Il Sentiero dei Giusti (Mesilat Yesharim) Ramchal: Rabbi Moshe Chaim Luzzatto - Capitolo 22: L'umiltà e le sue componenti



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Traduzione di Ralph Anzarouth


L'umiltà e le sue componenti


Abbiamo già messo in evidenza quanto l'orgoglio sia riprovevole, ciò da cui si deduce quanto sia lodevole l'umiltà. Invece ora spiegheremo più in dettaglio l'umiltà e grazie questa spiegazione anche l'orgoglio risulterà più chiaro.


La regola dell'umiltà richiede che la persona non abbia alcun tipo di considerazione per sé stessa, ciò che è l'esatto contrario dell'orgoglio; e le conseguenze che ne derivano sono opposte a quelle dell'orgoglio.


E se approfondiamo l'argomento, scopriamo che l'umiltà dipende dal pensiero e dall'azione. Perché dapprima l'uomo deve essere umile nella sua mente e poi si comporterà come gli umili. Ma se non fosse umile nella sua mente e volesse esserlo nei fatti, egli sarebbe solo uno degli spregevoli finti modesti di cui abbiamo parlato e che fanno parte degli ipocriti, la peggiore categoria esistente.


E ora spiegheremo queste componenti:


Pensare con umiltà significa riflettere e verificare il fatto che la gloria e gli onori non si addicano alla propria persona; e ancora meno l'ergersi al di sopra del prossimo - e questo, sia per via dei propri difetti sia per ciò che è già riuscito a compiere.


Per via dei propri difetti - è ovvio, perché qualunque sia il grado di perfezione cui un uomo è giunto, questi non sarà mai immune dall'avere molte mancanze, che si tratti di difetti naturali, di tare familiari e nel parentado, di eventi passati o di azioni compiute, (Ecclesiaste 7, 20): "Non c'è in Terra un uomo giusto che faccia del bene senza mai commettere un peccato". Tutti questi sono difetti che non lasciano all'uomo nessuna possibilità di esaltarsi, nemmeno quando si tratta di una persona ricca di qualità, perché queste mancanze sono sufficienti per oscurarle. E ciò che più incita l'uomo a esaltarsi e a inorgoglirsi è l'intelligenza, perché è una virtù personale propria all'individuo e situata nella più nobile delle sue facoltà: l'intelletto. Ed ecco, non esiste nessun saggio che sia infallibile e che non debba mai imparare dagli insegnamenti altrui - e a volte perfino dai propri allievi. E se così stanno le cose, come può insuperbirsi per la propria intelligenza? Invece chi ragiona correttamente, anche se ha il privilegio di essere un illustre e autorevole saggio, in verità se osserva e riflette scoprirà di non avere nessun motivo di inorgoglirsi e insuperbirsi, perché in fondo l'intellettuale che ha più conoscenze degli altri non fa altro che mettere in atto quella che è la sua dote naturale, come un volatile che si alza in volo perché questa è la sua natura e come un toro che tira con forza perché questa è la sua indole: allo stesso modo, chi è intelligente lo deve alla propria natura; e se chi non si trova al suo stesso livello di intelligenza avesse avuto la stessa predisposizione intellettuale - sarebbe ora intelligente come lui. E dunque non c'è di che insuperbirsi e inorgoglirsi. Piuttosto, chi possiede una grande saggezza deve insegnarla a chi ne ha bisogno, come disse Rabbi Yochanan ben Zakkay (Massime dei Padri 2, 8): "Se hai studiato molta Torà, non te ne fare un merito, perché è per questo che sei stato creato". Se è ricco, che si rallegri della propria situazione; e su di lui incombe l'obbligo di aiutare i demuniti. Se è forte, deve aiutare i deboli e soccorrere gli oppressi. A cosa ciò assomiglia? Ai domestici che servono in una casa: ognuno di loro è adibito a una incombenza specifica e deve svolgere le sue mansioni secondo le istruzioni, allo scopo di completare tutti i lavori della casa e le sue necessità; e veramente non c'è qui nessun motivo di orgoglio1 .


