Il Sentiero dei Giusti (Mesilat Yesharim) Ramchal: Rabbi Moshe Chaim Luzzatto - Capitolo 19: Gli elementi della devozione



BS"D



Torna al Capitolo 18


Traduzione di Ralph Anzarouth


Gli elementi della devozione


Gli elementi principali della devozione sono tre: il primo riguarda l'azione; il secondo riguarda le modalità dell'azione; il terzo riguarda l'intenzione.


Anche il primo di essi, l'azione, si divide in due parti: da un lato [le azioni che riguardano] il rapporto tra l'uomo e D-o, dall'altro [le azioni che riguardano] il rapporto con il prossimo. La prima parte del primo elemento è dunque l'azione dell'uomo nei confronti di D-o e consiste nel compimento di tutte le Mitzvot in tutti i loro dettagli, fino ai limiti delle possibilità dell'uomo. Sono ciò che i Maestri di benedetta memoria chiamarono i "residui1 delle Mitzvot" e dissero (Talmud Bavli, trattato Sukkà 38a): "I residui della Mitzvà frenano le avversità". Perché malgrado la Mitzvà in sé sia completa anche senza di loro e ciò basti per considerare compiuti i propri obblighi, tuttavia questo vale per la massa del Popolo Ebraico; i devoti, invece, devono dedicarsi con continuità al proprio perfezionamento, senza ometterne alcunché.


La seconda parte del primo elemento riguarda i rapporti con il prossimo e si occupa di quanta bontà l'uomo debba sempre riversare sulle creature e di come non si debba recar loro alcun danno. E questo va messo in pratica con il corpo, con i soldi e con lo spirito:

  • Con il corpo, cercando di aiutare ogni persona secondo le proprie facoltà e alleviando il peso delle tribolazioni altrui, come insegnato nelle Massime dei Padri (Avot 6, 6): "Portando il fardello insieme al prossimo". E se un problema fisico coglie il prossimo e si ha la possibilità di evitarlo o di guarirlo, bisogna sforzarsi di farlo.

  • Con i soldi, aiutando [il prossimo] secondo i propri mezzi e cercando in ogni modo di impedirgli di finire nei guai; e a maggior ragione allontanando da sé ogni possibilità di provocare dei danni, sia a scapito dei singoli individui che della collettività. E perfino quando nessuno subisce alcun danno, bisogna rimuovere ed eliminare [tutti i pericoli potenziali] dato che il danno può manifestarsi in seguito. E dissero i Maestri di benedetta memoria (Avot 2, 12): "Che i beni del prossimo siano per te preziosi quanto i tuoi".

  • Con lo spirito, sforzandosi di procurare agli altri tutte le soddisfazioni possibili, portando loro rispetto e in qualsiasi altro modo. La devozione richiede di fare al prossimo tutto ciò di cui si sa che gli farà piacere; e a maggior ragione di non addolorarlo assolutamente e in nessun modo. E tutto questo fa parte della Ghemilut Chassadim2, della quale i Maestri di benedetta memoria hanno decantato i grandissimi meriti e il nostro obbligo di compierla. Ed essa include la ricerca della pace, che è lo stato di benessere generale tra l'uomo e il prossimo.

E riguardo a tutto questo citerò ora le testimonianze dei Maestri di benedetta memoria, malgrado questi siano concetti evidenti che non necessitano ulteriori prove. Nel Talmud Bavli (trattato Meghillà, 27b) dissero: "Gli allievi di Rabbi Zakkay gli chiesero: 'A cosa devi la tua longevità?' Egli rispose: 'Non ho mai orinato vicino3 al posto in cui avevo pregato, non ho mai usato soprannomi per chiamare i miei amici e non ho mai mancato il Kiddush del giorno4. Mia madre era anziana: una volta, vendette uno dei suoi copricapi per procurarmi [il vino] per il Kiddush di quel giorno'." Ecco un esempio di devozione applicato ai particolari di una Mitzvà, in quanto [Rabbi Zakkay] era ormai esente dall'obbligo di usare il vino per il Kiddush, non avendone i mezzi, al punto che sua madre dovette vendere un panno che portava in testa. Ed è per devozione che si comportava in questo modo e che onorava gli amici evitando di chiamarli con appellativi, pur non infamanti, come risulta dal commento Tossefot a quel brano.


E pure Rav Huna dovette stringere il proprio abito con una cinghia perché aveva venduto la sua cintura per comprare il vino necessario al Kiddush del giorno. Nello stesso testo, gli allievi di Rabbi Elazar ben Shammua gli chiesero a cosa dovesse la sua longevità. Ed egli rispose: "Non ho mai usato la sinagoga come una scorciatoia [per recarmi altrove] e non ho mai camminato scavalcando la testa del popolo santo5." Ecco, questa è devozione nei confronti della sinagoga e delle persone sedute: evitare di scavalcarle, affinché questo non venga interpretato come un segno di disprezzo.


Sempre nello stesso passaggio, gli allievi di Rabbi Frida gli chiesero: "A cosa devi la tua longevità?" Egli rispose loro: "Nessuno è mai arrivato prima di me al Beit-Midrash6, non ho mai preceduto un Cohen nelle benedizioni7 e non ho mai mangiato la carne di un animale dal quale non fossero state prelevate le offerte sacerdotali". E dissero anche (ibid., foglio 28a): "Gli allievi di Rabbi Nechunia gli chiesero a cosa dovesse la sua longevità. Egli rispose loro: 'Non ho mai cercato onori infamando qualcun altro e l'astio verso il prossimo non è mai entrato nel mio letto8'." E lì è spiegato che è come la storia di Rav Huna che portava un'ascia sulla spalla finché venne Rav Chana bar Chanilay e lo alleggerì del peso dell'ascia; [Rav Huna] gli disse: "Se là dove vivi è tua abitudine portarla, fai pure, altrimenti non sono disposto ad acquisire onori attraverso la tua umiliazione". Impariamo da questo passaggio che nonostante infamare il prossimo significhi provocare la sua vergogna per accrescere il proprio onore, malgrado ciò i devoti rifiutano questo onore anche quando gli altri sono consenzienti, se la conseguenza conduce all'onta altrui. E secondo lo stesso principio disse Rabbi Zera (ibid.): "Non sono mai stato ostinato nei confronti di qualcuno della mia famiglia. Non ho mai camminato davanti a una persona più importante di me, non ho mai pensato [parole di Torà] in luoghi maleodoranti, non ho mai camminato due metri senza Torà e Tefillin, non ho mai dormito né sonnecchiato nel Beit-Midrash, non ho mai gioito delle disgrazie altrui e non ho mai chiamato un amico con il suo soprannome". Ecco quindi degli esempi di tutti i tipi di atti devozione elencati in precedenza. E dissero ancora i nostri Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Baba Kama, 30a): "Disse Rav Yehuda: Colui che vuole essere un devoto, che applichi le leggi delle benedizioni" cioè [gli obblighi] verso il Creatore, "e c'è chi suggerisce di applicare le leggi dei danni" cioè [gli obblighi] verso il prossimo, "e c'è chi suggerisce di applicare le Massime dei Padri", che includono tutti i vari argomenti.


