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Traduzione di Ralph Anzarouth
Descrizione del timore del peccato
Il fatto che questa virtù (il timore del peccato) venga citata dopo tutte le altre buone qualità che abbiamo trattato finora è sufficiente per dimostrarci quanto essa sia importante e degna della nostra attenzione e quanto essa sia difficile da conseguire: infatti, non ci si può arrivare senza avere prima acquisito tutte le virtù evocate in precedenza.
Tuttavia, va premesso che il timore è di due tipi, che sono tre1. Il primo è quanto c'è di più facile da conseguire, mentre il secondo è il più difficile che ci sia e corrisponde a un altissimo livello di perfezione. Il primo è il timore della punizione; il secondo è il timore della maestà, il cui corollario è il timore del peccato. Spiegheremo ora di cosa si tratta e le differenze tra di loro.
Il timore della punizione significa semplicemente che l'uomo teme di trasgredire la volontà del suo Signore a causa delle punizioni che sono la conseguenza delle trasgressioni, sia quelle che puniscono il corpo sia quelle che puniscono l'anima. Questo timore è certamente facile da acquisire, perché ognuno tiene a sé stesso e si preoccupa della propria persona. Niente può allontanarlo da una certa azione più del timore di una conseguenza a lui avversa. Questo tipo di timore si addice solo alle persone incolte e alle donne il cui spirito è lieve, ma non è questo il timore dei saggi e degli uomini di conoscenza.
Il secondo tipo è il timore della maestà, il quale implica che l'uomo si allontana dai peccati e non li commette in onore dell'immensa gloria del Signore, sia benedetto il Suo Nome. Infatti, come potrà un comune mortale, infimo e spregevole, permettersi o compiacersi di agire contro il volere del Creatore, sia benedetto ed esaltato il Suo Nome? Questo tipo di timore non è così facile da conseguire, perché può nascere solo dalla conoscenza e dalla presa di coscienza con la quale si riflette sull'immensità del Signore benedetto e sulla miseria dell'essere umano, tutti concetti che si manifestano in una mente che ragiona e capisce. È questo il timore che avevamo elencato al secondo posto tra i fattori della devozione2. È questo il timore che porterà l'uomo a provare vergogna quando prega al cospetto del suo Creatore o durante qualunque altra attività del suo servizio divino. È questo il timore più pregevole, che ha contraddistinto i devoti del mondo, come disse Moshé (Deut. 28, 58): "Avere timore di questo Nome Possente e Altissimo: il Signore tuo D-o". Questo è il timore su cui verte la nostra spiegazione: cioè, il timore del peccato è come una parte del timore della maestà e allo stesso tempo è un tipo di timore a sé stante. Ciò significa che l'uomo deve sempre temere e preoccuparsi per i propri atti, da una parte affinché non si mischi a essi neppure una minima traccia di peccato, dall'altra affinché non vi si trovi nemmeno una particella di qualsiasi grandezza che non sia degna dell'immensa gloria del Signore benedetto e della Maestà del Suo Nome.
Ci è chiara adesso la stretta relazione tra questo timore e il timore della maestà di cui abbiamo parlato in precedenza, poiché il fine di entrambi è di non commettere alcunché che sia in contrasto con la Maestà della gloria di Hashem benedetto, ma questa è la differenza che c'è fra di loro e che ne fa due categorie separate con due nomi distinti: il timore della maestà si riferisce al momento dell'azione, del servizio di Hashem, o quando ci si trova davanti a una trasgressione. Cioè, o quando l'individuo sta pregando o servendo Hashem, e in quei momenti prova onta e vergogna, trema e palpita davanti alla Maestà della gloria del Signore benedetto; oppure quando gli si presenta l'occasione di commettere un peccato e lo riconosce come tale astenendosi dal farlo, per non macchiarsi di una ribellione contro il glorioso sguardo3 del Signore benedetto, che D-o ce ne scampi.