Queste sono l'osservazione e la riflessione che si addicono a ogni persona che ragiona con maturità e senza intestardirsi. E quando ciò gli è chiaro potrà essere definito un vero umile, la cui umiltà è in cuor suo e dentro di sé. Come disse [il re] David a Michal2 (Secondo Libro di Samuele 7, 22): "E mi rimpicciolirò ai miei propri occhi". E dissero i Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato di Sotà 5b): "Quanto sono grandi gli umili di spirito: quando c'era il Santo Tempio3, chi offriva un sacrificio di Olà acquisiva il merito di quella Olà; [chi offriva un sacrificio di] Minchà, acquisiva il merito di quella Minchà; eppure la Torà attribuisce a chi è umile di carattere lo stesso merito di chi offre tutti i sacrifici, come è detto (Salmi 51, 19): 'L'animo contrito è [come] le offerte al Signore'." Questa è quindi una lode degli spiriti modesti, che sono umili nei loro cuori e nei loro pensieri. E [riguardo al versetto] (Deuteronomio 7, 7): "Non perché siate il più numeroso dei popoli4", [i Maestri di benedetta memoria] dissero anche (Talmud Bavli, trattato Chulin 89a): "Disse il Santo, benedetto Egli sia, agli Ebrei: 'Figli Miei, Io vi desidero perché perfino quando vi innalzo, voi vi abbassate davanti a Me: ho elevato Abramo e mi rispose (Genesi 18, 27): 'Io sono polvere e cenere'. Ho elevato Mosè e mi rispose (Esodo 16, 7): 'E noi5 cosa siamo?' Ho elevato David e mi rispose (Salmi 22, 7): 'Io non sono un essere umano bensì un verme'." Tutto questo perché il cuore retto non si lascia illudere da nessuna delle virtù che ha conseguito, conscio del fatto che in realtà essa non basta a cancellare la sua bassezza, a causa di quelle mancanze che non può non avere.


E per di più, perfino in quelle stesse Mitzvot che è già riuscito a compiere, non è certo ancora arrivato al loro fine ultimo. E inoltre, se pure non ha nessun altro difetto oltre a quello di essere un comune mortale in carne e ossa, questo è già più che sufficiente perché si consideri misero e meschino, al punto da non avere nessuna ragione di insuperbirsi. Difatti, tutte le virtù che egli ottiene non sono altro che effetto della bontà divina nei suoi confronti, perché Hashem vuole fargli del bene, malgrado la sua natura e la sua materialità siano estremamente meschine e spregevoli. Perciò deve solo ringraziare Colui che gli ha elargito questa grazia e sottomettersi sempre di più [a Hashem].


A cosa ciò assomiglia? A un povero indigente che riceve un dono offerto per bontà: egli non può non provarne vergogna, perché più si ricevono atti di bontà più aumenta la propria vergogna; e questo vale anche riguardo a quanto esposto in precedenza. Così accade a ogni persona i cui occhi sono aperti per vedere le qualità positive che riceve da Hashem benedetto, come disse il re David (Salmi 116, 12): "Cosa renderò a Hashem in cambio di tutti i Suoi atti di bontà verso di me?"


E abbiamo visto grandi devoti venire puniti per essersi considerati meritevoli malgrado la loro devozione: di Nechemia ben Chakhalià dissero i Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Sanhedrin 93b): "Perché il suo libro non fu chiamato con il suo nome6? Perché si considerò meritevole". E disse [il re] Chizkia (Isaia 38, 17): "La pace è amara per me", perché il Santo, benedetto Egli sia, gli aveva detto (Secondo Libro dei Re 19, 34): "Proteggerò questa città, la salverò per Me e per David il Mio servitore" e come dissero i Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Berakhot 10b): "I meriti che uno attribuisce a sé stesso verranno attribuiti ad altri". Questo prova che non bisogna considerarsi meritevoli neppure per le proprie buone azioni e a maggior ragione non bisogna insuperbirsi e inorgoglirsi per averle compiute.


