Il sentiero dei giusti - Cap 5. Gli Ostacoli alla Prudenza e come evitarli (Mesilat Jesharim) di Rabbi Moshe Chaim Luzzatto



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Traduzione di Ralph Anzarouth


Gli ostacoli che impediscono di acquisire la prudenza e che allontanano da essa sono tre:

  • le occupazioni e le preoccupazioni terrene;
  • le frivolezze e le pagliacciate;
  • le cattive compagnie.

E ora parleremo di ognuno di essi.


Abbiamo già parlato delle occupazioni e delle preoccupazioni1. Poiché l'uomo è tormentato delle sue occupazioni materiali, i suoi pensieri sono prigionieri del peso che li opprime e quindi non possono vigilare sul comportamento. E vedendo questo i Maestri, la pace sia su di loro, dissero nelle Massime dei Padri (Avot 4, 12): "Occupati poco del commercio e dedicati alla Torà". Difatti, se l'attività lavorativa è necessaria per l'uomo ai fini del suo sostentamento, tuttavia non è necessario eccedere nel dedicarsi al proprio lavoro al punto da non lasciare più spazio al proprio servizio [di D-o]. Perciò ci è stato comandato di fissare dei tempi regolari per lo studio della Torà. E abbiamo già ricordato che [lo studio della Torà] è quanto c'è di più necessario per acquisire la prudenza, come detto da Rabbi Pinchas2: "La Torà conduce alla prudenza". E senza di essa non la si ottiene mai ed è ciò che dissero i Maestri di benedetta memoria (Avot 2, 6): "L'ignorante non diventa un devoto".


E questo succede perché il Creatore, benedetto sia il Suo Nome, creò l'istinto malvagio e fu Lui stesso a creare la Torà per sedarlo, come è detto (Talmud Bavli, trattato Kiddushin 36b): "Ho creato l'istinto malvagio e ho creato la Torà che gli faccia da antidoto". Ed è chiaro che se il Santo, benedetto Egli sia, ha creato solo questo unico rimedio per quella piaga, è assolutamente impossibile che l'uomo ne guarisca senza utilizzarlo. E sbaglia chi crede di scampare facendone a meno; alla fine vedrà il suo errore, quando morrà nel peccato. Poiché in effetti lo Yetzer Harà (l'istinto malvagio) è molto forte nell'uomo e continua a rafforzarsi e a dominarlo senza che egli nemmeno se ne accorga; e chi ricorresse a tutti gli stratagemmi del mondo, rinunciando però a usare il rimedio creato appositamente per lui, cioè la Torà, come già detto, non si accorgerebbe nemmeno dell'aggravamento del proprio malanno: se ne renderà conto solo quando morrà nel suo peccato e la sua anima andrà persa.


A cosa ciò può essere paragonato? A un malato che consulta i dottori: questi hanno individuato la sua malattia e gli hanno prescritto una determinata medicina. E lui, invece, senza possedere alcuna conoscenza medica, accantona quella medicina e sceglie di testa sua una cura diversa - è certo che quel malato morrà! Così è nel nostro caso, perché nessuno conosce il malanno dello Yetzer Harà e la forza di cui è dotato, fatta eccezione per il Creatore che lo ha creato e che ci ha avvertito che la cura contro lo Yetzer è la Torà. Chi può dunque abbandonarla, scegliere qualcos'altro in vece sua e uscirne vivo? È ovvio che le tenebre e la materialità continueranno a sopraffarlo progressivamente e non se ne renderà nemmeno conto, fino a che non sarà invischiato nel male e così lontano dalla verità che l'idea di ricercarla non gli verra neppure in mente.


Se invece si dedica alla Torà, quando vedrà le sue vie, i suoi comandamenti e le sue messe in guardia, finalmente si desterà in lui la presa di coscienza che lo condurrà sulla retta via. E questo è ciò che dissero i Maestri di benedetta memoria (Midrash Eikha Rabba, introduzione, 2): "Magari abbandonassero Me e [invece] osservassero la Torà, poiché la luce che essa contiene li riporterebbe sulla retta via3." E infatti questa regola richiede anche di fissare dei tempi per riflettere alle [proprie] azioni e al loro miglioramento, come già ricordato. E inoltre, se è saggio, non sprecherà niente del tempo libero che gli rimarrà dopo essersi occupato delle sue attività; anzi, lo prenderà al volo e non lo lascerà più, in modo da occuparsi di sé stesso e del perfezionamento del proprio servizio [Divino]. E tra gli ostacoli [all'acquisizione della prudenza] questo [che è causato dalle occupazioni e dalle vicissitudini terrene], malgrado sia il più generico, è il più facile da evitare per chi volesse scamparne.