Anche fare del bene è un principio fondamentale della devozione, perché il termine usato per indicarla ['Chassidut'] deriva dalla medesima radice del termine 'bontà' ['Chessed']. E dissero i Maestri di benedetta memoria (Massime dei Padri 1, 2): "Il mondo poggia su tre fondamenti" e uno di loro è rappresentato dagli atti di bontà. E i Maestri di benedetta memoria inclusero la bontà tra quelle azioni delle quali è detto che i frutti vengono mangiati in questo mondo e il capitale viene conservato per il mondo futuro9. E dissero anche (Talmud Bavli, trattato Sotà 14a): "Rabbi Simlay spiegò: La Torà comincia con la bontà e termina con la bontà." E dissero anche (Talmud Bavli, trattato Yebamot 79a): "Rava spiegò: tutti coloro che possiedono queste virtù provano di discendere da Abramo, il nostro patriarca: compassione, modestia e bontà." E dissero (Talmud Bavli, trattato Sukkà 49b): "Disse Rabbi Elazar: la bontà è più importante della Tzedakà, poiché è detto (Osea 10, 12): 'Seminate per voi con Tzedakà e raccoglierete con bontà'." E dissero anche (Talmud Bavli, trattato Sukkà 49b): "La bontà è più importante della Tzedakà per tre motivi: a) la Tzedakà si compie con il proprio denaro, mentre gli atti di bontà si compiono con il proprio corpo; b) la Tzedakà viene elargita ai poveri, mentre le buone azioni vengono fatte a favore dei ricchi e dei poveri; c) si dà la Tzedakà solo a persone viventi, mentre si fanno buone azioni verso i vivi e verso i morti10." E dissero anche (Talmud Bavli, trattato Shabbat 151b): "Il versetto (Deut.13, 18) 'Ed ebbe pietà di te e fu clemente con te' indica che Hashem è clemente con tutti coloro che sono clementi con le creature". E questo è ovvio, perché il Santo, benedetto Egli sia, rende misura per misura (si veda il Talmud Bavli, trattato Sanhedrin 90a). E anche a chi ha compassione e agisce con bontà verso le creature sarà corrisposta la stessa clemenza nel suo giudizio e con bontà gli verranno perdonati i suoi peccati; infatti questo perdono è giustificato, perché rende misura per misura e questo è ciò che dissero i Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Rosh Hashanà 17a): "Chi è colui il cui peccato [Hashem] sopporta? Colui che soprassiede al torto [ricevuto]". Invece, è giusto perseguire con lo stesso suo rigore chi non rinuncia a impuntarsi oppure rifiuta di agire con bontà. Vedi ora, chi potrebbe resistere davanti al Santo, benedetto Egli sia, quando Egli lo giudica con stretto rigore11? E il re David pregava dicendo (Salmi 143, 2): "Non chiamare a giudizio il tuo servitore, perché davanti a Te nessun essere vivente può aver ragione". E infatti chi fa del bene verrà ricambiato con il bene; più ne fa, più ne riceverà. E David si compiaceva di questa sua virtù, che consisteva nel cercare di fare del bene persino ai propri nemici. È ciò che è detto (Salmi 35, 13): "Invece io, quando loro si ammalarono, mi cingevo di un sacco e mi mortificavo con il digiuno ecc."; e disse anche (Salmi 7, 5): "Se mi sono vendicato con chi mi ha fatto del male ecc.". E questa regola richiede anche di non far soffrire alcuna creatura e nemmeno gli animali: anzi, bisogna avere pietà di loro e preoccuparsene, infatti è detto (Proverbi 12, 10): "Il saggio conosce l'animo della sua bestia". E secondo l'opinione di alcuni, [il divieto di] causare dolore agli animali è un precetto della Torà; in ogni caso, è perlomeno rabbinico. La regola generale richiede che la bontà e le azioni di beneficenza siano per sempre radicate nel cuore del devoto, che sarà sempre teso a procurare soddisfazioni agli altri e non farli mai soffrire, ecc.


Il secondo elemento della devozione riguarda il modo di agire e anch'esso è diviso in due parti, che comprendono a loro volta numerose ramificazioni. Queste due componenti principali sono il timore [di D-o] e l'amore [di D-o], le due colonne dell'autentico servizio divino, senza le quali esso non può sussistere. Il timore include la sottomissione di fronte al Signore benedetto, la soggezione con la quale ci si accinge a servirLo e l'onore che si porta ai Suoi precetti, al Suo Nome benedetto e alla Sua Torà. L'amore include: la gioia, la dedizione e la gelosia. E ora li spiegheremo uno a uno.


Il livello più alto del timore consiste nel temere la Sua immensità, ovvero: quando l'uomo prega o compie una Mitzvà, deve pensare che lo sta facendo davanti al Re, il Re dei re. Questa è la messa in guardia fattaci dal Maestro della Mishnà (Talmud Bavli, trattato Berakhot 28b): "E quando preghi, sappi davanti a Chi stai pregando". E tre sono le cose cui l'uomo deve fare attenzione e riflettere approfonditamente per conseguire questo timore:

  • Che si trova veramente davanti al Creatore, benedetto sia il Suo Nome, e che discute con Lui malgrado ciò sia impercettibile all'occhio umano. E vedrai che questo è ciò che risulta più difficile da raffigurare nella propria mente in modo appropriato, perché non si riceve nessun supporto da parte dei sensi. Ma con un po' di riflessione e di concentrazione, chi ragiona correttamente può fissare nel proprio cuore la realtà della situazione, cioè che si trova veramente a colloquio con il Signore benedetto, a Lui inoltra la sua supplica, a Lui espone la sua richiesta ed è Lui, benedetto sia il Suo Nome, che lo ascolta e presta orecchio alle sue parole, proprio come quando una persona parla con un amico e questi lo ascolta attentamente.

  • E dopo essere riusciti a fissare questo nella propria mente, bisogna concentrarsi sulla Sua immensità, sul Suo essere Altissimo e al di sopra di ogni benedizione, di ogni lode e di tutti gli attributi di perfezione che la nostra mente possa immaginare e capire.

  • E bisogna anche riflettere alla miseria umana, alla sua bassezza rozza e materiale, a maggior ragione se si considerano i peccati commessi in passato: in questo modo, non si può non essere terrificati e atterriti quando ci si rivolge a D-o benedetto, si pronuncia il Suo Nome e si cerca di essere bene accetti presso di Lui. È ciò che è detto nelle Scritture (Salmi 2, 11): "Servite D-o con timore e rallegratevi con tremore". Ed è scritto (ibid. 89, 8): "Il Signore è venerato nella congregazione dei santi; ed è temibile per tutti coloro che Lo attorniano". Perché è più facile per gli angeli concepire l'esaltazione della Sua immensità, essendo più vicini al Signore benedetto rispetto a chi vive in un corpo materiale, perciò il loro timore di D-o supera quello degli umani. Tuttavia, il re Davide, la pace sia su di lui, esaltava [Hashem] dicendo (ibid. 5, 8): "Mi inchinerò temendo Te verso il palazzo della Tua Santità". Ed è scritto (Malachia 2, 5): "E [Levi] trepidava davanti al Mio Nome"; e anche (Ezra 9, 6): "Mio Signore, provo onta e vergogna nel sollevare il mio volto verso di Te, mio Signore".

Comunque, questo timore deve prima rafforzarsi nel cuore affinché in seguito i suoi effetti si manifestino anche nelle altre parti del corpo nel modo seguente: la testa pesante e l'inchino, gli occhi abbassati e le mani piegate come un infimo servitore davanti a un re possente. E così dissero nella Ghemarà (Talmud Bavli, trattato Shabbat 10a): "Rava stringeva le sue mani per pregare, affermando di essere come un servo davanti al suo signore".