Tuttavia, tutto questo fa parte di ciò che dovrebbe inculcare nel proprio cuore chi è come Abramo, Mosè, Aronne, David e gli altri devoti che abbiamo citato. Ma noialtri, orfani di orfani, non abbiamo bisogno di tutto ciò, perché abbiamo così tanti difetti da non avere bisogno di una osservazione minuziosa per scoprire la nostra bassezza e tutta la nostra saggezza non conta niente, perché il più grande saggio che è tra noi non vale più di un allievo degli allievi delle prime generazioni. Questo è ciò che dovremmo capire e riconoscere affinché il nostro cuore non ci induca alla vana superbia. Invece, riconosceremo che la nostra mente è labile e che il nostro intelletto è debolissimo, la stupidità abbonda in noi e siamo propensi all'errore. Ciò che sappiamo non è che il minimo del minimo. E se così stanno le cose, ciò che si addice a noi non è certo la superbia, ma piuttosto la vergogna e la modestia. E questo è ovvio.


Abbiamo discusso finora dell'umiltà nel pensiero. Parleremo ora dell'umiltà nell'azione. Questa si divide in quattro parti: comportarsi con modestia, accettare le offese, disdegnare i poteri e fuggire gli onori, onorare sempre il prossimo.


1. Comportarsi con modestia: questo comportamento è appropriato quando si parla, quando si cammina, quando ci si siede e in tutti i propri movimenti.


Quando si parla: dissero i Maestri (Talmud Bavli, trattato Yoma 86a): "I discorsi di un uomo devono sempre essere sereni verso gli altri7." E questo è un versetto esplicito (Ecclesiaste 9, 17): "Le parole dei saggi, pronunciate con serenità, vengono ascoltate". Le parole dell'uomo devono sempre essere dignitose e mai umilianti, infatti è detto (Proverbi 11, 12): "Chi denigra il prossimo è senza cuore" e anche (ibid. 18, 3): "Il malvagio porta con sé il disprezzo".


Quando si cammina: dissero i Maestri (Talmud Bavli, trattato Sanhedrin 88b): "Hanno detto [i Maestri di Eretz Israel]: 'Chi merita il mondo futuro? Colui che è umile modesto, che si inchina quando entra e quando esce'." E che non si cammini con un portamento eretto né con grande pompa, con il tallone davanti all'alluce; piuttosto, che si cammini come tutte le persone che vanno a occuparsi dei loro affari. E così dissero i Maestri (Talmud Bavli, trattato Kiddushin 31a): "Chi cammina a testa alta è come se spingesse via la presenza Divina8." Ed è scritto (Isaia 10, 33): "E i più alti vengono troncati".


Quando ci si siede: il proprio posto sia tra gli umili e non tra i potenti; e anche questo è un versetto esplicito (Proverbi 25, 6): "Non pavoneggiarti davanti al re e non metterti nel posto dei grandi". E così dissero i Maestri di benedetta memoria (Midrash Vaykra Rabba, Cap. 1, 5): "Allontànati dal tuo posto di due o tre seggi e siediti finché non ti diranno 'Sali'. Piuttosto che salire, finché non ti diranno 'Scendi'." E dissero di chi si abbassa (Talmud Bavli, trattato Baba Metzia 85b): "Chi si abbassa riguardo a cose di Torà in questo mondo diventerà grande nel mondo futuro". E riguardo alla situazione opposta dissero (Yalkut Yechezkel 361-21): "Togli la tiara e solleva la corona - Chi è grande in questo mondo sarà piccolo nel mondo futuro" e da cui si deduce anche il contrario: per chi è piccolo in questo mondo, il tempo della sua grandezza sarà nel mondo futuro. E dissero (Talmud Bavli, trattato Sotà 5a): "L'uomo deve sempre imparare dal giudizio del suo Creatore, poiché il Santo, benedetto Egli sia, ignorò tutte le montagne e le alture per posare la Presenza Divina sul Monte Sinai9," proprio perché basso, e riguardo al versetto (Micha 7, 18): "[Che perdona i loro peccati] ai resti10 dei Suoi eredi", dissero (Talmud Bavli, trattato Rosh Hashanà 17b): "A chi considera sé stesso come un resto".


