Shne Luchot Habrit - Rabbi Yeshaya Horowitz (Ha-Shlah Ha-Kadosh): La Mitzvà è una candela e la Torà una luce



Traduzione di Ralph Anzarouth


BS"D


Poiché la Mitzvà è una candela
e la Torà una luce
e i rimproveri di morale
sono il cammino della vita

Proverbi 6, 23

Il significato semplice del versetto è che la Mitzvà (il precetto) è come una candela che serve a illuminare davanti a te, come è detto (Salmi 19, 9): "La Mitzvà di D-o è pura: essa illumina gli occhi"; e la Torà è come una luce per chi la studia1; e (Ecclesiaste 2, 14) "lo stolto invece brancola nel buio."


Ed ecco che [le due espressioni] "candela" e "luce" possono essere interpretate in due modi:

  • Un singolo lume si chiama "candela", mentre "luce" indica una grande fiamma, in accordo con quanto insegnato dai Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato di Kiddushin, 40b): "Lo studio è importante perché conduce all'azione." [Perciò] la Mitzvà che corrisponde all'azione viene chiamata "candela", e la Torà che corrisponde allo studio viene chiamata "luce".
  • Secondo la seconda interpretazione, la candela stessa include [i due concetti] di "candela" e di "luce", poiché la candela è il ricettacolo della luce, cioè "candela"2 nel senso di stoppino immerso nell'olio, e la luce le è attaccata. E l'una e l'altra sono indissociabili e reciprocamente indispensabili, poiché la luce della candela non ha nient'altro a cui attaccarsi se non la candela stessa, poiché la luce, senza una sorgente a cui attaccarsi torna al suo stato iniziale3; e pure la candela non illumina, se non attraverso la luce che le è attaccata. Così è [anche] la Mitzvà: lo studio è la causa dell'azione, come è detto nelle Massime dei Padri (Avot 2, 5): "Hillel dice: 'l'ignorante non teme il peccato'." E in effetti lo studio non ha altro a cui attaccarsi se non l'azione, come è insegnato (Avot 3, 9): "Rabbi Chanina ben Dosa dice: 'Colui che pone il timore del peccato al di sopra della sua saggezza, questa sua saggezza si mantiene. E colui pone la sua saggezza al di sopra del timore del peccato, questa sua saggezza non si mantiene'."

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Note del traduttore:
[1] Si veda il commento di R. Avraham Ibn Ezra al nostro versetto, Proverbi 6, 23 (si può cercare in una qualsiasi edizione del Mikraot Ghedolot sul libro dei Proverbi).
[2] L'autore usa in questa frase proprio il vocabolo italiano "candela".
[3] Il buio, suppongo.

Questo testo un po' impegnativo è tratto dal primo paragrafo dello "Shnei Luchot Habrit" (le "Due Tavole del Patto"), l'opera più importante di Rabbi Yeshaya Horowitz Halevi, uno dei più importanti Maestri della Torà, vissuto quattro secoli fa in Polonia e poi in Terra d'Israele. Fu uno dei quattro Maestri a meritare il soprannome "Kadosh" (santo), per cui è chiamato spesso lo Shlah Hakadosh; gli altri tre sono l'Or Hachaim, l'Arizal e l'Alshich. È un testo ricco di insegnamenti etici, probabilmente non adattissimo ai principianti. Il seguito di questo brano appiana l'apparente contraddizione tra le due interpretazioni esposte.


Testo originale in ebraico dal sito Hebrewbooks.org
Notre traduction en français - Nostra traduzione in francese

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Tratto dal sito www.anzarouth.com : Snei Luchot Habrit, Rabbi Yeshaya Horowitz, traduzione a cura di Ralph Anzarouth
Meglio ancora se aggiunge anche un link verso:
http://www.anzarouth.com/2008/11/shnei-luchot-habrit-ner-mitzva.html