Il Sentiero dei Giusti (Mesilat Yesharim) Ramchal: Rabbi Moshe Chaim Luzzatto - Capitolo 11: Le Componenti dell’Integrità



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Traduzione di Ralph Anzarouth


Le Componenti dell’Integrità


Le componenti dell'integrità sono molto numerose, quanto i molteplici dettagli di tutti i 365 precetti negativi. Difatti, abbiamo già spiegato che il concetto di integrità implica essere immuni da tutte le ramificazioni delle trasgressioni; tuttavia, benché l'istinto malvagio si sforzi di indurre l'uomo a commettere tutti i peccati, ciononostante ce ne sono alcuni che la [sua] natura desidera trasgredire più di altri e riguardo a essi gli suggerirà più pretesti. E perciò egli dovrà prestare una attenzione particolare a questa specifica categoria [di trasgressioni] per sconfiggere il suo istinto e ripulirsi dal peccato. E infatti i Maestri di benedetta memoria dissero (Talmud Bavli, trattato Chaghigà, foglio 11b): "Lo spirito dell'uomo brama e desidera l'appropriamento dei beni altrui1 e le unioni proibite".


E infatti vediamo che benché coloro che rubano alla luce del sole, appropriandosi letteralmente dei beni del prossimo per prenderne possesso, non siano la maggioranza, malgrado ciò la maggior parte delle persone assapora il gusto della truffa nell'ambito delle proprie attività commerciali, quando si permette di gonfiare i propri guadagni a spese del prossimo con il pretesto che, quando si tratta di fare quattrini, le regole non sono più le stesse. Eppure, molti precetti negativi sono stati proclamati riguardo all'estorsione:


  • (Lev. 19, 13): "Non truffare".

  • (ibid.): "Non estorcere".2;

  • (Lev. 19, 11): "Non rubate3, non rinnegate e non mentitevi a vicenda".

  • (Lev. 25, 14): "Non ingannatevi l'un l'altro".

  • (Deut. 19. 14): "Non spostare i limiti [della proprietà] del prossimo".

Tutte queste tipologie di appropriamento indebito includono molti degli atti che si compiono nelle transazioni sociali e tutti comportano numerosi divieti. Poiché ciò che è vietato non è solo l'atto dell'estorsione e della truffa, conosciuto e riconosciuto da tutti, bensì qualunque atto che possa condurre a commetterlo: perfino questo fa già parte del divieto. E a questo riguardo, i nostri Maestri di benedetta memoria dissero (Talmud Bavli, trattato Sanhedrin, 81a): "Il versetto (Ezechiele 18, 6) 'Colui che non insozza la moglie del prossimo' proibisce di insidiare l'attività commerciale esercitata dal prossimo". E difatti Rabbi Yehuda proibiva al negoziante di regalare noci e noccioline tostate ai bambini per abituarli a venire nel suo negozio; e l'unico motivo per cui gli altri Maestri invece lo permisero era che anche i suoi concorrenti avevano la possibilità di farlo (si veda il Talmud Bavli, trattato Baba Metzia, foglio 60a). E nel trattato Baba Batra (foglio 88b) i nostri Maestri di benedetta memoria dissero: "Rubare a una persona è più grave che rubare all'Altissimo, perché nel primo caso [la Torà] menziona il peccato prima ancora che l'atto sia compiuto, mentre nel secondo caso cita prima la mancanza e solo in seguito la definisce un peccato".


E i lavoratori salariati che svolgono la loro attività presso un datore di lavoro sono stati esentati dalla benedizione che si pronuncia prima del pasto e dalle ultime benedizioni che si recitano dopo il pasto4; e perfino per leggere lo Shemà, l'obbligo di trascurare il proprio lavoro si limita unicamente alla lettura del primo brano. Certamente a maggior ragione [non si interrompe il proprio lavoro] per compiere azioni facoltative, che sono vietate a tutti i salariati, per non trascurare le prestazioni dovute al datore di lavoro; e chi trasgredisce questo divieto è un truffatore.