2. Accettare le offese. Infatti, i Maestri dissero esplicitamente (Talmud Bavli, trattato Rosh Hashanà 17a): "A chi perdona i peccati? A coloro che sorvolano sui peccati [commessi contro di loro]". E dissero anche (Talmud Bavli, trattato Shabbat 88b): "Gli offesi che non offendono: ascoltano l'ingiuria rivolta loro, senza rispondere. Di loro dice la Bibbia (Giudici 5, 31): 'E i Suoi diletti sono come il sole che sorge in tutto il suo splendore'." E raccontavano la grande umiltà di Baba ben Buta, dicendo (Talmud Bavli, trattato Nedarim 66b): "Un babilonese salito in Terra d'Israele sposò una donna11 e le disse: 'Cucina per me due zampe', [...] le disse: 'Portami due zucchine'; gli portò due candele; le disse: 'Vai a romperle sulla testa della porta'. In quel momento, Baba ben Buta presiedeva il tribunale, quella andò a romperle sulla sua testa12. Le chiese: 'Cosa significa ciò che hai fatto?' Gli rispose: 'Così mi ha ordinato mio marito'. Le disse: 'Hashem ti dia due figli come Baba ben Buta'." E anche riguardo a Hillel, si racconta della sua grande umiltà in questi termini (Talmud Bavli, trattato Shabbat 30b): "Dissero i Maestri: che l'uomo sia sempre umile come Hillel ecc.". E Rabbi Abahu, malgrado la sua grande umiltà, non si riteneva ancora degno di essere considerato umile (ibid. Trattato Sotà, 40a): "Disse Rabbi Abahu: 'Dapprima pensavo di essere umile, ma dopo aver visto Rabbi Abba di Akko dare una spiegazione e non arrabbiarsi quando il suo interprete ne fornì un'altra, capii di non essere umile13."


3. Il disprezzo del potere e la fuga dagli onori è un insegnamento esplicito (Massime dei Padri 1, 10): "Ama il lavoro e disprezza il potere" e [i Maestri] dissero anche (ibid. 4, 9): "Chi emette avventatamente decisioni di Halachà è folle, malvagio e rozzo"; e dissero (Talmud Bavli, trattato Eruvin 13b): "L'onore fugge via da chi lo insegue"; e anche (Psikta Rabbati 22, 4): "Il versetto (Proverbi 25, 8) "Non affrettarti verso la disputa" insegna a non inseguire il potere, perché (ibid.) "altrimenti cosa farai in seguito?" L'indomani verranno a porti domande e tu cosa risponderai?" E dissero anche (Psikta Rabbati, ibid.): "Rabbi Menachma disse a nome di Rabbi Tanchum [...]: chi accetta il potere per trarne un profitto è come quell'adultero che approfitta del corpo di una donna". E ancora (ibid.): "Disse Rabbi Abahu: [il Signore dice:] Io fui chiamato 'Santo'. [...] Perciò, se non possiedi tutte le Mie virtù, non farti carico del potere".


Un esempio pratico [di quanto esposto sopra] viene dagli allievi di Rabbi Yehoshua, che pur oppressi dalla povertà non volevano accedere a una posizione di autorità, come dissero i Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Horayot 10a): "Voi immaginate che io vi stia conferendo dei poteri; in realtà, ciò che vi offro è la servitù!" E dissero anche (Talmud Bavli, trattato Pesachim 87b): "Alla larga dal potere, che seppellisce chi lo detiene". Da dove lo sappiamo? Da Yossef, che per aver assunto il potere morì prima dei suoi fratelli, (si consulti il Talmud Bavli, trattato Berakhot 55a)14. La regola generale dice che il potere non è altro che un grande peso sulle spalle di chi lo porta. Infatti, finché l'uomo se ne sta per conto suo, inghiottito nella massa della popolazione, è considerato responsabile unicamente di sé stesso. Ma quando egli accede a una carica ufficiale e a un posto di potere, prende su di sé la responsabilità di tutti coloro che si trovano sotto la sua autorità e la sua giurisdizione, perché deve sorvegliarli, condurli con conoscenza e con intelligenza e correggere le loro azioni. Se non lo fa (Midrash Devarim Raba 1. 10): "I Maestri dissero: è scritto15 (Deuteronomio 1): 'Le loro colpe ricadranno sulle vostre teste'."


