Accettare le Avversità - tratto da "Darké Eliahu" "Le Vie di Eliahu" di R. Eliahu Y. Hacohen



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Traduzione di Ralph Anzarouth


Accettare le Avversità:


Prima parte: Chi viene colpito da una sventura deve ricordare in ogni momento di compiere quattro precetti:


A) "E capirai in cuor tuo che il Signore tuo D-o ti punisce come un padre punisce suo figlio" (Deut. 8, 5), per il tuo bene e nel tuo interesse, per rimuovere le macchie dei tuoi peccati. E difatti, è come [l'esempio di] un malato cui va amputata una gamba, che D-o ce ne liberi: egli si reca da un medico di grande esperienza, e lo paga fior di quattrini affinché lo curi. Forse odierà il medico per via della gamba che questi gli amputa? Al contrario, egli lo paga una fortuna perché sa che si tratta di un rimedio alla sua condizione. Allo stesso modo, l'uomo deve sapere che le avversità (Yisurim) che D-o gli impone sono per il suo bene e nel suo interesse, per ripulirlo dai suoi peccati: così come un indumento viene lavato e strofinato per pulirlo, allo stesso modo il Santo, benedetto Egli sia, ripulisce l'anima dell'uomo strofinandola attraverso le contrarietà, per nettarlo dai suoi peccati, e tutto ciò per il suo bene e nel suo interesse.


B) "E amerai il Signore tuo D-o [...] con tutte le tue forze" (Deut. 6, 5): devi esserGli molto riconoscente, qualunque trattamento Egli ti riservi. Da qui il Talmud deduce che bisogna benedire Id-io nelle circostanze negative così come Lo si benedice in quelle positive; e i commentatori hanno spiegato che questo significa [che Lo si deve benedire] con la stessa gioia con cui Lo si benedice per il bene ricevuto, consci del fatto che queste [traversie sopraggiungono] per il proprio bene, per ripulire i propri peccati.


C) "Hai contato sulla salvezza?" (Talmud Bavli, trattato di Shabbat, 31a) Ed i commentatori hanno scritto che questo precetto [di credere fermamente nel soccorso Divino] si applica a chiunque si trovi nei guai, sia malato e via di seguito: bisogna contare sulla salvezza Divina. Ed è una delle domande che vengono poste all'uomo al momento del giudizio1.


D) Nel Talmud Yerushalmi è scritto che l'uomo deve pronunciare tutti i giorni 3 versetti:


  • "L'Eterno Tzeva-ot è con noi, il D-o di Yaakov è il nostro baluardo" (Salmi 46, 8)

  • "L'Eterno Tzeva-ot, felice è l'uomo che ha fede in Te" (Salmi 84, 13)

  • "Eterno salvaci! Il Re ci risponderà nel giorno in cui Lo invocheremo" (Salmi 20, 10)

[Ossia] l'obbligo della fiducia in D-o in ogni momento.


Ed esiste anche un [quinto] precetto, stabilito per il malato. [Benché] Rambam e Ramban fossero di parere diverso riguardo al precetto della preghiera quotidiana, poiché secondo Rambam si ha l'obbligo di pregare [solamente] una volta al giorno, in ogni caso tutti sono d'accordo sull'obbligo speciale di pregare D-o nei momenti di travaglio; e perciò chiunque sia in preda alle avversità ha, secondo la Torà, un precetto positivo e un obbligo speciale di pregare.


Seconda parte: È scritto nello "Shné Luchot Habrit" ["Le Due Tavole del Patto", di R. Y. Horowitz], nel capitolo Sha'ar Haahavà che il vero servitore, cioè colui che anziché servire sé stesso serve D-o con timore e con amore, accetta su di sé le avversità con benevolenza e non si scosta in alcun modo dal suo servizio [di D-o]. E Rabbenu Yona scrisse nello "Shaaré Teshuvà" (quarta parte, par. 12) che colui che accetta le avversità con benevolenza si procura in questo modo uno scudo contro le numerose avversità che meriterebbe di ricevere; e così ha pure interpretato il versetto dei Salmi (76, 11) "Quando la rabbia dell'uomo Ti ringrazierà, Tu riporrai il resto della collera": cioè, quando l'uomo è vittima di contrarietà, rabbia, e l'accetta con benevolenza e ne ringrazia Id-io, allora Tu riporrai il resto della collera, cioè D-o cinge con una cinghia le altre disgrazie e avversità che sarebbero dovute arrivare a quel tale e impedisce loro di colpirlo.


Ed è pure scritto (Isaia 12,1):"Ti ringrazio, Signore, di esserTi adirato nei miei confronti: la Tua collera si calma e Tu mi consoli." Per via del fatto che l'individuo ringrazia D-o benedetto per averlo punito e accetta la punizione con benevolenza, Id-io benedetto torna a consolarlo per questa sua disgrazia e impedisce che gli arrivi quella successiva.


Terza parte: Riguardo al versetto delle Lamentazioni (Eichà 3, 39) "Perché si lamenta l'uomo che vive, la persona che ha peccato?", i nostri Maestri dissero nel Talmud Bavli (trattato di Kiddushin, 80b): perché l'uomo si lamenta per i suoi guai? Aveva forse sormontato i suoi peccati? Che gli basti di essere vivo, e questo è il significato dell'espressione "l'uomo che vive"; e Rashi ha interpretato così questo passaggio: "Perché l'uomo si lamenta di ciò che gli succede, dopo tutta la bontà che Io gli offro? Gli ho dato la vita e non l'ho fatto morire!" Ciò ci insegna che ogni persona deve riconoscere la bontà di D-o nei suoi confronti, poiché in verità, per via dei suoi peccati meriterebbe la morte, e il Santo, benedetto Egli sia, gli offre un regalo disinteressato. Allora, perché si lamenta per le disgrazie che lo colpiscono? Poiché a onor del vero chi commette peccati e usa la vita che gli è stata concessa per trasgredire la volontà del suo Creatore, costui non merita assolutamente la vita; e gli basti il fatto di essere vivo, e che lodi e ringrazi Id-io benedetto per essere in vita, poiché anche questo è un dono disinteressato2.


E quando l'uomo vive con la consapevolezza che la vita stessa è un regalo disinteressato [che gli viene offerto] per bontà e non perché lo meriti, allora è sempre felice e soddisfatto di ciò che ha e della vita in sé; e non si lamenta e non geme per non essere riuscito ad ottenere il progresso auspicato in ciò che desidera, perché gli basti il fatto di essere vivo.

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Note del Traduttore:
[1] Dopo la fine di questa vita terrena.
[2] Da parte del Signore.

Tratto da 'Darké Eliahu', capitolo 17, di Rabbi Elyahu Hacohen, rabbino contemporaneo che ci ha lasciati anzitempo qualche anno fa. Questo brano è qui tradotto e riproposto con la calorosa autorizzazione delle Edizioni Pelman di Bné Berak.
Notre traduction en français - Nostra traduzione in francese



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Tratto dal sito www.anzarouth.com : Darké Eliahu, Rabbi Eliahu Hacohen, Edizioni Pelman, traduzione e note a cura di Ralph Anzarouth
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