Invece il timore del peccato è permanente e costante: in ogni momento si teme di sgarrare facendo qualcosa, anche una quisquilia, che sia contraria a ciò che onora il Nome del Signore benedetto. Per questo motivo viene chiamato timore del peccato: il suo fondamento consiste nel temere che un peccato si insinui e si mescoli nelle proprie azioni, in qualsiasi modo: deliberatamente, per negligenza o per disattenzione. A questo proposito fu detto (Proverbi 28, 14): "Felice è l'uomo che ha sempre paura", che i Maestri di benedetta memoria hanno spiegato così (Talmud Bavli, trattato Berakhot 60a): "Questo versetto si riferisce alle cose di Torà", perché perfino quando l'ostacolo non è visibile ai propri occhi, il cuore deve temere che forse esso si nasconda proprio tra i piedi della persona, senza che questa se ne guardi. E di questo timore disse Moshé il nostro Maestro (Esodo 20, 17): "Affinché il timore di D-o sia sui vostri volti e non pecchiate". Perché questo è il fondamento del timore: che l'uomo provi perennemente timore e turbamento, al punto che questo timore non lo abbandonerà. In questo modo non cadrà mai nel peccato, e se anche ciò succedesse, ciò verrà considerato come una cosa che è avvenuta suo malgrado. E Isaia disse nella sua profezia (Isaia 66, 2): "Ed ecco chi Io guardo: l'umile, il contrito e chi teme la Mia parola". E di questo si compiaceva il re David, dicendo (Salmi 119, 161): "Persone potenti mi hanno inseguito senza motivo, mentre il mio cuore teme la Tua parola".
E abbiamo già visto che i re grandi e possenti temono e tremano sempre davanti all'immensità di Hashem, al punto che i Maestri dissero, con un esempio della loro saggezza (Talmud Bavli, trattato Chaghigà, foglio 13b): "Dove sorge il torrente Dinur4? Dal sudore degli animali", che è dovuto all'affanno che essi provano continuamente davanti all'immensità del Signore benedetto, timorosi di mancare in qualunque modo al rispetto e alla santità che Gli sono dovuti. E ogni volta che la Presenza Divina appare, qualunque luogo in cui ciò avviene si agita, trema e freme, come dice il testo (Salmi 68, 5): "La terra tremò e pure il cielo fuse5 davanti al Signore". E anche (Isaia 63, 19): "Se Tu lacerassi i cieli e scendessi, le montagne fonderebbero davanti a Te". E a maggior ragione gli esseri umani dovrebbero fremere e tremare, quando prendono coscienza di essere costantemente al cospetto di Hashem e rischiano facilmente di fare qualcosa che non si addica all'immensità della gloria del Signore, sia benedetto il Suo Nome. Questo è ciò che disse Elifaz a Giobbe (Giobbe 15, 14-15): "Cos'è l'uomo per dirsi puro e cos'è il figlio di una donna per definirsi un giusto? Non si fida nemmeno dei Suoi santi e neppure il cielo è puro ai Suoi occhi" e anche (ibid. 4, 18-19): "Non si fida nemmeno dei Suoi servitori, né considera puri i Suoi angeli. E ancor meno di coloro che abitano in case d'argilla6, le cui origini sono nella polvere ecc.". Per questo motivo ogni persona deve provare un timore incessante e tremare, come disse Elihu (Giobbe 37, 1-2): "Il mio cuore temerà anche questo e sussulterà dal suo posto. Ascoltate attentamente il clamore della Sua voce ecc.". Questo è il vero timore che dovrebbe essere sempre sul volto del devoto e non abbandonarlo mai.
Ma questo timore presenta due aspetti: uno si riferisce al presente e al futuro, l'altro fa riferimento al passato. Nel primo, l'uomo si preoccupa e teme che in ciò che fa o che sta per fare ci sia qualcosa o vi si infiltri qualcosa che non si addice all'onore del Signore benedetto, come spiegato in precedenza. Nel secondo, l'uomo pensa di continuo a ciò che ha già fatto e si preoccupa e teme di aver commesso un peccato senza accorgersene, come nel caso di Baba ben Bota (Talmud Bavli, trattato Kritut 25a), che offriva ogni giorno un Asham Talui7. E Giobbe, dopo il banchetto dei suoi figli, si alzava (Giobbe 1, 5) "e offriva una Olà8 per ognuno di loro, dicendo: forse i miei figli hanno commesso un peccato [durante il banchetto] ecc.". I Maestri di benedetta memoria discussero di Moshé e Aharon riguardo all'olio di unzione con cui Moshé unse Aharon9 e del quale era stato detto (Esodo 30, 32): "Che non si unga con esso il corpo di un uomo", tuttavia era stato comandato di ungerne Aharon; e temevano di averne tirato un qualunque profitto10, usandolo in modo non conforme alla Mitzvà. [I Maestri] si espressero in questi termini (Talmud Bavli, trattato Horayot 12a): "E proprio questa era la preoccupazione di Moshé: di avere forse tratto senza volere un beneficio dall'uso dell'olio di unzione. Uscì una voce [dal cielo] che disse (Salmi 133, 2-3): Come l'olio pregiato sulla testa cola sulla barba, la barba di Aharon, e cola sui bordi della sua veste. Come la rugiada del Hermon ecc.": così come la rugiada del [Monte] Hermon non causa Meilà10, così l'olio d'unzione sulla barba di Aharon non implica Meilà. Eppure Aharon era ancora inquieto: forse Moshé non ha commesso Meilà, ma io invece sì. Uscì una voce [dal cielo] e disse (Salmi 133, 1): "Quanto è buono e piacevole sedere insieme ai fratelli": così come Moshé non ha commesso Meilà, nemmeno tu [suo fratello] l'hai commessa. Questa è la virtù dei devoti: perfino riguardo a una Mitzvà compiuta si preoccupavano del fatto che forse potrebbe esservisi insinuata, che D-o ce ne scampi, una minima particella non valida.