Ecco, ho parlato sinora della sottomissione e della soggezione. Parleremo ora dell'onore. I Maestri di benedetta memoria ci hanno già raccomandato l'onore e l'importanza della Mitzvà; e commentando il versetto (Esodo 15, 2) "Questo è il mio Signore e io Lo impreziosirò" essi dissero (Talmud Bavli, trattato Shabbat 133b): "Impreziosisciti davanti a Lui con le Mitzvot: dei bei Tzitzit12, dei bei Tefillin, un bel rotolo della Torà, un bel Lulav13, ecc.". E dissero anche (Talmud Bavli, trattato Baba Kama 9b): "L'ornamento della Mitzvà va fino a un terzo14; fino a questo limite [chi la compie] paga di tasca sua, oltre questo limite la spesa incombe al Santo, benedetto Egli sia". Quindi i Maestri hanno espresso chiaramente il loro pensiero, secondo il quale la Mitzvà da sola non è sufficiente e bisogna conferirle onore e impreziosimento.


E bisogna confutare coloro che si contentano del minimo affermando che il lustro interessa solo gli esseri umani, che sono inclini a lasciarsi tentare da quelle illusioni, mentre il Santo, benedetto Egli sia, non ne ha cura perché è elevatissimo e ben al di sopra di quelle cose: secondo loro, sarebbe sufficiente compiere la Mitzvà rispettando le regole. Invece, la verità è che il Signore, benedetto Egli sia, è chiamato "Signore dell'onore" e noi dobbiamo onorarlo, benché Egli non abbia bisogno dei nostri onori, che non hanno per Lui nessun valore o importanza. E chi si pone dei limiti a questo riguardo laddove potrebbe abbondare non è altro che un peccatore. Questo è quanto tuonava il profeta Malachi, rivolto agli Ebrei con la parola di Hashem (Malachia 1, 8): "E se offrite una [bestia] cieca in sacrificio, non è questo un male? [...] Prova a offrila al tuo governatore e vedrai se ti accoglierà volentieri e se ti apprezzerà". Invece i Maestri di benedetta memoria ci hanno esortati ad adottare il comportamento opposto nel servizio di D-o e dissero (Talmud Bavli, trattato Sukkà 50a) di non setacciare con un filtro l'acqua che è rimasta esposta15, per il motivo che (Talmud Bavli, trattato Baba Kama 97b) questo sistema è valido per una persona qualunque, mentre invece per il servizio dell'Altissimo è detto: "Prova a offrila al tuo governatore!" E che problema c'è nell'acqua filtrata? [In fondo] le persone hanno il permesso di berla! Tuttavia, è vietato [offrirla] all'Altissimo perché sarebbe una mancanza di rispetto. E nel Sifri dissero anche, riguardo al versetto (Deut. 12, 11): "Tutta la scelta delle vostre offerte", che [l'espressione "scelta" indica che] bisogna portare solamente offerte scelte. E l'abbiamo già visto riguardo a Caino e Abele: l'offerta di Abele [al Creatore] proveniva dai primogeniti del suo gregge e dai loro grassi prelibati, mentre quella di Caino dagli scarti degli ortaggi, come spiegarono i Maestri di benedetta memoria (Midrash Bereshit Raba 22, 5); e quale fu il risultato? Che (Genesi 4, 4) "Hashem accettò l'offerta di Abele ma non quella di Caino". Ed è detto (Malachia 1, 14): "Maledetto il truffatore che ha un animale maschio nel suo gregge eppure ad Hashem promette e offre [solo] una bestia menomata - perché sono un gran Re".


E quanti avvertimenti abbiamo ricevuto dai Maestri di benedetta memoria affinché non manchiamo di rispetto alle Mitzvot... E dissero anche (Talmud Bavli, trattato Shabbat, 14a): "Chi tiene un rotolo di Torà a mani nude finirà sepolto nudo", per aver mancato di rispetto alla Mitzvà. E la cerimonia di offerta delle primizie sarà la nostra guida per capire in cosa consista l'impreziosimento delle Mitzvot, poiché è insegnato (Mishnà, trattato di Bikkurim, cap. 3): "Il toro avanza davanti a loro, con le corna ricoperte d'oro e una corona di [foglie] d'olivo sulla testa, eccetera". E aggiunsero (ibid.): "I ricchi portano le loro primizie dentro teche in oro; e i poveri in cestelli di vimini intrecciati ecc.". E più avanti è detto: "Ci sono tre categorie di primizie: le primizie, le aggiunte alle primizie e le decorazioni delle primizie ecc.". Ecco un esempio esplicito di quanto sia appropriato aggiungere alla Mitzvà ciò che serve a impreziosirla e da qui impariamo a fare altrettanto anche riguardo a tutte le altre Mitzvot della Torà.


E dissero (Talmud Bavli, trattato Shabbat 10a): "[Il Maestro] Rabah bar Rav Huna soleva mettersi delle calzature speciali per pregare e diceva (Amos 4, 12): 'Popolo d'Israel, preparati prima di incontrare il tuo Signore'." I nostri Maestri di benedetta memoria dissero anche (Midrash Bereshit Raba 65, 16): "Riguardo al versetto (Genesi 27, 15) 'i begli abiti di suo figlio Esaù', disse Rabban Shimon ben Gamliel: 'Io ho servito mio padre con abiti sporchi e quando partivo in viaggio ero vestito con abiti puliti. Invece Esaù quando serviva suo padre lo faceva solo con abiti regali'." E se questo è valido per i comuni mortali, a maggior ragione sarebbe appropriato che chi prega davanti al Re, Re dei re, il Santo, benedetto Egli sia, vesta abiti di riguardo e sieda davanti a Lui come si siede davanti a un gran re.


Questa regola richiede anche di onorare i sabati e le feste, poiché chi li osserva con grande lustro dà certamente una grande soddisfazione al suo Creatore, visto che al riguardo ci è stato ordinato (Isaia 58, 13): "E lo16 onorerai". E una volta appurato che onorarlo è una Mitzvà, ci si trova di fronte a
un'ampia scelta di modi di rendergli onore: la regola dice che dobbiamo mettere in atto tutto ciò che mette in luce l'importanza dello Shabbat. Perciò i primi Maestri preparavano lo Shabbat ognuno a modo suo (Talmud Bavli, trattato Shabbat 119a): "Rabbi Abahu si sedeva su un seggio in avorio e soffiava sul fuoco [...] Rav Safra arrostiva la testa di un animale, Rava salava un pesce, Rav Huna accendeva il lume, Rav Papa preparava la miccia [delle candele], Rav Hisda affettava le rape, Raba e Rav Yossef tagliavano la legna, [...] Rav Nachman portava oggetti avanti e indietro dicendo: se Rav Ami e Rav Asi venissero a trovarmi, non farei lo stesso in loro onore?" E va notato il paragone fatto da Rav Nachman, che ci propone un insegnamento importante: egli si chiedeva cosa avrebbe fatto generalmente per una persona che intendeva onorare - e di conseguenza proprio in quel modo onorava lo Shabbat. Di questo è detto (Talmud Bavli, trattato Berakhot 17a): "L'uomo deve sempre agire con astuzia [per procurarsi] il timore di Hashem", cioè conoscere e riconoscere le cose le une dalle altre e scoprire nuovi accorgimenti per dare soddisfazione al proprio Creatore in ogni maniera che riveli la Sua immensità rispetto a noi; di modo che tutto ciò che Lo riguarda deve essere per noi altamente rispettabile. E poiché D-o benedetto, con la Sua grande bontà e modestia e malgrado la nostra bassezza, ha voluto onorarci comunicandoci le parole della Sua santità17, perlomeno facciamo loro onore e dimostriamo quanto per noi esse siano preziose. E vedrai che questo è il vero timore di D-o, perché esso consiste, come abbiamo detto, nel timore dell'immensità (come abbiamo già ricordato), che implica un sentimento di onore simile all'affetto (come spiegheremo in seguito, con l'aiuto del Cielo), ciò che invece non è il caso per il timore della punizione, che non è essenziale e che non genera sentimenti di quel livello.