Invece il secondo, che riguarda chi indulge in lazzi e buffonate, è molto problematico, poiché chi sprofonda in questo comportamento è come se annegasse nel vasto mare, dal quale è molto difficile scampare. Difatti, la buffoneria conduce l'uomo alla perdita della ragione, al punto che il buon senso e il raziocinio non hanno più presa su di lui: diventa come un ubriaco o un dissennato, ai quali non si possono proporre consigli o fungere da guida, poiché non accettano alcuna autorità.


Ed è ciò che disse il re Salomone, la pace sia su di lui (Ecclesiaste 2,2): "Del riso ho detto che è insensato e della gioia ho chiesto a cosa serva". E i nostri Maestri dissero nelle Massime dei Padri (Avot 3, 13): "Il riso e l'incoscienza abituano l'uomo alla depravazione". Infatti, benché ogni persona ragionevole capisca la gravità della dissolutezza e abbia perciò timore di avvicinarsene, avendo già preso coscienza della reale entità del peccato e della sua dura punizione, malgrado ciò il riso e l'incoscienza lo attirano piano piano, un gradino alla volta, finché giungerà al peccato in sé e lo commetterà. E perché tutto ciò accade? Perché così come l’idea di prudenza dipende totalmente dall'attenzione che si presta alle cose, così l'essenza del riso non è altro che il distogliere la propria attenzione dalla riflessione corretta e profonda, cosicché il pensiero del timore [di D-o] non ha alcun accesso al cuore dell’uomo.


E nota quanto la buffoneria sia grave e dannosa: come uno scudo unto d'olio respinge e fa cadere le frecce e le getta in terra, impedendo loro di giungere al corpo dell'uomo, così agisce lo scherno di fronte al rimprovero e al biasimo, poiché basta una facezia e una piccola battuta per stroncare gran parte dello stimolo e dell’azione, cioè la presa di coscienza e gli effetti pratici che il cuore mette in atto autonomamente quando vede o sente qualcosa che gli ricorda [la necessità] di fare i conti e di setacciare4 le proprie azioni. E per effetto dello scherno tutto ciò cade in terra e non avrà alcuna ripercussione concreta. E questo non accade perché ciò che ha indotto [la sua presa di coscienza] sia debole né perché lui stesso manchi di capacità di intendimento, bensì per colpa dello scherno che distrugge ogni ragionamento di morale e del timore [di D-o].


E infatti a questo riguardo il profeta Isaia strillava come una gru5, poiché vedeva che era proprio questa attitudine ciò che impediva ai suoi rimproveri di avere effetto e spegneva le speranze dei peccatori, come dice il versetto (Isaia 28, 22): "E adesso, smettetela di fare i buffoni, altrimenti le vostre catene si rinforzeranno”. E i Maestri già decretarono che (Talmud Bavli, trattato Avodà Zarà, 18b): "Il buffone va a cercarsi i propri guai". E la Bibbia stessa lo dice esplicitamente (Proverbi 19, 29): "Per i buffoni sono pronti i guai". Perché la logica vuole che chi intraprende un cambiamento in seguito alla riflessione e agli studi non ha più bisogno di soffrire fisicamente, perché già si pente dei propri peccati anche senza [punizione], grazie all’effetto dei pensieri di Teshuvà che si faranno strada nel suo cuore, suscitati dai rimproveri e dagli insegnamenti morali che ha letto o ascoltato. Invece per emendare i burloni, che a causa della loro buffoneria non reagiscono ai rimproveri, non c'è rimedio all'infuori delle avversità, che i loro lazzi non riusciranno a respingere come avevano invece respinto i rimproveri. E infatti, il Vero Giudice ha disposto una grave punizione, in proporzione alla gravità del peccato. Ed è ciò che ci hanno insegnato i Maestri (Talmud Bavli, trattato Avodà Zarà, 18b): "Grave è lo scherno, perché comincia con le punizioni e termina con la distruzione, com'è detto (Isaia 28, 22): ’E adesso, smettetela di fare i buffoni, altrimenti le vostre catene si rinforzeranno. Perché ho udito un decreto di distruzione ecc.’.”