E gli onori non sono altro che futili vanità, che allontanano l'uomo dalla sua ragione e dalla volontà del suo Creatore, oltre a fargli dimenticare i suoi obblighi. E chi riconosce [questo futile onore] lo troverà sicuramente spregevole e lo detesterà: e proverà fastidio nell'udire le lodi con le quali verrà adulato dagli altri: infatti, quando li vedrà tessere le sue lodi riguardo a qualità che egli non possiede veramente, si vergognerà e sospirerà perché non solo si ritrova privo di quelle virtù, ma ora gli affibbiano anche lodi menzognere per farlo vergognare ancora di più.


4. Trattare con rispetto ogni persona. E abbiamo imparato nelle Massime dei Padri (Pirkè Avot 4, 1): "Chi è degno di rispetto? Colui che rispetta le creature". E dissero anche (Talmud Bavli, trattato Pesachim 113b): "Da dove [impariamo] che chi sa che qualcun altro gli è superiore, perfino riguardo a un solo criterio, deve portargli rispetto?16 [...]". E abbiamo imparato anche (Pirkè Avot 4, 15): "Saluta per primo qualunque persona"; e si diceva di Rabban Yochanan ben Zakkay (Talmud Bavli, trattato Berakhot 17a) che nessuno mai lo avesse preceduto nel saluto, neppure uno straniero al mercato.


Bisogna trattare il prossimo con rispetto sia nelle parole che nei fatti. E i Maestri di benedetta memoria narrarono (Talmud Bavli, trattato Yebamot, 62b) dei 24.000 allievi di Rabbi Akiva che morirono perché non si trattavano l'un l'altro con rispetto17. E così come il disprezzo si addice ai malvagi, secondo il detto già citato (Proverbi 18, 3): "Il malvagio porta con sé il disprezzo", allo stesso modo l'onore si addice ai giusti. Infatti, l'onore risiede tra di loro e non se ne allontana, come è detto (Isaia 24, 23): "E l'onore starà davanti ai Suoi anziani".


Le principali componenti dell'umiltà sono ormai state spiegate. Quanto ai loro casi particolari, come sempre avviene nelle situazioni, nei tempi e nei luoghi in cui i dettagli possono variare, (Proverbi 1, 5) "Il saggio ascolterà e ne trarrà un insegnamento".


Ed è certo che l'umiltà allontana dal cammino dell'uomo numerosi ostacoli e lo avvicina a molteplici benefici, perché chi è umile tiene in poco conto le cose di questo modo, le cui vanità non suscitano in lui nessuna invidia. Inoltre, la compagnia della persona umile è molto gradevole e gli altri lo apprezzano. Di certo non si arrabbia e non litiga mai; anzi, si comporta sempre con calma e con serenità. Felice è colui che ha il privilegio di accedere a questa virtù. E dissero (Talmud Yerushalmi, trattato Shabbat 1, 3): "Ciò di cui la saggezza ha fatto una corona per la propria testa, l'umiltà ne ha fatto un tacco per la sua scarpa",18 perché la saggezza tutta intera non può eguagliarne il valore19. E questo è ovvio.