E torniamo all'argomento dello Shabbat. I Maestri dissero (Talmud Bavli, trattato Shabbat 119a): "Rav Anan vestiva di nero", cioè alla vigilia dello Shabbat indossava un abito nero per dare maggiore risalto all'onore dello Shabbat, durante il quale indossava invece dei bei vestiti. Ciò che ne risulta è che l'onore dello Shabbat non include solamente la sua preparazione; anzi, perfino l'assenza di [sfarzo e onori durante la vigila di Shabbat] fa parte della Mitzvà, poiché rende ancora più visibile l'onore reso allo Shabbat. Inoltre, proprio in onore dello Shabbat i Maestri vietarono (Talmud Bavli, trattato Ghittin 38b) di consumare un pasto regolare alla vigilia dello Shabbat; e così altre regole di questo tipo.


Anche il rispetto della Torà e di chi la studia fa parte del timore di D-o. Le Massime dei Padri dicono esplicitamente (Avot 4, 10): "Colui che onora la Torah viene onorato dal prossimo". E dissero (Talmud Bavli, trattato Sanhedrin 102b): "Disse Rabbi Yochanan: per quale motivo [il re] Achav meritò di regnare per 22 anni? Perché rese onore alla Torà, che fu donata [agli Ebrei combinando] 22 lettere18, come è detto (Primo Libro dei Re 20, versi 2, 6 e 9): 'E mandò messaggeri ad Achav, [...] e faranno man bassa di quanto hai di più prezioso e lo porteranno via' [...] e rispose ai messaggeri di Ben-Haddad: 'Dite al mio signore, il re: farò tutto ciò che hai mandato a chiedere in precedenza al tuo servitore, ma questa cosa non posso farla". Cosa potrebbe essere 'quanto hai di più prezioso', se non il libro della Torà?


E dissero i Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Berakhot 18a): "Chi si reca da un posto all'altro, non metta [un rotolo di Torà] in un sacco per caricarlo sull'asino e cavalcarci sopra. Invece, lo deve tenere in grembo ecc.". Inoltre, essi vietarono (Talmud Bavli, trattato Moed Katan 25a) di sedersi sullo stesso letto su cui è posato un rotolo della Torà. E dissero anche (Talmud Bavli, trattato Eruvin 98a): "È vietato gettare i testi sacri, perfino quelli che trattano di Halakhot e di Aggadot". E vietarono (Talmud Bavli, trattato Meghillà 27a) di posare i libri dei Profeti e gli Agiografi sopra i cinque libri del Pentateuco. Questi sono divieti che i nostri Maestri di benedetta memoria hanno imposto a tutti gli Ebrei: il devoto deve farne tesoro e capire come aggiungerne altrettanti per onorare il Nome del Signore suo D-o. Ciò include l'integrità e la purezza necessarie per evitare di occuparsi di Torà perfino con il pensiero quando ci si trova in luoghi nauseabondi o quando non si hanno le mani pulite. I Maestri di benedetta memoria ci hanno messo numerose volte in guardia riguardo a questo argomento.


E riguardo a coloro che studiano la Torà, c'è un versetto che dice (Levitico 19, 32): "Alzati davanti alla canizie e rispetta l'anziano", da cui impariamo che si addice al devoto di onorare gli anziani in tutti i modi possibili. E già dissero i Maestri (Talmud Bavli, trattato Ketuvot 103b) che il versetto (Salmi 16, 4) "E onorerà i timorosi di D-o" si riferisce a Yoshafat, re di Giudea, che quando vedeva uno studioso di Torà si alzava dal trono e lo baciava chiamandolo "Mio Rabbi, mio Rabbi, mio maestro, mio maestro!" E Rabbi Zera (Talmud Bavli, trattato Berakhot 28a), quando era sfinito per il tanto studio, si piazzava all'ingresso della casa di studi per fare una Mitzvà alzandosi davanti agli studiosi di Torà19. Già sappiamo che tutti questi comportamenti sono graditi al Santo, benedetto Egli sia, che ce l'ha rivelato esplicitamente. Perciò, chi vuole procurare soddisfazione al Creatore li adotterà, si farà sempre più astuto e continuerà a fare ciò che è giusto agli occhi di D-o benedetto. Ciò include anche il rispetto della sinagoga e della casa di studi, nelle quali non basta evitare di comportarsi con frivolezza, bensì bisogna onorarle con ogni sorta di rispetto e di reverenza in ognuna delle proprie abitudini e delle proprie azioni. Tutto ciò che non si farebbe nel palazzo di un re possente, non lo si faccia nemmeno lì.


Parliamo ora dell'amore [di D-o], le cui ramificazioni sono tre: la gioia, la dedizione e la gelosia. L'amore [di D-o] è quello dell'uomo che desidera e anela veramente a essere vicino al Signore benedetto e perciò insegue la Sua santità come si fa con ciò che si desidera immensamente; al punto che pronunciarne il Nome benedetto, tesserne l'elogio e studiare la Sua Torà e la Sua benedetta maestà divina sono per lui un vero piacere e una vera delizia.


Così come uno ama la sposa della propria gioventù e il proprio unico figlio con un amore così intenso che basta parlare di loro per suscitare in lui un sentimento di delizia, come è detto (Geremia 31, 20): "Perché più parlo di lui e più Mi ritorna in mente". Allo stesso modo, chi veramente ama il Creatore non smetterà di certo di servirLo se non quando assolutamente costretto; e non ci sarà bisogno di convincerlo o di invogliarlo a [compiere il] servizio di D-o: al contrario, il suo cuore lo trasporterà e lo sospingerà a farlo, a meno che un serio ostacolo non glielo impedisca.


Ecco, questa è la virtù agognata che i primi devoti, santi celesti, ebbero il privilegio di acquisire, come disse il re Davide, la pace sia su di lui (Salmi 42, 2-3): "Come un cervo anela ai ruscelli, così la mia anima anela a Te, o Signore. La mia anima ha sete del Signore, D-o vivente: quando verrò [...]?"; e anche (Salmi 84, 3): "La mia anima brama e languisce per i cortili di Hashem ecc."; e (Salmi 63, 2): "La mia anima ha sete di Te, la mia carne Ti desidera". Tutto ciò è dovuto al forte desiderio che provava per Hashem benedetto. E come disse il profeta (Isaia 26, 8): "Il desiderio della mia anima è per il tuo Nome e per il ricordo di Te"; e disse (ibid. 26, 9): "La mia anima aspira a Te durante la notte; Ti cercherò finché il mio spirito è in me". E David stesso disse (Salmi 63, 7): "Quando mi ricorderò di Te sul mio giaciglio e penserò a Te durante le veglie"; così spiegò il piacere e la delizia che provava parlando di Hashem e esaltandoLo, sia benedetto il Suo Nome20. E disse (ibid. 119, 47): "E mi delizierò con le Tue Mitzvot, che amo"; e disse (ibid. 119, 24): "Anche le Tue testimonianze21 mi deliziano".


