere dei malvagi, se dicono il vero, anche in questo caso è vietato accettare le loro parole e credere loro completamente, poiché qualunque sia il numero dei testimoni, la testimonianza vige solo in tribunale, ma non all’infuori di esso. Difatti, perfino se essi mentono [al di fuori del tribunale], la loro non è chiamata falsa testimonianza ma solo diffamazione (com’è scritto nel Sefer Mitzvot Katan, precetto negativo 235). E questo [divieto] riguarda la decisione di accettare, mentre il sospettare è permesso, perfino se si è sentita [la cosa] da una sola persona, come esposto in precedenza.


7.4


E questo è il caso anche se si è diffusa una voce riguardo a qualcuno che avrebbe compiuto un’azione o emesso una dichiarazione non conformi alla Torà, sia che si tratti di un divieto grave che di un divieto semplice - in ogni caso è vietato accettare e crederci completamente; [è permesso] solo sospettare, finché la cosa non venga accertata, e, a maggior ragione, si presti molta attenzione, se si vuole informarne altre persone, di non farlo con l’intenzione di spargere la voce ulteriormente, come si è spiegato sopra nel par. 2.3, si consulti attentamente colà.


7.5


Quanto detto sopra vale per un ebreo qualunque, ma se l’interessato ha già una fama confermata di persona malvagia, perché si è venuto a sapere più volte che ha trasgredito spudoratamente divieti noti a tutti gli ebrei, come l’adulterio e cose di questo genere – su un personaggio di questa sorta è permesso accettare la lashon harà’.


7.6


E se qualcuno parla di sé stesso e durante il suo racconto svela un dettaglio biasimevole per sé e [allo stesso tempo] per qualcun altro, è permesso credergli soltanto riguardo a ciò che dice su sé stesso ma non su quell’altro.


7.7


E ora cominciamo a spiegare con l’aiuto di D-o la legge riguardante l’accettazione della lashon harà’ profferita da qualcuno ritenuto degno di fiducia quanto due testimoni, o che parla ingenuamente, o qualora siano frammisti al racconto elementi che ne comprovino la veridicità. E malgrado le norme [che vigono] in questi casi siano per molti versi identiche, essi verranno esposti in paragrafi separati per via di alcuni dettagli in cui le loro leggi differiscono; e anche affinché gli occhi del lettore non vengano confusi dalle molte ramificazioni che si snodano da ognuno di loro. E cominciamo questo argomento, con l’aiuto di Colui che dà la conoscenza all’uomo.


Il divieto di accettare la lashon harà’ vige perfino se la si è sentita da qualcuno ritenuto degno di fiducia quanto due testimoni; e quanto esposto al par. 4.5 – cioè che è permesso rivelare discretamente al proprio rabbino o al proprio confidente se si sa che lo riterranno degno di fiducia quanto due testimoni, e che di conseguenza è permesso al rabbino accettare questa informazione e detestare l’individuo in questione e allontanarsi da lui finché non apprende che questi ha abbandonato la via perversa – questo vale in quel caso lì, quando si tratta di critiche che in verità è permesso divulgare se l’individuo non ha [ancora] fatto teshuvà*, poiché ha commesso volontariamente un peccato il cui divieto è noto a tutti gli ebrei, e per il quale non c’è verso di proporre circostanze attenuanti (per esempio, nel caso di Tuvià nel Talmud Bavli, Pesachìm 113b, dove si tratta di adulterio, e altri casi simili). Ma quanto detto non vale nel caso in cui si possono presentare circostanze attenuanti, come l’ignoranza del divieto di quell’atto, o il fatto di averlo commesso involontariamente, o quando il racconto verte su critiche e rimproveri astratti, o si incentra sulla negazione di qualità [positive], come visto nel par. 5.2, o si rinfacciano a qualcuno le azioni dei suoi antenati e parenti o le sue azioni passate – in questi casi chiaramente non si applica il criterio del “degno di fiducia quanto due testimoni”, perché anche se la cosa raccontata si rivelasse non essere falsa, ciononostante la Torà vieta al delatore la divulgazione di questa critica, e anzi egli deve giudicare con benevolenza, come visto al par. 4.3.


E pure a colui che accetta, è vietato decidere in cuor proprio a sfavore del prossimo a causa di quel [racconto], come esposto nel par. 6.7, e oltre al divieto di accettare, si trasgredisce anche quello di «Non porre un ostacolo davanti a un cieco», insieme a diversi precetti positivi e negativi esposti nell’introduzione, perché colui che racconta trasgredisce senza dubbio il divieto di lashon harà’, come spiegato da tutti i poskìm*, perché la lashon harà’ ricopre anche i casi in cui quanto detto corrisponde a verità; ed è l’atto di ascoltare che ha indotto l’altro [che racconta] a questa trasgressione, perché se il primo non avesse voluto ascoltarlo, quell’altro non avrebbe infranto il divieto; e più si accettano i propositi di chi racconta e i suoi atti hanno effetto, più grave è la condotta di colui che accetta, perché per causa sua chi racconta incorre in una così grave trasgressione.


7.8


E perfino nel caso di Tuvià citato in precedenza, non è permesso accettare direttamente, ma lo si può fare solo quando sono rispettate le due condizioni a cui bisogna fare attenzione:


  • Che chi racconta afferma di aver visto i fatti di persona; ma se li avesse sentiti da altri, la sua affermazione non merita alcun credito.