Per esempio, Abba Chelkia5 non rispondeva nemmeno al saluto dei Talmidè Chakhamim6, per non trascurare il lavoro dovuto al prossimo7. E il nostro patriarca Giacobbe, la pace sia su di lui, si espresse in questo modo (Genesi 31, 40): "Di giorno mi ha consumato l'afa, di notte il gelo; e il sonno ha abbandonato i miei occhi". Dunque, cosa potranno dire coloro che si occupano dei propri piaceri durante gli orari di lavoro a scapito del lavoro stesso? O che si occupano dei propri affari per il proprio tornaconto?
La regola generale: tutto il tempo di chi è impiegato da altri per svolgere qualsiasi mansione, per quel giorno è interamente venduto loro, come detto dai Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Baba Metzia 56b): "L'impiego salariato è come una vendita8 per quel giorno", e qualunque parte di essa [il lavoratore] dedichi al proprio interesse, sotto qualunque forma, è una vera e propria truffa. E se [il datore di lavoro] non condona questa mancanza, egli non è perdonato. Difatti, già dissero i nostri Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Yoma, 86b): "Il giorno di Kippur non fa perdonare i peccati commessi verso il prossimo, finché non si è ottenuto il perdono da parte del prossimo".


E non solo, ma perfino se durante quel tempo di lavoro egli compie una Mitzvà, essa non gli viene contata come un merito; anzi, si è procurato un peccato, poiché una trasgressione non può essere una Mitzvà. E dice il versetto (Isaia 61, 8): "Io Hashem [...] odio l'offerta che proviene da una rapina". E i nostri Maestri dissero anche una cosa simile (Talmud Bavli, trattato Baba Kama, 94a): "Chi ruba una misura di grano, la macina, la cuoce e poi pronuncia la benedizione, in realtà non benedice bensì offende, come è detto (Salmi 10, 3): 'Chi ruba offende D-o'." E in modo analogo è detto (Talmud Yerushalmi, trattato Sukkà 3, 1): "Povero colui il cui difensore si è trasformato in accusatore" e come dissero i nostri Maestri riguardo al Lulav rubato (ibid.). E la logica dice che così come rubare un oggetto è un furto, anche rubare del tempo è un furto; e così come quando si compie una Mitzvà con un oggetto rubato, da difensore questo diventa un accusatore, allo stesso modo il tempo rubato per compiere una Mitzvà si trasforma da difensore in accusatore. E il Santo, benedetto Egli sia, non desidera che l'onestà. Infatti è detto (Salmi 31, 24): "D-o protegge i leali"; e anche (Isaia 26, 2): "Aprite le porte e entrerà il popolo onesto, che rimane fedele"; e anche (Salmi 101, 6): "I Miei occhi vegliano sui leali della terra, essi risiederanno con Me"; e anche (Geremia 5, 3): "Forse che i Tuoi occhi non vegliano su ciò che è vero?".


E pure Giobbe disse di sé stesso (Giobbe 31, 7): "Se i miei passi hanno deviato dalla buona strada, se il mio cuore ha seguito i miei occhi, se qualcosa si è incollato alla mia mano"; e vedi quanto è bello questo esempio, perché ha comparato i beni sottratti accidentalmente a qualcosa che si incolla alla mano dell'uomo; infatti, malgrado l'uomo non abbia come prima intenzione quella di impossessarsene ed esso gli rimanga appiccicato, nonostante tutto alla fine dei conti gli rimane in mano. Così funziona questa cosa: benché l'uomo non vada proprio a rubare, ciononostante è difficile che le sue mani rimangano del tutto vuote.


Comunque tutto ciò è causato del fatto che anziché essere il cuore a dominare gli occhi, impedendo loro di apprezzare ciò che appartiene ad altri, sono gli occhi a incitare il cuore a cercare pretesti per rendere permesso ciò che a loro pare attraente e gradevole; per questo motivo Giobbe disse di non essersi comportato in questo modo, che il suo cuore non aveva seguito i suoi occhi e che di conseguenza nulla era rimasto attaccato alle sue mani.