Ed è certamente necessario amare [Hashem] senza condizioni, cioè non come chi ama il Cratore benedetto per il bene che ne riceve, per i beni materiali e per il successo che Egli gli accorda; invece, [bisogna amarLo] come un figlio ama il padre, che è un amore naturale, imposto e dettato dalla propria natura, come è scritto (Deut. 32, 6): "Non è forse Lui il tuo Padre e il tuo Creatore?" E la conferma di questo amore avviene nel momento delle traversie e delle avversità. Così spiegarono i Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Berakhot 54) il versetto (Deut. 6, 5): "E amerai il Signore tuo D-o con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima", [significa amarLo] persino se Si riprende la tua anima "e con tutte le tue forze" [significa amarLo] con tutti i tuoi beni materiali. Tuttavia, per non permettere ai guai e alle difficoltà di ostacolare e impedire l'amore verso D-o, l'uomo deve fornire a sé stesso due risposte - la prima delle quali è uguale per tutti, mentre la seconda si addice a chi è saggio ed è in grado di compiere un'analisi approfondita.


La prima consiste nel dire (Talmud Bavli, trattato Berakhot 60b): "Tutto ciò che fa il Cielo è bene". E questo, perché perfino i dispiaceri e le avversità che sembrano eventi negativi sono in realtà un vero bene. Come nell'esempio del dottore che amputa un tessuto muscolare o un membro malato affinché il resto del corpo guarisca e il paziente non muoia: benché l'atto in sé possa apparire crudele, in realtà si tratta di un atto di misericordia, il cui scopo è quello di migliorare la sua salute in futuro. E la conseguenza di questo intervento sarà che il malato sarà ancora più grato al medico e non il contrario. Così è nel nostro caso: quando l'uomo pensa che tutto ciò che il Santo, benedetto Egli sia, fa per lui è per il suo bene, che si tratti del suo corpo o dei suoi beni materiali, e che malgrado egli non veda e non capisca in che modo ciò possa essergli di giovamento, ciononostante tutto avviene sicuramente per il suo bene - se pensa in questo modo nessuna avversità e nessun dolore potranno attenuare il suo amore [per Hashem]. Al contrario, esso continuerà sempre a crescere e a rafforzarsi.


Ma coloro che conoscono la verità non hanno nemmeno bisogno di questa spiegazione, perché non hanno nessuna motivazione personale: anzi, ogni loro preghiera è finalizzata ad aumentare la gloria del Suo Nome benedetto e a procurarGli soddisfazione22. E se pure gli ostacoli incontrati si facessero più pressanti, al punto da richiedere più forza per superarli, essi si faranno coraggio e saranno felici di poter mostrare la solidità della loro fede, come un comandante notoriamente ardito che sceglie sempre per sé le missioni più ardue per dimostrare le proprie capacità conquistando la vittoria. Questo fenomeno è frequente in chiunque ama un'altra persona: egli è felicissimo ogni volta che ha l'occasione di dimostrare alla persona amata quanto l'ama.


E spiegheremo ora le tre diramazioni dell'amore [di Hashem] che abbiamo elencato in precedenza: la dedizione, la gioia e la gelosia.


La dedizione consiste in un così grande attaccamento del cuore di un uomo al Suo Nome benedetto, tale da smettere di occuparsi e di prestare attenzione a tutto ciò che non è Lui. Ed è l'esempio trovato da Salomone (Proverbi 5, 19): "Cerbiatta adorata e gazzella aggraziata; il suo petto ti sazierà in ogni momento e la passione per lei ti entusiasmerà sempre". E i nostri Maestri dissero nella Ghemarà (Talmud Bavli, trattato Eruvin 54b): "Si diceva di Rabbi Elazar ben Pedat che quando era seduto a studiare la Torà al mercato inferiore di Tzippori23, il suo panno si trovava al mercato superiore di Tzippori".


Lo scopo di questa attitudine è di essere uniti in questo modo al Creatore in ogni istante. E chi ama il proprio Creatore avrà questo attaccamento perlomeno durante il proprio servizio divino24. E nel Talmud Yerushalmi dissero (trattato Berakhot 5, 1): "Rabbi Chanina ben Dosa stava in piedi pregando: quando venne un serpente e lo morse, egli non interruppe la sua preghiera [...]. I suoi allievi gli chiesero: Rabbi, non hai proprio sentito niente? Al che rispose: Posso giurarlo, il mio cuore era così immerso nella preghiera che non me ne sono accorto". E la Torà ci ha già esortato parecchie volte a unirci [a Hashem]: (Deut. 30, 20) "Per amare il Signore tuo D-o [...] e unirti a Lui; (ibid. 10, 20) "Unisciti a Lui"; (ibid. 13, 5) "Unitevi a Lui". E [il re] David disse (Salmi 63, 9): "La mia anima si aggrapperà a Te". Tutti questi versetti [insegnano] lo stesso principio: l'attaccamento dell'uomo a D-o benedetto, da cui non può più separarsi né allontanarsi. E i nostri Maestri di benedetta memoria dissero (Midrash Bereshit Raba 80): "Disse Rabbi Shimon ben Lakish: il Santo, benedetto Egli sia, ha usato tre termini affettuosi per il Popolo Ebraico: attaccamento, brama e desiderio. E noi li impariamo dal brano della Torà che parla di Shekhem figlio di Chamor25". Questi termini sono esattamente le ramificazioni principali dell'amore. Cioè il desiderio (di cui abbiamo parlato in precedenza), l'attaccamento, la soddisfazione e il piacere che si prova quando ci si occupa di chi si ama.


La seconda è la gioia, un principio fondamentale del servizio di Hashem. A lei si riferisce l'avvertimento di David (Salmi 100, 2): "Servite Hashem con gioia, venite a Lui cantando allegramente". E disse (Salmi 68, 4): "I giusti gioiranno, esulteranno davanti al Signore e saranno animati da tantissima gioia". E i nostri Maestri di benedetta memoria dissero: (Talmud Bavli, trattato Shabbat 30b): "La Presenza Divina si posa solo su chi si rallegra nella gioia della Mitzvà". E riguardo al versetto ricordato poc'anzi "Servite Hashem con gioia" dissero nel Midrash26 (Midrash Yalkut Shimoni, Tehillim 854): "Disse Rabbi Aibo: quando preghi, devi essere felice in cuor tuo di pregare al Signore che non ha uguali".


Perché questa è la vera gioia: quando il cuore dell'uomo è felice di servire il Signore benedetto che è ineffabile e di dedicarsi alla Sua Torà e alle Sue Mitzvot, che rappresentano la vera perfezione e la gloria eterna. E disse [il re] Salomone nel proverbio della saggezza (Cantico dei Cantici 1, 4): "Portami dietro a Te, corriamo! Il Re mi ha condotto nelle Sue stanze, gioiremo e ci rallegreremo con Te". Perché quanto più una persona ha il privilegio di entrare nelle stanze della conoscenza dell'immensità del Signore benedetto, tanto più grandi saranno la sua gioia e il tripudio del suo cuore. Ed è detto (Salmi 149, 2): "Gioirà Israel del suo Creatore, che i figli di Tzion si rallegrino del loro Re". E [il re] David, che di questa virtù già aveva raggiunto un altissimo livello, disse (ibid. 104, 34): "Che le mie parole Gli siano gradite, io gioirò di Hashem" e anche (ibid. 43, 4) "E verrò all'altare del Signore, verso il D-o che è la gioia della mia felicità e Ti ringrazierò con l'arpa, o Signore, mio Signore". E disse (ibid. 71, 23): "Le mie labbra canteranno quando Ti celebrerò e pure l'anima mia che hai liberato". Ciò significa che la gioia era così grande dentro di lui che le sue labbra si muovevano da sole e cantavano quando intonava i suoi salmi rivolti a D-o benedetto, e questo per via del grande fervore del suo spirito, che ardeva di gioia davanti a Lui. Ed è questo il significato della conclusione "e pure l'anima mia che hai liberato". E abbiamo visto [nel testo biblico] il Santo, benedetto Egli sia, adirarsi con gli Ebrei perché mancava questa condizione nel loro servizio divino. Difatti è detto (Deut. 28, 47): "Perché non hai servito il Signore tuo D-o con gioia e di buon cuore". E David, avendo visto che gli Ebrei avevano raggiunto questo livello quando portarono le loro offerte per la costruzione del Tempio [di Gerusalemme], pregò in loro favore affinché questa ottima virtù si mantenesse in loro senza mai venir meno, come è detto (Primo Libro delle Cronache 29, 17-18): "E ora ho visto il Tuo popolo offrirTi dei doni con gioia. Hashem, Signore dei nostri patriarchi Abramo, Isacco e Israel, conserva per l'eternità questo spirito nei pensieri del cuore del Tuo popolo e dirigi il loro cuore verso di Te".