  • Perfino se dice di aver visto i fatti di persona, è permesso solo crederci e allontanarsi dall’individuo in questione finché non si apprenderà che quel tale ha abbandonato la via del male, ma non [è permesso] raccontare questa cosa ad altri, come esposto alla fine del par. 4.5, e, a maggior ragione, non lo si punisce per questa cosa, né economicamente né fisicamente, che D-o ce ne guardi!

7.9


E se chi racconta la lashon harà’ su qualcuno, lo fa parlando ingenuamente, per inciso nel mezzo di un discorso (e i criteri per chiamarlo “ingenuamente” sono definiti nel Pozzo d’Acqua Vivente), la legge è la seguente: se c’è modo in questo frangente, perfino qualora la cosa raccontata sia vera, di giudicarlo con benevolenza, o se si tratta di negazione delle qualità [positive], o se ci si trova nelle altre situazioni esposte nel par. 7, o se chi racconta non ha visto i fatti di persona (e li ha solo sentiti da altri), [allora] è certamente vietato crederci e decidere in cuor proprio a sfavore del prossimo. E perfino se non ci si trova in nessuna delle situazioni descritte, in ogni caso bisogna stare attenti a non accettare da questa persona, che parla ingenuamente, parole di critica del prossimo, e, a maggior ragione, è vietato basarsi su di esse per andare poi a raccontare la cosa in giro o svergognare verbalmente a questo riguardo [l’individuo in questione], e ancora di più è vietato dalla Torà punirlo economicamente o fisicamente, che D-o ce ne guardi.


7.10


E se vi sono, frammisti al racconto, elementi che ne indicano la veridicità, la legge è la seguente: se c’è modo in questo frangente, perfino qualora la cosa raccontata sia vera, di giudicarlo con benevolenza, o se si tratta di negazione delle qualità, o se ci si trova nelle altre situazioni esposte nel par. 7, [allora] non ci si può attenere agli elementi che indicano la veridicità, perché si è certamente obbligati a giudicare la persona favorevolmente, trattandosi di un benonì*, affinché costui non si renda indegno ai nostri occhi come detto sopra. Ma se si tratta di un fatto riguardo al quale non si possono trovare circostanze attenuanti in favore di chi lo ha commesso, [allora] è permesso crederci e accettarlo.


[E in ogni caso bisogna stare molto attenti e dilungarsi nell’accertare se veramente trattasi di elementi significativi, e prestare attenzione a tutte le condizioni necessarie e come sarà esposto in seguito, perché in questi argomenti l’istinto malvagio inganna notevolmente l’uomo e gli mostra alcuni dettagli evidentemente veritieri affinché ci creda e per poterlo così incastrare nella trappola del peccato dell’accettazione di lashon harà’; e quindi, è bene non affrettarsi a essere indulgenti su queste cose.]

7.11


E quanto sopra vale solo se questi elementi sono veramente significativi, cioè sono direttamente collegati al racconto, e se il relatore li ha osservati di persona. Me se essi sono remoti e la loro evidenza è soltanto parziale, o se non sono stati osservati direttamente dal relatore, che li ha invece appresi da terzi, [allora] questi [elementi] non aggiungono alcuna credibilità [al suo discorso].


7.12


E si sappia che, perfino se questi elementi sono veramente significativi, ciò serve solo a permettere [a chi ne viene a conoscenza] di credere personalmente a quanto riferito, ma non permette di andare a raccontarlo ad altri. [Difatti, questo caso] non è preferibile a quello in cui si osserva personalmente il fatto deplorevole, e in cui è vietato raccontarlo poi ad altri, come spiegato nei paragrafi 4.3 e 4.4. E si sappia anche che in ogni caso è vietato punire economicamente o fisicamente [l’individuo in questione] in base a questa deroga riguardante gli elementi veramente significativi.


7.13


E a volte viene permesso al tribunale rabbinico, in casi contingenti – come ad esempio quando uno viene a gridare la sua denuncia di un furto che ha subìto, e valuta con certezza basandosi su elementi veramente significativi chi è l’autore del furto, e anche il tribunale osserva quegli elementi significativi, o testimoni confermano quegli elementi significativi – viene permesso ai giudici di percuotere [l’individuo in questione] per farlo confessare. Ma ciò non è permesso a un singolo individuo, e perfino a un tribunale che non abbia ancora accertato gli elementi significativi, a parte quanto riferito da chi lo ha denunciato.


7.14


E da quanto esposto si può osservare quanta gente si sbagli riguardo a questi argomenti: ché se subiscono un furto, e i loro sospetti ricadono su qualcuno, essi informano le autorità cittadine di avere elementi significativi contro di lui, ed esse lo fanno percuotere e punire ingiustamente affinché confessi. E veramente ciò non è conforme alla legge, perché [perfino] se gli elementi significativi fossero come una prova del fatto, e le autorità cittadine si comportassero come il tribunale, non sarebbe [allora] forse necessario accertarsi dapprima che ci sia stato un furto, e che ci siano testimoni di questi elementi significativi, o che essi stessi li abbiano visti di persona (come nel caso di Mar Zutra), anziché basarsi [unicamente] sull’accusatore per percuotere un ebreo senza motivo? Ed è perfino vietato credere interiormente a chi accusa quell’altro di averlo derubato, per via del [divieto di] accettare la lashon harà’, e, a maggior ragione, [è vietato] basarsi su questi elementi per percuoterlo, ché è una grave trasgressione, e con essa si infrange il divieto di (Deuteronomio 25, 3) «Non aggiungere».


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Tratto dal sito www.anzarouth.com : Leggi della Maldicenza, Hafetz Haim, Rabbi Israel Meir Kagan, Edizioni Morashà, traduzione e note a cura di Ralph Anzarouth e Raphael Barki
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