Dopo essere andato a soccorrere suo nipote Lot, che era stato catturato11, Avraham era preoccupato dal pensiero che forse le sue azioni non fossero state del tutto pure, come dissero i Maestri (Midrash Bereshit Raba 44, 4), riguardo al versetto (Bereshit 15, 1) "Non temere, Avraham!" : "Disse Rabbi Levi, poiché Avraham provava timore pensando: 'Di tutte le persone che ho ucciso12, forse ce n'era una giusta o timorosa di D-o.' Ed è per questo che gli fu risposto 'Non temere, Avraham'." E dissero nel Tana Devè Eliahu (cap. 25): "Riguardo alla frase 'Non temere, Avraham', è solo a chi ha un autentico timore del Cielo che viene detto 'Non temere'."
E questo è il vero timore di cui dissero (Talmud Bavli, trattato Berakhot 33b): "Il Santo, benedetto Egli sia, non possiede altro nel Suo mondo che un tesoro di timore del Cielo, che solo Moshé ha potuto conseguire facilmente", per via del suo grande attaccamento a Hashem, sia benedetto il Suo Nome. Per gli altri, invece, la materialità13 è sicuramente un grosso ostacolo. Tuttavia, ogni devoto dovrebbe sforzarsi di ottenerne il massimo possibile. Ed è detto (Salmi 34, 10): "I Suoi santi temeranno Hashem".
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Note del traduttore:
[1] Questo sorprendente tipo di espressione di origine talmudica (si veda il trattato di Shabbat) serve a spiegare che uno dei due tipi di timore del peccato si sdoppia in realtà in due categorie, come si vedrà in seguito.
[2] Si veda il capitolo 19
[3] Citazione da Isaia 3, 8.
[4] Il torrente di fuoco, si veda Daniel (7, 10).
[5] Si veda anche il Libro dei Giudici (5, 5).
[6] Riguardo agli angeli, abbiamo scelto l'interpretazione del Malbim (Maané Iyov). Quanto all'argilla, l'anima dell'uomo è racchiusa nel corpo, che è formato dalla polvere della terra (Rot).
[7] Si tratta di una offerta espiatoria condizionale, che va portata nel Santo Tempio di Gerusalemme per espiare peccati che forse si è commesso, in attesa di fugare il dubbio con gli accertamenti necessari al caso. Portare quotidianamente un Asham Talui precauzionale è indubbiamente un atto di grande devozione. Purtroppo, il Santo Tempio di Gerusalemme è stato distrutto oltre 19 secoli fa e finché non sarà ricostruito con l'aiuto di Hashem, non si possono espiare le nostre colpe in questo modo.
[8] Offerta espiatoria, alcuni traducono Olà con il termine "olocausto".
[9] Questa pratica faceva parte della cerimonia di elevazione del Sommo Sacerdote, che possa tornare attuale presto nei nostri giorni.
[10] Il peccato di trasgredire le Mitzvot della Torà avviene generalmente quando il trasgressore agisce volontariamente. La particolarità di questa trasgressione chiamata Meilà è che si riferisce proprio a chi approfitta involontariamente dei beni del Santo Tempio: dovrà pagare un indennizzo, una multa e portare un apposito sacrificio che si chiama appunto Meilà . Ovviamente, per chi lo facesse volontariamente si tratterebbe di un altro peccato, ben più grave.
[11] Si veda nel libro di Bereshit tutto il capitolo 14.
[12] Nella guerra contro i re nemici, vedi sopra.
[13] Nel senso dell'attaccamento alle cose materiali.
Testo originale in Ebraico del cap. 24 del Messilat Yesharim


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Tratto dal sito www.anzarouth.com : Messilat Yesharim, Rabbi Moshe Chaim Luzzatto, traduzione a cura di Ralph Anzarouth.È richiesto di aggiungere anche un link verso:
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