Il terzo ramo è la gelosia: l'uomo deve essere geloso del Nome della Sua Santità, odiare coloro che Lo odiano e sforzarsi di piegarli per quanto possibile, affinché si compia il servizio di D-o benedetto e si moltiplichi la Sua gloria. Ed è ciò che disse [il re] David, la pace sia su di lui (Salmi 139, 21): "Non è forse vero che devo odiare chi Ti odia e combattere chi si ribella contro di Te? Li odio con un odio assoluto, essi sono per me come dei nemici27." [Il profeta] Elia disse (Primo Libro dei Re 19, 10): "Sono stato gelosamente zelante per Hashem Tzeva-ot ecc.". E abbiamo potuto vedere quale fu la ricompensa per la sua gelosia nei confronti del suo Signore, come dice il testo (Numeri 25, 13): "Per essere stato geloso28 nei confronti del suo Signore e per avere espiato le colpe dei figli d'Israel".


E i nostri Maestri di benedetta memoria hanno già parlato con severità di chi ha la possibilità di protestare [contro i peccatori] eppure se ne astiene. E decretarono che la sua punizione sarà quella di essere condannato per la stessa colpa dei peccatori. E riguardo al versetto (Eikha 1, 6): "I suoi principi erano come dei cervi" dissero nel Midrash Eikha (1, 34): Come quei cerbiatti che quando fa caldo nascondono i loro volti gli uni sotto agli altri: così facevano i grandi d'Israel, che quando vedevano un peccato distoglievano il loro sguardo. Disse loro il Santo, benedetto Egli sia: verrà il giorno in cui anch'Io Mi comporterò così nei vostri confronti. Ed è ovvio che chi ama un suo amico non può sopportare di vederlo percosso o umiliato; e certamente verrà in suo soccorso. Allo stesso modo, chi ama il Nome del Signore benedetto non può sopportare che Esso venga profanato, che D-o ce ne scampi, o che i Suoi precetti vengano trasgrediti. Ed è ciò che disse [il re] Salomone (Proverbi 28, 4): "Coloro che abbandonano la Torà esaltano il malvagio; invece chi rispetta la Torà li rimprovera". Perché chi elogia il malvagio nella sua malvagità - invece di rinfacciargli il suo vizio - abbandona la Torà e permette che essa venga profanata, che D-o non voglia29. Invece, chi rispetta la Torà e si prodiga per sostenerla li criticherà certamente e non riuscirà a trattenersi e a fare finta di niente. E disse il Santo, benedetto Egli sia, a Giobbe (Giobbe 40, 11-13): "Effondi la furia della Tua collera, scorgi tutti gli orgogliosi e umiliali. Scorgi tutti gli orgogliosi, piegali e schiaccia i malvagi sotto di loro. Seppelliscili insieme nella polvere e fascia i loro volti in un luogo celato". Perché questa è la forza dell'amore di Hashem che chi ama veramente il suo Creatore può dimostrare. Ed è detto (Salmi 97, 10): "Chi ama Hashem odia il male".


Abbiamo trattato fin qui gli aspetti delle devozione che riguardano l'azione e il modo in cui si agisce. Ora ne spiegheremo gli aspetti che riguardano l'intenzione. Abbiamo già distinto in precedenza30 i diversi livelli della Mitzvà disinteressata e della Mitzvà compiuta con secondi fini. E parlando di chi, con il proprio servizio divino, intende purificare la propria anima davanti al Creatore per meritare di sedersi in Sua presenza assieme ai giusti e ai devoti, contemplare la soavità di Hashem, visitare il Suo palazzo31 e ricevere la ricompensa del mondo futuro32, è ovvio che non possiamo dire che egli abbia un'intenzione malvagia; tuttavia, non possiamo neanche dire che essa rappresenti l'intenzione ideale, perché se il fine dell'uomo è il proprio tornaconto personale, ciò significa che in fondo il suo servizio è destinato a sé stesso. Invece l'intenzione genuina, frequente presso i devoti che si sono ingegnati per raggiungerla, è quella di servire Hashem con l'unico scopo di aumentare e diffondere la gloria del Signore, benedetto Egli sia. E questo livello viene raggiunto dopo essersi caricato di amore verso il Signore benedetto, quando si desidera e si anela a esaltare la Sua gloria e si è contrariati da ciò che invece la limita. A questo [livello di devozione], l'uomo compie il suo servizio divino con lo scopo, almeno per quanto lo riguarda, di diffondere la gloria del Signore benedetto e con il desiderio che tutti gli altri esseri umani siano come lui, dispiacendosi e sospirando allorché gli altri fanno invece il contrario. E a maggior ragione [si dispiace] quando è lui stesso a limitarla, che sia per errore o per costrizione o per la debolezza naturale che gli rende difficile astenersi dal peccato in qualsiasi frangente, come è detto (Ecclesiaste 7, 20): "Perché non esiste un giusto in terra che faccia il bene senza mai peccare". E questo concetto fu ulteriormente sviluppato nel Tana Deve Eliahu di benedetta memoria (Raba 4, 5): "Ogni saggio di Israel che conosce il vero significato delle parole di Torà sospira ogni giorno della sua vita per l'onore del Signore e per quello di Israel, desidera e prova dolore per l'onore di Gerusalemme e del Santo Tempio, per la Redenzione che germoglierà presto e per la riunione degli esilii, costui si merita lo spirito di santità nelle sue parole". Ciò ti fa capire che è questa l'intenzione ideale, lontanissima da qualsiasi tornaconto personale e tesa unicamente all'onore di D-o e alla santificazione del Suo Nome benedetto, santificato dalle Sue creature quando compiono la Sua volontà. E di questo dissero (Midrash Vaykra Raba 11, 5): "Chi è un devoto? Colui che è devoto al suo Creatore".