Guarda le questioni che riguardano l'inganno: con che facilità l'uomo può lasciarsi tentare e soccombere, quando gli sembra legittimo conferire deliberatamente un migliore aspetto alla propria merce esposta al pubblico - e questo al fine di aumentare i propri guadagni e convincere il cliente, usando pretesti quali (Talmud Bavli, trattato Pesachim 50b) "C'è chi è scaltro e ci guadagna" e (Proverbi 10, 4) "La mano di chi è alacre arricchisce". Ma se non presta attenzione e non riflette molto profondamente al proprio comportamento, raccoglie spine anziché grano, perché trasgredisce e soccombe al peccato dell'inganno, contro il quale siamo stati messi in guardia (Levitico 25, 17): "Non vi ingannerete l'un l'altro"; e i Maestri di benedetta memoria dissero che è vietato anche ingannare il non ebreo e il testo dice (Zefania 3, 13): "I superstiti del popolo ebraico non commetteranno iniquità, non diranno cose ingannevoli e non si troverà nessun imbroglio nelle loro bocche". E dissero anche (Talmud Bavli, trattato Baba Metzia 60a): "È vietato ridipingere i vecchi arnesi per farli sembrare nuovi9." (Sifri, Devarim 25, 16): "È vietato mischiare frutti con altri frutti, perfino frutti nuovi con altri frutti nuovi e perfino se valgono un po' di più non li si mescoli per venderli al prezzo inferiore". (Devarim 25, 16): "Perché Hashem disprezza tutti coloro che agiscono così, tutti coloro che agiscono in modo sleale" e [chi si comporta in questo modo] viene chiamato in cinque modi: iniquo, odioso, abominevole, anatema, abietto. E dissero anche (Talmud Bavli, trattato Baba Kama 119a): "Chi estorce al prossimo perfino un solo centesimo10 è come se gli carpisse l'anima". Da qui si capisce la gravità di questo peccato, perfino per una piccola somma. E dissero anche (Talmud Bavli, trattato Taanit 7b): "Le piogge vengono interrotte solamente a causa della truffa11". E dissero anche (Midrash Vaykra Raba 33): "In una scatola piena di peccati, qual è il principale accusatore? La truffa!". E il decreto contro la generazione del diluvio12 fu deciso unicamente a causa della truffa".


E se pensi in cuor tuo: come è possibile nell'ambito delle nostre attività commerciali rinunciare a convincere il prossimo riguardo alla merce e al suo prezzo? [La risposta è che] si tratta di cose molto diverse, perché fare del proprio meglio per mostrare agli acquirenti le qualità e i vantaggi reali del prodotto è un comportamento corretto e legittimo. Ma quando si nascondono i difetti della propria merce non è che un inganno ed è vietato. E questa è una regola importante nella lealtà del commercio. E a maggior ragione questo è vero riguardo alla [correttezza delle] misure, riguardo alle quali la Torah ha scritto esplicitamente (Devarim 25, 16): "Chi commette questi [peccati] è abominevole per il Signore tuo D-o". E i Maestri dissero (Talmud Bavli, trattato Baba Batra 88b): "Le punizioni per [chi trasgredisce il divieto di usare false] misure è più grave ancora delle punizioni per [chi commette il peccato delle] unioni proibite ecc."; e dissero (ibid.): "Il commerciante deve ripulire le proprie misure ogni 30 giorni", e per quale motivo deve farlo così di frequente? Affinché non si consumino senza che se ne accorga ed egli non venga punito [per questo motivo].


E a maggior ragione [ci si astenga] dal grave peccato dei [prestiti con] interessi, che implica che chi lo commette nega il Signore d'Israele, che D-o ce ne scampi; e i nostri Maestri di benedetta memoria, riguardo al versetto (Ezechiele 18, 13): "Ha prestato con usura e riscosso con gli interessi, egli non vivrà!" dissero (Shemot Raba 31, 6) che "costui non rivivrà quando avrà luogo la resurrezione dei morti, poiché sia lui che la sua polvere sono abominevoli e immondi davanti a Hashem". E non penso che ci sia bisogno di dilungarsi su questo [peccato], poiché ogni ebreo già ne ha timore.


La regola generale dice infatti che, così come la brama del guadagno è tanta, altrettanto numerosi sono i pericoli; e l'uomo deve dedicare molta attenzione e grande impegno per esserne veramente al riparo. E se riesce a ripulirsene, saprà di essere arrivato a un livello importante, poiché molte persone, pur riuscendo ad acquisire molte delle virtù legate alla devozione, tuttavia non riescono a raggiungere il traguardo della perfezione in ciò che attiene al disprezzo del guadagno indebito. E questo è ciò che disse Tzofar il Neemita a Giobbe (Libro di Giobbe 11, 14): "Se c'è del male in mano tua, allontanalo, affinché l'ingiustizia non risieda nella tua dimora! Allora solleverai il tuo volto senza difetti, sarai saldo e non avrai paura".


Ecco, ho descritto sinora alcuni dei dettagli di uno dei precetti e questa discussione è sicuramente pertinente anche per tutte le altre Mitzvot, ma [nell'ambito di questo testo] ci limitiamo a trattare unicamente di quei [peccati] che la maggior parte delle persone ha tendenza a commettere.