E il terzo fattore [che impedisce la prudenza] sono le [cattive] frequentazioni, cioè la compagnia di stupidi e di peccatori. Ed è ciò che dice il versetto (Proverbi 13, 20): "E chi frequenta gli stolti diventa malvagio", poiché si osserva spesso che perfino dopo che l'uomo ha appurato l'obbligo di servire [D-o] e la necessità della prudenza a questo fine, malgrado ciò ne farà un uso limitato o ne negligerà alcuni aspetti per non essere schernito dai suoi amici o per assicurarsi la loro compagnia. Ed è proprio su questo che Shlomo [il re Salomone] mette in guardia dicendo (Proverbi 24, 21): "E non ti mischiare con i sovversivi6." Infatti, se qualcuno ti dice (Talmud Bavli, trattato Ketuvot 17a): "L'uomo deve sempre essere socievole7 con le altre persone", rispondigli: "Di quali persone parla questo detto? Di quelle che si comportano come esseri umani e non di quelle che si comportano come bestie".


E [il re] Salomone ammonì ancora (Proverbi 14, 7): "Sepàrati dallo stolto". E il re David disse (Salmi 1, 1): "Felice l'uomo che non segue i consigli dei perversi, non si ferma sulla strada dei peccatori e non si siede insieme ai buffoni" e i Maestri di benedetta memoria spiegarono (Talmud Bavli, trattato Avodà Zarà 18b): "Se li segue finirà per fermarsi e se si ferma finirà per sedersi". E disse (Salmi 26, 4): "Non mi sono seduto con i bugiardi [...] detesto la banda dei malfattori ecc.". L'uomo deve necessariamente purificarsi, raffinarsi e allontanarsi dalle strade percorse dalle masse, impantanate nelle vanità del momento; e dirigersi verso la corte di D-o e i luoghi in cui Egli risiede. Ed è così che David stesso conclude (ibid.): "Laverò le mie mani con purezza, e girerò attorno al Tuo altare, o Eterno".


E se gli capita di trovarsi in compagnia di persone che si fanno gioco di lui, che non faccia caso ai loro lazzi. Anzi, che si prenda gioco di loro e li svergogni; e che pensi in cuor suo che se si fosse trattato di guadagnare una grande somma di denaro, avrebbe forse rinunciato a intraprendere quella attività per evitare di essere schernito dai suoi amici? E a maggior ragione non vorrà perdere la propria anima per [evitare] lo scherno.


E i Maestri ci hanno messo in guardia in modo analogo (Avot 4, 2): "Sii coraggioso come una tigre ecc. nel compiere la volontà di tuo Padre che è in cielo". E David disse (Salmi 119, 46): "E parlerò della Tua testimonianza davanti ai re e non me ne vergognerò"; infatti, benché la maggior parte dei re della sua epoca si occupassero e parlassero principalmente di piaceri e di cose sontuose ed essendo anche David un re, in teoria parlare di morale e di Torà in loro compagnia, anziché dibattere dei piaceri e delle cose grandiose che si addicono a uomini del loro rango, dovrebbe essere una vergogna per lui; eppure, malgrado ciò, non se ne è per niente preoccupato e il suo cuore non ha prestato attenzione a queste vanità, avendo ormai capito la verità. E anzi, dice esplicitamente [nel versetto già citato]: "E parlerò della Tua testimonianza davanti ai re e non me ne vergognerò". E così disse pure Isaia (Isaia 50, 7): "Perciò feci una faccia dura come la pietra, sapendo di non dovermi vergognare".
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Note del Traduttore:
[1] Si veda il capitolo 1.
[2] Si veda la Beraita nell'introduzione.
[3] Ovviamente il Midrash non suggerisce di abbandonare Hashem, che D-o ce ne scampi. L'idea è di invitare coloro che già si trovano in uno stato di lontananza dal Creatore a occuparsi (almeno) di Torà, la cui luce li riporterà sicuramente sulla retta via.
[4] Abbiamo già incontrato nel capitolo 3 le espressioni “fare i conti” e “setacciare”. Il lettore che avesse dimenticato questi concetti capirà meglio questo paragrafo dopo un breve ripasso.
[5] Espressione talmudica: strillare come una gru (dal trattato di Kiddushin).
[6] I Maestri danno spiegazioni diverse per il termine ”Shonim”: Rashi attribuisce loro idee abominevoli e in ogni caso sembra esserci un consenso riguardo alla loro condotta ribelle.
[7] Il termine Meurevet usato in questo brano della Ghemarà significa “gradevole” ma anche “mescolato/a”. Il commento di Rashi sembra preferire la prima chiave di lettura, ma ho l’impressione che l’autore preferirebbe una sintesi, ciò che spiega la mia scelta.

Testo originale in Ebraico

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Tratto dal sito www.anzarouth.com : Messilat Yesharim, Rabbi Moshe Chaim Luzzatto, traduzione e note di Ralph Anzarouth
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