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Note del traduttore:
[1] Questo passaggio rammenta concetti simili esposti nella Lettera di Ramban a suo figlio.
[2] Sua moglie.
[3] Il Santo Tempio di Gerusalemme, che sia presto ricostruito.
[4] Questo versetto della Torà ci spiega che Hashem non ha scelto il popolo ebraico perché numeroso. Hashem infatti cerca in noi la qualità, non la quantità. Cioè l'esatto contrario di ciò che agitatori dilettanti e professionisti strillano quotidianamente. La Torà insegna precisamente che l'allargamento del perimetro demografico del nostro popolo non presenta nessun interesse. Ciò che conta invece è che ogni ebreo onori il compito che gli è impartito e che santifichi il nome di Hashem su questa Terra, comportandosi esattamente come dice la Torà.
[5] Ovviamente, non è un plurale maiestatis. Mosé parla per sé stesso e per il fratello Aronne.
[6] Si tratta del libro di Ezra, redatto per la maggior parte da Nechemia.
[7] Ci sembra esserci una leggera differenza tra il nostro testo e la versione originale del Talmud. Il senso è comunque lo stesso.
[8] Ci sembra esserci una differenza tra il nostro testo e la versione originale del Talmud. La morale è comunque la stessa.
[9] È notoriamente un monte poco elevato, a significare che la Torà si acquisisce con l'umiltà.
[10] Cioè ai superstiti del Popolo Ebraico.
[11] Senza avere un linguaggio comune nel quale esprimersi e intendersi, come il seguito dimostrerà.
[12] Oltre al nome di quel giudice, Baba significa anche "porta", in aramaico. Da cui l'equivoco incorso dalla moglie.
[13] In epoca Mishnaica e Talmudica era uso corrente presso i Maestri, parlando davanti a un folto pubblico di studiosi, di avvalersi di un interprete il cui compito era quello di ripetere le spiegazioni del Maestro a voce più alta. Ovviamente, modificarne il pensiero e le spiegazioni non era per nulla legittimo, ciò che ci istruisce sulla grande umiltà di Rabbi Abba di Akko che non si offendeva davanti a simili comportamenti.
[14] Malgrado Yossef fosse più giovane di quasi tutti i suoi fratelli, il versetto precisa l'ordine delle morti (Esodo 1, 6): "Yossef morì e tutti i suoi fratelli e tutta quella generazione". Il Talmud precisa che Yossef visse almeno dieci anni in meno rispetto a tutti i fratelli per avere agito con autorità.
[15] Il versetto dice letteralmente 'Li nominerò capi su di voi', ma il testo in ebraico può essere letto anche secondo la chiave suggerita dal Midrash: se il popolo segue i suoi leaders, su questi ultimi ricadono le responsabilità di eventuali errori.
[16] Per i lettori più curiosi, la risposta fornita dal Talmud si trova nel libro di Daniele (6, 4), la cui saggezza fu il motivo della sua ascesa alla corte del re Dariavesh (Dario).
[17] Si tratta della famosa epidemia che colpì gli allievi della Yeshivà di Rabbi Akiva. Diverse interpretazioni sono state date sulla natura di questa mancanza di rispetto reciproco: il Midrash (Bereshit Raba 61, 3) sembra suggerire che gli allievi si erano astenuti dall'insegnare agli altri la Torà che essi avevano imparato. Più recentemente, alcuni (si veda il Vol. 23 del Likuté Sichot dell'ultimo Rabbi di Lubavitch) hanno suggerito che discutendo di Torà ognuno fosse così convinto delle proprie ragioni da voler sempre convincere il proprio compagno di studi.
[18] Infatti è detto (Salmi 111, 10) "Il timore di Hashem è il principio della saggezza" e (Proverbi 22, 4) "L'umiltà conduce al timore di Hashem". Quindi l'umiltà è il primo gradino della scala che conduce alla saggezza.
[19] Espressione calcata sul versetto di Giobbe (28, 17), si consulti colà tutto il passaggio.



Testo originale in Ebraico del cap. 22 del Messilat Yesharim

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Tratto dal sito www.anzarouth.com : Messilat Yesharim, Rabbi Moshe Chaim Luzzatto, traduzione a cura di Ralph Anzarouth.
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