E parleremo ora delle unioni proibite, che sono anch'esse uno dei problemi più spinosi, secondi in gravità [soltanto] alla truffa, come dissero i Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Baba Batra 165a): "La maggioranza [commette il peccato] della truffa e una minoranza [quello] delle unioni illecite". E dissero (Midrash Shemot Rabba 16, 2): "Dice il Santo, benedetto Egli sia: non dire: 'Poiché mi è vietato unirmi a questa donna, posso abbracciarla e non è peccato; posso accarezzarla e non è peccato; posso baciarla e non è peccato'. Dice il Santo, benedetto Egli sia: così come al nazireo che ha fatto voto di non bere vino è vietato mangiare uva fresca, uva secca, cibi che contengono vino e tutto ciò che deriva dalla vite, allo stesso modo ti è vietato toccare in qualsiasi modo la donna che non ti appartiene13. E chiunque tocchi una donna che non gli appartiene attira la morte su di sé ecc.". E vedi quanto questa affermazione sia severa, poiché compara questo divieto a quello del nazireo, cui la Torà ha vietato tutto ciò che ha a che fare con il vino, nonostante la radice del divieto porti unicamente sul bere il vino in sé. La Torà ha insegnato in questo modo ai Maestri come fare una siepe intorno alla Torà riguardo a un argomento sul quale è stato concesso loro di sancire un decreto: che imparino dal caso del nazireo a vietare oltre al divieto di base anche tutto ciò che gli assomiglia. Dunque la Torà ha fatto riguardo a questa Mitzvà del nazireo proprio ciò che ha incaricato i Maestri di fare riguardo a tutte le altre Mitzvot, affinché si sappia che questa è la volontà del Signore e che quando ci vieta qualcosa bisogna dedurre dal divieto esplicito anche ciò che gli assomiglia ed è vietato implicitamente. E in linea con questo principio, riguardo a questo argomento delle unioni illecite proibirono tutto ciò che è assimilabile alla depravazione o che gli assomiglia, qualunque sia il senso interessato, che sia in atto, con la vista, con la parola, con l'udito e perfino con il pensiero. E ora citerò prove di tutto ciò dalle parole dei Maestri di benedetta memoria.


[Il divieto riguardante] l'azione, cioè il contatto fisico, l'abbraccio e così via è già stato spiegato in precedenza nel testo citato e non è necessario dilungarsi.


[Sul divieto riguardante] la vista, commentando il versetto (Proverbi 11, 21) "Da mano a mano, il malvagio non resterà impunito", dissero i Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Berachot 61a): "Chi fa passare soldi dalla propria mano alla mano di lei per poterla guardare non verrà assolto dal giudizio del Ghehinom". E dissero anche (Talmud Bavli, trattato Shabbat 64a-64b): "Perché gli Ebrei di quella generazione14 hanno avuto bisogno di espiare? Perché hanno nutrito i loro occhi di nudità (...). Disse Rav Sheshet: perché il testo [della Bibbia] ha citato i gioielli esterni insieme a quelli interni? Per dirti che colui che guarda il mignolo di una donna è come se guardasse ecc.". E dissero anche (Talmud Bavli, trattato Avodà Zarà 20a): "Il versetto (Deut. 23, 10): 'E ti asterrai da ogni cosa malvagia' richiede che l'uomo non guardi una donna di bell'aspetto, perfino se è nubile; e quella sposata, che non la guardi nemmeno se è sgraziata".


E per quanto riguarda parlare con una donna, le Massime dei Padri dicono espressamente (Avot 1, 5): "Chi si dilunga a chiacchierare con la donna fa del male a sé stesso".


E riguardo all'ascoltare, dissero (Talmud Bavli, trattato Berachot 24a): "La voce della donna è nudità".


E sempre riguardo alle perversioni compiute con la parola e con l'udito, cioè chiacchierare di cose perverse o ascoltarle, [i Maestri] già strillarono come una gru affermando (Talmud Yerushalmi, trattato Terumà 1, 6) che nel versetto (Devarim 23, 15): "E che non si trovi in te una parola15 turpe" il termine 'turpe' indica un'espressione volgare. E dissero (Talmud Bavli, trattato Shabbat 33a): "A causa del peccato del linguaggio volgare, molti guai e decreti ostili si susseguono e molti giovani Ebrei muoiono", che D-o ce ne scampi. E dissero anche (ibid.): "A chi si esprime con volgarità vengono aperte le profondità del Gehinnom16". E dissero anche (ibid.): "Tutti sanno perché una sposa si reca alle sue nozze, ma a chi si esprime volgarmente e lo dice [...], perfino un decreto di settant'anni di bene verrà trasformato in male". E dissero anche (Talmud Bavli, trattato Chaghigà 5b): "Al momento del giudizio, si ricorda all'uomo perfino una frase frivola rivolta alla moglie". E anche riguardo l'ascolto di queste volgarità, dissero (Talmud Bavli, trattato Shabbat 33a): "Anche chi ascolta e tace, come è detto (Prov. 22, 14) 'La collera di Hashem piomberà lì17."


