Leggi della Maldicenza - Chafetz Chaim
Regola 9 - R. Israel Meir Hacohen Kagan


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Traduzione di Ralph Anzarouth e Raphael Barki


Lashon Harà: Regola 9


In questa Regola si spiegherà la norma della polvere di lashon harà’1 in tutte le sue componenti. Essa conta sei paragrafi.

9.1


Ci sono frasi vietate perché contengono polvere di lashon harà’, per esempio quando si dice: “Chi l’avrebbe detto che quel tale sarebbe diventato com’è oggi…” oppure “Non parlate di quel tale, non voglio svelare ciò che è successo e ciò che sta per succedere” e frasi di questo tipo. E così è il caso di chi loda qualcuno davanti ai suoi detrattori: anche questa è polvere di lashon harà’, perché li provoca a dir male di lui.


[E da ciò impariamo che questo vale in tutti i casi paragonabili: [e cioè] ogni qual volta si abbia intenzione di parlare di un tale con qualcuno che non lo ha in simpatia e che quindi ne dirà del male, è vietato parlare di lui con questa persona.]

Ed è vietato eccedere nell’elogio di una persona anche in assenza dei suoi detrattori, perché di frequente si conclude con una critica [del tipo]: “Se non fosse per quel brutto vizio che ha…” oppure gli astanti potrebbero rispondere: “Perché eccedi nelle lodi di quella persona, non ha forse questo o quel difetto?”


9.2


E ciò vale nel caso in cui si tessano le lodi [a qualcuno] non in pubblico. Ma in pubblico, è vietato [farlo] in ogni caso, perché di solito in una folta assemblea si trovano [anche] avversari d’ogni bordo e invidiosi, e se si elogia quella persona, essi ne diranno del male.


[E se si prevede che gli astanti non lo criticheranno, per esempio nel caso in cui non lo conoscono, è permesso elogiare perfino in pubblico, a condizione di non esagerare.]

E se si desidera encomiare una persona generalmente riconosciuta come retta e integra, priva di qualsiasi macchia o colpa, lo si deve fare anche davanti a chi lo odia e lo invidia, perché costui non potrà opporre alcuna critica, e se anche lo facesse, sarà evidente a tutti che sta parlando a vanvera.


9.3


Bisogna prestare attenzione a non elogiare il prossimo con lodi che provocheranno un danno, come per esempio un ospite che gira per la città proclamando davanti a tutti la generosità di colui che lo ha ospitato prodigandogli cibo e bevande, e che si è dato tanto da fare per lui – perché in questo modo i perdigiorno si radunerebbero, si precipiterebbero da colui che lo ha ospitato e ne prosciugherebbero i beni. E a questo proposito è detto (Proverbi 27, 14): «Benedire chiassosamente il prossimo di prima mattina è come maledirlo». E ne deduciamo che questo è anche il caso di qualcuno che, dopo aver ottenuto un prestito da un amico, proclami davanti a tutti quanto sia grande la sua bontà; perché spesso in questo modo della brutta gente accorrerà dal suo amico, che non riuscirà più a liberarsene. E bisogna sorvegliare la propria bocca e la propria lingua, in maniera che le proprie affermazioni non generino sospetti , e non si venga tacciati di maldicenza. E [anche] soltanto esporsi al sospetto [di maldicenza] è già polvere di lashon harà’.


[Non si è citato il caso di nùra beplània (“il fuoco è [sempre] acceso a casa di quel tale”) tra gli esempi di polvere di lashon harà’ (malgrado quanto esposto in precedenza nel Pozzo d’Acqua Vivente, Regola 2, 2) e le fonti di detto caso sono Rashbàm sul trattato di Bava Batra (165a, par. Avàk) e lo Shaarè Teshuvà di Rabbenu Yona (par. 227). Il motivo è che ho visto in seguito che si tratta di lashon harà’ vera e propria, nel commento Hagaot Maimoni al Mishnè Torà (Leggi della Conoscenza 7, 1) e nel Samàg (Precetti Negativi, 9).]

9.4


Ed è vietato abitare in un quartiere di maldicenti.


[E da ciò si può dedurre che, a maggior ragione, bisogna fare molta attenzione a non affiliarsi a una sinagoga o a una Casa di studi [frequentata] da maldicenti. Perché non solo costoro trasmettono questa loro brutta abitudine [agli altri frequentatori], così che anche questi finiscono per sparlare del prossimo; ma ci si ritroverà anche, sotto la loro influenza, a omettere più volte le risposte “Amèn Yehè Shemè Rabbà” e “Barekhù”, [e anche] l’ascolto della lettura della Torà e della ripetizione [dell’Amidà] da parte dell’ufficiante, e altri gravi peccati - come esposto precedentemente nell’introduzione (precetto positivo 7), si consulti colà. E in particolare, se si ha un orario fisso dedicato allo studio della Torà, si deve prestare moltissima attenzione a non avere a che fare con quella gente durante quel tempo, perché se ne perderebbe molto a causa loro, e non si riuscirerebbe a ottenere alcun risultato positivo neanche da quel poco che ne rimarrebbe, che D-o ce ne guardi, perché sarebbe del tutto frammentario – oltre alla grave punizione nota a tutti, prevista per chi interrompe parole di Torà per occuparsi di chiacchiere, come hanno detto i nostri Maestri nel Talmud Bavli, Chaghigà 12b: «Disse Rabbi Levi: chiunque si distragga da parole di Torà per occuparsi di chiacchiere verrà rimpinzato di tizzoni ardenti, com’è detto ecc.». E se D-o vorrà, ci dilungheremo su questo [argomento] più avanti, nella seconda parte. 1]

E, a maggior ragione, [è vietato] accomodarsi con loro e ascoltarne le parole; e ciò [vale] perfino se non si ha l’intenzione di accettare ciò che dicono, perché [comunque] si presta orecchio e li si ascolta, così come spiegato in precedenza nella Regola 6, 2.