E oltre a compiere il proprio servizio di D-o attraverso le Mitzvot che mette in pratica con questa intenzione, chi è così devoto certamente prova senza tregua un vero dolore per l'esilio e per la rovina [del Santo Tempio di Gerusalemme], perché queste [disgrazie] limitano, se così si può dire, la gloria divina. Piuttosto, egli desidera la Redenzione, poiché a essa corrisponderà una esaltazione della gloria del Suo Nome benedetto. Ed è ciò che disse il Tana Devé Eliahu citato in precedenza "desidera e prova dolore per l'onore di Gerusalemme" e prega costantemente per la Redenzione degli Ebrei33 e per la restituzione della gloria divina alla sua dimensione suprema. E se qualcuno dicesse: chi sono io e che importanza ho io, affinché io preghi per l'esilio e per Gerusalemme? È possibile che grazie alla mia preghiera si riuniscano gli esilii e sorga la Redenzione? La risposta sta accanto a lui, come abbiamo insegnato (Talmud Bavli, trattato Sanhedrin, 37a): "Per questo motivo l'uomo [Adamo] fu creato solo: affinché ognuno possa dire 'il mondo è stato creato [unicamente] per me'." E il fatto che i Suoi figli chiedano e preghino per [la Redenzione e per la ricostruzione di Gerusalemme] è già una fonte di soddisfazione per il Signore benedetto. E se pure la loro richiesta non venisse esaudita perché l'ora non è ancora giunta o per qualunque altro motivo, essi avranno comunque fatto la loro parte e il Santo, benedetto Egli sia, ne è felice. Il profeta si indignava proprio per l'assenza di questo comportamento (Isaia 59, 16): "E vide che non c'era nessuno e si stupì del fatto che nessuno intervenisse". E disse (ibid. 63, 5): "E guardai: nessuno veniva in aiuto; e osservai allibito: nessuno veniva in sostegno". Ed è detto (Geremia 30, 17): "Questa è Zion34, nessuno la reclama", che i nostri Maestri di benedetta memoria hanno così commentato (Talmud Bavli, trattato Sukkà 41a): "Da qui si deduce che bisogna reclamarla". Ciò prova che siamo tenuti a farlo e il pretesto delle nostre poche forze non è sufficiente per astenerci, perché a questo riguardo abbiamo imparato nelle Massime dei Padri (Avot 5, 16): "Completare l'opera non è compito tuo, tuttavia non ti è permesso di sottrarti a essa". E anche il profeta disse (Isaia 51, 18): "Di tutti i figli che ha partorito, nessuno si occupa di lei; e di tutti i figli che ha cresciuto, nessuno la aiuta". E disse anche (ibid. 40, 6): "Ogni corpo è come l'erba e tutta la sua bontà è come la fioritura del campo" e i Maestri di benedetta memoria commentarono dicendo (Talmud Bavli, trattato Avodà Zarà 2b) che tutto il bene che costoro compiono è finalizzato al loro interesse, per il loro tornaconto personale, anziché anelare a questa intenzione ideale; e non cercano l'elevazione dell'onore del Popolo Ebraico né la sua Redenzione, eppure la gloria del Signore non può propagarsi senza la Redenzione degli Ebrei e l'elevazione del loro onore, che sono veramente indissociabili l'uno dall'altro, come detto nel Tana Devè Eliahu citato in precedenza (Raba 4, 12) "E sospira per l'onore del Santo, benedetto Egli sia, e per l'onore del Popolo d'Israel". Da qui impariamo che questo argomento35 richiede due considerazioni: la prima è che l'intenzione nel compimento di ogni Mitzvà e in tutto il servizio di D-o deve essere rivolta a esaltare la gloria divina attraverso la soddisfazione che Gli recano le Sue creature. Inoltre, bisogna rammaricarsi36 e anelare a questa esaltazione della gloria divina, che si compirà in modo ideale attraverso l'elevazione dell'onore degli Ebrei e il loro benessere. Ma c'è una seconda [finalità] sostanziale nell'intenzione del devoto: il bene della propria generazione, poiché si addice a ogni devoto, in ognuno dei suoi atti, di pensare al bene di tutta la sua generazione, per aiutarla e per proteggerla. Come è scritto (Isaia 3, 10): "Lodate il giusto perché è buono: poiché essi mangiano i frutti delle loro azioni", cioè tutta la generazione fruisce dei frutti [della devozione del giusto]. E riguardo al versetto (Numeri 13, 20) "Verificate se [nel paese] ci sono alberi", i Maestri di benedetta memoria dissero anche (Talmud Bavli, trattato Baba Batra 15a): "Verificate se [nel paese] c'è qualcuno che difende la sua generazione37 come un albero".


E vedrai che questa è la volontà del Signore: che gli Ebrei devoti procurino meriti ed espiazione agli altri Ebrei di ogni livello. Ed è ciò che dissero i Maestri di benedetta memoria riguardo al Lulav e alle sue specie38 (Vaykrà Raba 30, 12): "Che vengano questi e che espiino [le colpe] di questi altri", poiché il Santo, benedetto Egli sia, non desidera la scomparsa dei malvagi; anzi, è imposta ai devoti la Mitzvà di darsi da fare per aiutarli e per condurli all'espiazione. E [il devoto] deve includere questi elementi nell'intenzione del suo servizio di D-o e anche concretamente nella sua preghiera, cioè deve pregare in favore della sua generazione per procurare l'espiazione a chi ne ha bisogno, condurre alla Teshuvà chi ne ha bisogno e prendere le difese di tutta la generazione. E riguardo al versetto (Daniele 10, 12): "E io sono venuto a causa delle tue parole", già dissero i Maestri di benedetta memoria (Ein Yaakov, Yoma, cap. 8) che l'angelo Gabriele non poté più uscire dall'interno della Cortina Celeste finché non prese le difese del Popolo d'Israel39. E a Ghid'on (Gedeone) fu detto (Giudici 6, 14): "Va' con questa tua forza", perché aveva esposto i meriti del suo popolo. Difatti, il Santo, benedetto Egli sia, ama solamente chi ama gli Ebrei. E più un uomo accresce il suo amore per Israel, più il Santo, benedetto Egli sia aumenta il Suo amore per lui.
Questi sono i veri pastori del Popolo Ebraico, quelli che il Santo, benedetto Egli sia, ama particolarmente; quelli che si dedicano al Suo gregge, cercano il suo bene e fanno di tutto per realizzarlo; quelli che nei momenti di crisi si alzano sempre a pregare per il popolo, affinché i decreti avversi siano cancellati e si aprano davanti a lui le porte della benedizione40. A cosa ciò può essere paragonato? A un padre che si accorge che qualcuno nutre una amicizia fedele e sincera per suo figlio: egli amerà questa persona più di tutte le altre. La natura umana attesta questo fenomeno. Ed è a questo che ci si riferisce quando si parla (Talmud Bavli, trattato Makkot 11a) dei casi in cui un Cohen Gadol (il Sommo Sacerdote) avrebbe dovuto chiedere clemenza per la sua generazione e non lo fece. E dissero anche (ibid.): "Un tale fu sbranato da un leone a tre leghe di distanza da Rabbi Yehoshua ben Levi; [di conseguenza, il profeta] Elia non gli parlò per tre giorni41." Quindi i devoti hanno l'obbligo di chiedere [il bene] della loro generazione e di darsi da fare per ottenerlo.


Abbiamo dunque spiegato le principali componenti della devozione: i loro dettagli sono affidati a tutte le persone assennate e pure di cuore, affinché si comportino seguendo la retta via e secondo questi princìpi, ogni cosa a suo tempo.