Quindi tutti i sensi devono essere puliti dalla perversità e da ciò che ne deriva. E se qualcuno ti suggerisse che le affermazioni [dei Maestri] riguardo alle volgarità hanno come unico fine quello di ammonire le persone e allontanarle dal peccato - e che esse furono indirizzate solo a chi è animato da bollenti spiriti, che a furia di parlarne suscitano in sé stessi la tentazione; e [aggiungesse] che riguardo a chi si esprime così per scherzo la cosa non ha importanza e non bisogna preoccuparsene, rispondigli: queste sono le affermazioni dello Yetzer Hara18, poiché i Maestri di benedetta memoria citarono un versetto esplicito in favore della loro tesi (Isaia, 9, 16): "Perciò Hashem non si rallegrerà per i Suoi giovani [...] perché sono tutti adulatori, malfattori e ogni bocca pronuncia oscenità". Ecco, questo testo non ha parlato né dell'idolatria, né delle unioni proibite né dello spargimento di sangue, bensì dell'adulazione, della maldicenza e del linguaggio volgare, tutti peccati che si commettono con la bocca e con l'uso della parola. Ed è a causa di [questi peccati] che fu sancito il decreto (ibid.) "Hashem non Si rallegrerà dei Suoi giovani e non avrà pietà dei Suoi orfani e delle Sue vedove". Ma la verità19 è quella sostenuta dai nostri Maestri di benedetta memoria, che la volgarità è proprio la nudità del discorso. Ed è per via della perversione che essa è stata vietata, alla pari di tutte le altre forme di perversione oltre all'atto in sé: infatti, pur non comportando una pena di Karet20 o una pena capitale comminata dal tribunale, [anche le forme derivate della perversione] sono in sé vietate, oltre al fatto che provocano e conducono a [trasgredire] il divieto principale, come nell'esempio del nazireo evocato nel Midrash e esposto in precedenza.


Riguardo al pensiero, già dissero [i Maestri] all'inizio della nostra Beraita, che il versetto (Devarim 23, 10): "E ti asterrai da ogni cosa malvagia" [significa che] (Talmud Bavli, trattato Avodà Zarà 20b): "L'uomo deve evitare di avere pensieri equivoci di giorno per non rendersi impuro di notte". E dissero anche (Talmud Bavli, trattato Yoma 29a): "Il pensiero del peccato è peggio del peccato", che è poi un versetto esplicito (Proverbi 15, 26): "Il pensiero malvagio è un abominio per Hashem".


Abbiamo dunque discusso due famiglie di gravi peccati, le cui numerose partizioni aumentano le probabilità che le persone soccombano, anche per via della forte tendenza del cuore dell'uomo a esserne tentato.