E se si viene a sapere che uno dei propri allievi è un maldicente, nel caso in cui si sappia che il rimprovero non avrebbe effetto, bisogna allontanarlo da sé.


E se ci si imbatte suo malgrado in una cricca di maldicenti e li si sente dire lashon harà’ – qualora si prevedesse che rimproverandoli si riuscirebbe a distoglierli da questo loro comportamento, [allora] si è certamente tenuti a rimproverarli, secondo la legge della Torà. E perfino se si prevedesse che il proprio rimprovero non servirebbe a farli smettere, ma neppure peggiorerebbe la situazione, anche in questo caso non è permesso tacere, perché non si dica di lui che è come loro, e che ha accettato i loro discorsi malgrado avesse l’obbligo di reagire e di redarguirli per [difendere l’] onore della persona integra e cristallina di cui hanno sparlato. E questa è una delle ragioni per cui si è tenuti ad allontanarsi dalla compagnia dei malvagi, perché si verrebbe puniti per aver ascoltato le loro parole ed essersi astenuti dal replicare.


9.5


E si sappia, che perfino se si è sentito il proprio figlio o la propria figlia, ancorché in tenera età, profferire lashon harà’, è mitzvà* sgridarli e allontanarli da questo [vizio], com’è scritto (Proverbi 22, 6): «Educa il giovane secondo la sua propensione ecc.», e ciò secondo la spiegazione dello Shulchan 'Arukh (Òrach Chaìm 343, 1) riguardo a tutti i precetti negativi della Torà.


[E quant’è grande l’obbligo del padre di guidare i figli in continuazione, fin dall’infanzia, a frenare la lingua dal dire lashon harà’ (e lo stesso [vale] anche per gli altri discorsi vietati, quali la discordia e la menzogna)! Come ha scritto il Gaòn di Vilna (nella lettera ’Alìm Litrufà – Erbe curative2), la parola e le virtù richiedono molto esercizio, e questo esercizio conduce alla padronanza in ogni campo. E veramente, se ci si riflette bene, si capisce che il motivo della diffusione di questo amaro peccato della lashon harà’ deriva dal fatto che ognuno si è abituato fin dall’infanzia a dire ciò che vuole, senza che nessuno protesti. E non realizza che in questo argomento esista un rischio di trasgressione, perciò quand’anche si venisse poi a conoscenza del fatto che la cosa è vietata, sarebbe ormai difficile correggere la propria natura maturata fin d’allora. Così non sarebbe se il padre avvertisse costantemente i figli e li abituasse fin dall’infanzia a non dire lashon harà’ nei confronti di alcun ebreo (e così anche a non ingiuriarlo e a non ingannarlo): questa idea [del divieto] si radicherebbe automaticamente nel loro spirito per abitudine, e per loro sarebbe facile in seguito astenersi del tutto in merito a questa santa virtù, e meriterebbero per questo motivo la vita nel mondo futuro, e ogni bene in questo mondo, com’è scritto nei Salmi (34, 13 ): «Chi è l’uomo [che desidera la vita e che ama i giorni, per vedere ciò che è bene? Frena la tua lingua dal male e le tue labbra dai discorsi fraudolenti!]».]

9.6


Se qualcuno dice qualcosa a un altro, a quest’ultimo è vietato ripeterlo ad altri, a meno che non ne abbia ricevuto il permesso, e qui si tratta in modo specifico di discorsi che non includono lashon harà’.


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Note dei traduttori:
[1] Abbiamo tradotto letteralmente “polvere” perché ci sembra renda l’idea di qualcosa che possiede le qualità dell’elemento originale, ma ne è distinto per via di una forma più eterea, più evanescente. Infatti, così è anche per la polvere di lashon harà’ che, come si vedrà, è una variazione della lashon harà’ più leggera della sua forma originale, ma presenta comunque problematiche simili, da cui l’ebreo accorto deve guardarsi attentamente.
[2] È forse il caso di ricordare che questo testo fa parte del Chafètz Chaìm, una trilogia che comprende: (I) Leggi della lashon harà’, (II) Leggi della rekhilut e (III) Shemirat halashon. È al secondo volume, il cui titolo si potrebbe tradurre come Leggi della delazione che si riferisce l’Autore in questo richiamo. Il secondo volume ricalca il primo nella sua struttura e conta anch'esso 10 regole: ovviamente esso tratta della delazione, cioè del raccontare a qualcuno ciò che altri gli hanno fatto o ciò che hanno detto di lui alle sue spalle.
[3] Si tratta della famosa Iggheret Hagrà.


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Tratto dal sito www.anzarouth.com : Leggi della Maldicenza, Hafetz Haim, Rabbi Israel Meir Kagan, Edizioni Morashà, traduzione e note a cura di Ralph Anzarouth e Raphael Barki
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