------------------------------------
Note del traduttore:
[1] Questi residui sono le componenti della Mitzvà che non sono indispensabili per il suo compimento. Tuttavia sono importanti per arginare le avversità (Rashi).
[2] Compiere atti di bontà verso il prossimo.
[3] Perfino oltre la distanza a partire dalla quale ciò sarebbe permesso, cioè quattro cubiti, circa due metri.
[4] Si tratta ovviamente del Kidush che viene recitato sul vino durante lo Shabbat e nelle feste.
[5] Si tratta di persone sedute per terra.
[6] Il Bet Midrash è la casa di studi di Torah.
[7] Il Cohen viene onorato dandogli la precedenza.
[8] Cioè Rav Nechunia non ha mai serbato rancore contro chi gli ha causato un torto, perdonandolo il giorno stesso, prima di coricarsi.
[9] Dal trattato Peà 1, 1.
[10] La Torà narra un caso lampante di bontà verso un morto, quando (Genesi 47, 29-31) Giacobbe chiede in punto di morte a suo figlio Giuseppe di 'agire con bontà verso di lui e di non seppellirlo in Egitto', bensì in Terra d'Israele. Gli atti di bontà verso i morti vengono chiamati 'vera bontà', perché vengono fatti senza attendere ricompensa alcuna. L'esempio più evidente è quello di chi dice Kaddish (o compie un'altra Mitzvà) in favore di un defunto. È forse il caso di ricordare qui l'importanza di dire tutti i Kaddishim per i propri cari, durante il primo anno dopo la sepoltura e in occasione degli anniversari. Possiamo citare Chaye Netzach (la vita eterna), un'organizzazione che raggruppa migliaia di volontari, ognuno dei quali 'adotta' un ebreo o una ebrea deceduti senza lasciare nessuno che si occupi di recitare il Kaddish e acquisire altri meriti per elevare l'anima del defunto. Questo è forse il più alto esempio di bontà che abbiamo incontrato, perché fatto in favore di sconosciuti che non sono ovviamente più in grado di ricambiare questo favore.
[11] Conosciamo tutti le nostre mancanze e sappiamo che se Hashem non ci giudicasse con clemenza non avremmo nessuna chance.
[12] Le quattro frange agli angoli del Tallit.
[13] Con questo termine si indica comunemente l'insieme delle quattro piante (di cui una è proprio il Lulav) che compongono l'omonimo precetto della festa di Sukkot.
[14] Del suo valore.
[15] Per renderla nuovamente permessa al servizio divino.
[16] Il versetto citato si riferisce in particolare allo Shabbat. Ricordiamo ai più distratti che secondo numerosi riti questo versetto viene recitato nel secondo Kiddush di Shabbat.
[17] La Torà, ovvio.
[18] Sono ovviamente le 22 lettere dell'alfabeto ebraico.
[19] Per chi non l'avesse capito: non avendo più la forza di studiare la Torà, Rabbi Zera guadagna almeno la Mitzvà di alzarsi al cospetto dei Talmidé Chakhamim.
[20] È forse il caso di ricordare che i Salmi di David sono principalmente inni di lode al Signore.
[21] Le testimonianze di cui parla il versetto 24 (עדתיך) sono le leggi della Torà. Suppongo che la parola "מצותיך" citata nella versione ebraica sia un refuso.
[22] Questa è la seconda delle risposte promesse poc'anzi nel testo, cioè la spiegazione destinata alle persone dotate di capacità intellettuali più sviluppate.
[23] Città della Galilea. Studiando la Torà ci si unisce ad Hashem in modo tale da trascurare le proprie occupazioni terrene per correre verso lo studio.
[24] L'autore si riferisce in particolare alla preghiera (come nell'esempio che segue) e al compimento delle Mitzvot (Rot).
[25] Shekhem è il cananeo criminale che rapì e violentò Dina, la figlia di Giacobbe (si veda il capitolo 34 della Genesi). Abbiamo già parlato di questa triste vicenda nel capitolo 4 sulla prudenza.
[26] Diverse edizioni citano il Midrash Shochar Tov come fonte di questa citazione. Ma noi lì non l'abbiamo trovata, quindi abbiamo preferito rimandare il lettore a un altro Midrash, il Yalkut Shimoni sul salmo 100, dove la citazione si trova senza ombra di dubbio.
[27] Questo versetto dei Salmi ci ricorda che persone e organizzazioni apertamente ostili a Hashem e alla Santa Torah non meritano nessuna simpatia. Anzi...
[28] Non si stupisca il lettore se la Torà attribuisce al profeta Elia la ricompensa di Pinchas: i nostri Maestri ci insegnano che Elia e Pinchas sono la stessa persona. Ovviamente in tutta questa sezione la parola gelosia non va intesa nel senso negativo che oggi ci è forse più familiare, bensì in quello positivo e altruista che implica la difesa e la protezione della persona amata.
[29] Quanto è attuale questa denuncia del Ramchal! Alcuni dovrebbero farne tesoro e scegliere letture, films e musica proposti da autori non ostili al mondo della Torah.
[30] Si veda l'inizio del capitolo 16 sulla purezza, senza dimenticare la nota 2 sulle Mitzvot Lishmah e Shelo Lishmah.
[31] Si veda Salmi 27, 4.
[32] Si veda, dello stesso autore e dello stesso traduttore, il Maamar Haikarim, capitolo 4 sulla ricompensa.
[33] Che avverrà con l'imminente rivelazione del nostro giusto Mashiach.
[34] Uno dei nomi di Gerusalemme, che sia ricostruita presto nei nostri giorni.
[35] L'intenzione del devoto nel suo servizio di Hashem.
[36] Probabimente per il nostro esilio, perché anche la Presenza Divina è in esilio insieme a noi e lo sarà fino alla nostra imminente Redenzione, si veda per esempio Bereshit 46, 4.
[37] La frase è rivolta agli esploratori inviati da Mosè per esaminare la Terra Santa prima di entrarci con tutto il Popolo Ebraico uscito dall'Egitto. I Maestri propongono quindi una lettura allegorica del versetto: il compito degli esploratori non era solamente quello di accertare lo stato della vegetazione del paese, ma soprattutto quello di verificare le difese spirituali della popolazione locale, rappresentate dal valore morale della loro classe dirigente. Come è noto, il livello morale dei popoli cananei era fallimentare, ciononostante la missione degli esploratori (o perlomeno della maggioranza di loro) naufragò miseramente.
[38] Si tratta delle quattro piante che vengono unite durante la festa di Sukkot, ognuna delle quali rappresenta un tipo di ebreo.
[39] Questo Ein Yaakov è tratto dal Talmud Bavli, trattato Yoma, foglio 77a.
[40] E oggigiorno sarebbe bene che le domande sull'Ebraismo venissero poste a loro, i capi della nostra generazione. Se fossero loro a essere citati e intervistati, leggeremmo informazioni più precise e conformi al pensiero ebraico.
[41] La Ghemarà ci racconta che il Maestro della Mishna Rabbi Yehoshua ben Levi era solito parlare con Eliahu Hanavi. I più famosi di questi incontri sono narrati nel Midrash e nel trattato Sanhedrin del Talmud Bavli. Abbiamo già tradotto in italiano e pubblicato in questo sito uno dei più significativi di questi incontri con il Profeta Elia.

Testo originale in Ebraico del cap. 19 del Messilat Yesharim

Ramchal Messilat Yesharim Ebraico PDFTesto completo del Mesilat Yesharim in formato PDF
Ramchal Messilat Yesharim Ebraico DOC Testo completo del Mesilat Yesharim in formato DOC




-------------------------------------------------------------------------------------

Tishri 5771. Tutti i diritti riservati. Per saperne di più sul Copyright
Chiunque volesse citare, riprodurre o comunicare al pubblico in ogni forma e con qualunque mezzo (siti Internet, forum, pubblicazioni varie ecc.) parti del materiale di questo sito, nei limiti previsti dalla legge, è tenuto a riportare integralmente una dicitura, che per questa pagina è:

Tratto dal sito www.anzarouth.com : Messilat Yesharim, Rabbi Moshe Chaim Luzzatto, traduzione a cura di Ralph Anzarouth.
È richiesto di aggiungere anche un link verso:
www.anzarouth.com/2010/10/mesilat-yesharim-19-devozione-elementi.html
-------------------------------------------------------------------------------------