E il terzo livello riguardo ai desideri, dopo truffa e unioni proibite, è quello dei divieti alimentari: che si tratti proprio delle cibi impuri oppure di alimenti che li contengano, di carne e latte mischiati, dei grassi proibiti, del sangue, del cibo cucinato dagli idolatri e dei loro utensili, del loro vino (destinato all'idolatria e non) o degli altri alimenti e bevande il cui consumo è vietato, riguardo a tutti questi la virtù dell'integrità richiede una grande precisione. E bisogna farsi forza, sia perché il cuore è tentato dai cibi gustosi, sia perché i divieti di mescolare (e altri simili) comportano dei costi, sia perché i loro dettagli sono numerosi quanto le loro regole, note e spiegate nei libri dei Poskim21. E chi indulge scegliendo l'opzione più permissiva laddove [i Maestri] si pronunciarono per quella più rigorosa non fa altro che danneggiare sé stesso; e così nel Sifra22, riguardo al versetto (Vaykrà 11, 43): "Non vi impurificatevi con essi, ciò che vi renderebbe impuri" dissero (Sifra Sheminì 167): "Se vi renderete impuri con essi, alla fine voi stessi diventerete impuri", cioè: gli alimenti vietati immettono letteralmente l'impurità nel cuore e nello spirito dell'uomo finché la santità del Signore benedetto se ne esce e si allontana da lui. Ed è ciò che dissero anche nel Talmud Bavli (trattato Yoma 39a): "Non si legga l'espressione 'diventerete impuri' bensì 'diventerete ottusi'," perché il peccato ostruisce il cuore dell'uomo, togliendogli la vera conoscenza e lo spirito d'intelletto che il Santo, benedetto Egli sia dona ai devoti, come dicono le Scritture (Proverbi 2, 6): "Poiché l'Eterno dà la saggezza". E così costui rimane alle stato animale, grezzo, immerso nella materialità di questo mondo. E in questo aspetto i cibi vietati sono i più gravi di tutti i divieti, poiché penetrano letteralmente nel corpo umano e diventano parte del suo organismo. E per insegnarci che non sono vietati solo gli animali impuri e gli insetti, ma che anche i cibi impuri della categoria permessa fanno parte delle cose impure, disse la Torà (Levitico 11, 47): "Per distinguere tra l'impuro e il puro". E qui viene la spiegazione dei nostri Maestri di benedetta memoria (Sifra Sheminì): "Non c'e bisogno di precisare [la distinzione] tra un asino e una vacca: allora, perché è stato detto 'tra l'impuro e il puro'? [Per distinguere] tra [la vacca] che è impura per te e quella che è pura per te; tra [quella] cui è stata tagliata la maggior parte della trachea e [quella] cui è stata tagliata solo] la metà. E qual è la differenza tra la maggior parte e la metà? Lo spessore di un capello". Queste sono le parole dei Maestri. E hanno concluso il loro discorso dicendo "E qual è la differenza tra la maggior parte e la metà? Lo spessore di un capello", per mostrarci quanto sia meravigliosa la forza di una Mitzvà: è letteralmente lo spessore di un capello che separa impurità e purezza. E chiunque abbia un cervello nel cranio considererà i divieti alimentari come cibi velenosi o alimenti cui si è mescolato un ingrediente velenoso: infatti, se succedesse una cosa simile, l'uomo sarebbe così compiacente al punto da permettersi di mangiarne? [Al contrario], se avesse un dubbio qualunque, perfino un piccolo sospetto, certamente non lo prenderebbe sottogamba, perché in questo caso verrebbe considerato un demente. Come abbiamo già appurato, anche i divieti alimentari sono un vero veleno per il cuore e per l'anima: e quindi, quale persona dotata di ragione può avere un'attitudine permissiva laddove c'è il rischio di una trasgressione? E a questo riguardo è scritto (Proverbi 23, 2): "E se sei una persona ragionevole ficcati un coltello in gola".


E ora parliamo dei peccati che sono soliti manifestarsi con la frequentazione delle persona e con la loro vita sociale, per esempio: l'offesa, l'umiliazione, il consiglio destinato a ostacolare il cieco23, la delazione, l'odio e la vendetta, i giuramenti, le bugie e la profanazione del Nome di D-o. Perché chi può ritenersi esente [da tutti] questi? Chi può ritenersi scevro da queste colpe? Infatti, le loro partizioni sono molto numerose e sottili e un grande sforzo è necessario per trattarle con cautela.


L'offesa consiste principalmente nel dire una cosa che [indirettamente] metta il prossimo in imbarazzo e a maggior ragione nel tenere discorsi espliciti o fare qualcosa che lo imbarazzi; ed è ciò che dissero [i Maestri] (Talmud Bavli, trattato Baba Metzia 58b): "Se si tratta di una persona che ha fatto Teshuvà, che non gli si rinfacci 'Ricorda le tue azioni di un tempo' [...] Se malanni lo colpiscono, che non gli si parli come gli amici di Giobbe si rivolsero a lui (Giobbe 4, 7): "Pensaci bene: c'è forse un innocente che sia scomparso?" [...] Se qualcuno in sella a un asino chiede del fieno, che non gli si risponda "Vai da quel tale che vende fieno", sapendo che invece quel tale non ha mai venduto fieno in vita sua". E dissero i Maestri di benedetta memoria (ibid.): "L'inganno verbale è più grave della truffa ecc.".


E a maggior ragione [l'offesa è grave quando commessa] in pubblico, nel qual caso è insegnato esplicitamente (Massime dei Padri 3, 11): "Colui che fa impallidire il prossimo in pubblico non ha parte nel Mondo Futuro". E disse Rav Chisda (Talmud Bavli, trattato Baba Metzia 59a): "Tutte le porte [della preghiera] sono chiuse, tranne le porte della [preghiera di chi ha ricevuto un']offesa"; e disse Rabbi Eliezer (ibid.): "Il Santo, benedetto Egli sia, punisce tutte [le colpe] per mezzo di un inviato, a eccezione dell'offesa"; e dissero (ibid.): "Davanti a tre [categorie di persone] la cortina non è chiusa e una di loro è [colui che ha ricevuto un']offesa". Perfino quando si tratta di compiere una Mitzvà la Torà dice (Levit. 19, 17) "Devi certamente rimproverare il prossimo" e i Maestri dissero (Talmud Bavli, trattato Arachin 15b) "Forse [la Torà comanda questa Mitzvà] perfino quando [il rimprovero] lo fa arrossire24? No, perché il testo aggiunge 'e non assumerai un peccato a causa sua'." Tutte queste citazioni ti fanno capire quanto siano estese le ramificazioni di questo avvertimento e quanto sia severa la punizione [di chi lo trasgredisce].


Quanto a fornire consigli, abbiamo imparato (Torat Cohanim su Vaykrà 19, 14): "Non porre ostacoli davanti a un cieco - cioè davanti a chi è [come un] cieco rispetto a una determinata cosa25. Se ti chiede se la figlia di un tale può [sposare] un Cohen, non rispondere che le è permesso, quando invece le è vietato. Se ti chiede un consiglio, non dargliene uno che non gli conviene; e non consigliargli di vendere il suo campo e comprarsi un asino, per poi aggirarlo e prenderne possesso al posto suo. Forse pretenderai che gli stai dando un buon consiglio, ma la verità è riposta nel cuore, come è detto (Vaykrà 19, 14) 'E avrai timore26 del Tuo Signore'." Abbiamo dunque imparato che sia quando potrebbe esserci un interesse personale nell'argomento, sia quando si è del tutto estranei alle questione - si è obbligati a informare colui che viene a chiedere un consiglio esponendogli la verità chiara e limpida. Vedi dunque che la Torà ha capito bene l'animo degli imbroglioni: infatti, non stiamo parlando degli stolti che danno un consiglio la cui malvagità è nota e evidente, bensì di malfattori astuti, i cui consigli prodigati agli altri sono in apparenza veramente favorevoli a colui che li riceve, ma hanno conseguenze che non sono a suo favore, anzi sono per lui un danno, dal quale il [cattivo] consigliere trarrà un vantaggio. Perciò dissero [i Maestri] (vedi supra) "Forse pretenderai: 'Gli sto dando un buon consiglio', ma la verità è riposta nel cuore, ecc.". E quante volte la gente cade in questi peccati giorno dopo giorno, sospinti con vigore dall'attrazione per il guadagno. E la gravità della punizione per questi [peccati] è già stata spiegata (Deut. 27, 18): "Maledetto colui che inganna il cieco nel cammino".


Invece, questo è il dovere dell'uomo retto: quando qualcuno viene a chiedergli un consiglio, deve indicargli quello che avrebbe scelto per sé stesso, prendendo in considerazione solamente il bene della persona venuta a consultarlo escludendo qualunque altra finalità, vicina o lontana che sia. E quando gli capita di intravedere in quel consiglio un danno per sé stesso, se può fornirne la prova a chi gli chiede consiglio, che lo faccia; e se ciò non fosse possibile, che si tiri fuori da questa discussione e che non gli dia nessun consiglio, o perlomeno nessun consiglio la cui conseguenza non sia favorevole al suo interlocutore. Questo vale quando chi chiede consiglio non ha cattive intenzioni, perché invece in questo caso è certamente una Mitzvà ingannarlo e la Torà dice (Salmi 18, 27): "Ti mostri contorto con chi è perverso27." Chushay l'archita ne è la prova28.


La gravità della delazione e della maldicenza è nota e le loro diramazioni sono numerose, al punto che i nostri Maestri di benedetta memoria decretarono, in un frase che abbiamo già citato: "E tutti [cadono nel tranello] della polvere di Lashon Harà" e dissero (Talmud Bavli, trattato Arachin 15b) "Che esempio si può dare della Lashon Harà? Per esempio, chi risponde 'Dove si può trovare fuoco, se non a casa di quel tale29?" O chi dice del bene di qualcuno davanti ai suoi detrattori30 e tutte le cose di questo tipo: anche se sembrano cose di poco conto, ben lontane dalla malalingua, in realtà fanno parte della polvere [di maldicenza]. La regola generale dice che lo Yetzer possiede molti canali. Ma tutto ciò che può risultare dannoso o imbarazzante per il prossimo, che sia [detto] in sua presenza o meno, è maldicenza, la quale è detestata e aborrita dall'Eterno e della quale è detto (ibid.): "Chi racconta maldicenze è come se rinnegasse i fondamenti [dell'Ebraismo]". E c'è un versetto (Salmi 101, 5): "Cancellerò colui che sparla del prossimo di nascosto".


Anche all'odio e alla vendetta è difficile che il cuore astioso degli esseri umani possa sottrarsi, perché l'uomo è molto sensibile alle offese ricevute e ne soffre enormemente. E invece la vendetta è più dolce del miele, perché è il suo unico conforto. Perciò fa atto di forza e di coraggio quando trova la forza di rinunciare a ciò che la sua indole gli impone [di fare], prende il sopravvento sul proprio carattere e non odia chi ha suscitato l'odio in lui, non coglie l'occasione di vendicarsi, non prova rancore e anzi dimentica e cancella tutto dal proprio cuore come se la cosa non fosse mai successa. E ciò è facile solo per gli angeli al servizio [di Hashem], che non possiedono questi tratti caratteriali, ma non lo è per chi si trova in un corpo umano, che viene dalla terra. E malgrado ciò è un decreto del Re e la Torà lo rivela con testi chiarissimi che non hanno bisogno di interpretazioni (Vaikrà 19, 17): "Non odiare il tuo prossimo in cuor tuo", (ibid., 18) "Non ti vendicare e non serbare rancore verso i figli del tuo popolo". E si sa cosa siano la vendetta e il rancore, cioè: la vendetta consiste nell'evitare di fare del bene a chi non ha voluto farne a noi, o che ci ha già fatto del male31. Il rancore consiste nel ricordare a qualcuno a cui stiamo facendo del bene il torto che ci ha fatto lui in passato. E infatti lo Yetzer incita il cuore e cerca sempre di lasciare perlomeno una traccia o un ricordo di questa cosa, e se non può lasciare un ricordo di taglia cerca di lasciarne almeno uno piccolo, per esempio dicendo all'uomo: se proprio vuoi dare a costui ciò che lui ti ha negato quando ne hai avuto bisogno, almeno non darglielo con un volto amichevole; o se proprio non vuoi fargli del male, almeno non fargli un grande favore o non dargli un grande aiuto; o se proprio vuoi essergli di grande aiuto, almeno non farlo davanti a lui o non riallacciare i precedenti rapporti di amicizia con lui: se lo hai perdonato in modo che non ti veda più come un nemico, che ciò ti basti e se proprio vuoi ripristinare l'amicizia, perlomeno non dimostrargli una così viva simpatia come quella di una volta. E attraverso metodi come questo lo Yetzer si sforza con grande impegno di indurre in tentazione il cuore delle persone: per questo motivo la Torà ha imposto una regola che le include tutte (ibid.): "Ama il tuo prossimo come te stesso", cioè come se si trattasse di te stesso senza nessuna differenza, te stesso senza eccezioni, senza trucchi e sotterfugi, esattamente come te stesso.


Quanto ai giuramenti, benché chi non è uno sprovveduto eviti generalmente di pronunciare il nome di Hashem invano e ancor più quando sotto forma di giuramento, ciononostante bisogna tenere conto anche degli aspetti collaterali: benché essi non siano i più gravi, è bene che chi vuole essere integro li eviti, come dissero (Talmud Bavli, trattato Shevuot 36a): "Disse Rabbi Eliezer: [l'espressione] 'no' è un giuramento e [l'espressione] 'sì' è un giuramento'. Disse Rava: 'Questo si applica al caso in cui si raddoppia [l'espressione] dicendo 'no no' o dicendo 'sì sì'." E riguardo al versetto Vaykrà 19, 36) "Il peso del Hin deve essere giusto" dissero anche (Talmud Bavli, trattato Baba Metzia 49a): "Che il tuo 'no' sia giusto e anche il tuo 'sì' sia giusto32."


E anche la menzogna è una pessima malattia che si è enormemente diffusa tra la gente. Essa comporta comunque diversi livelli. Ci sono le persone per le quali la bugia è un vero e proprio mestiere: essi inventano fandonie di sana pianta per alimentare le chiacchiere della gente o per fingersi al corrente di molte cose e acquisire così una fama di esperto. Di loro fu detto (Proverbi 12, 22): "Le labbra bugiarde sono un abomino per Hashem" e anche (Isaia 59, 3): "Le vostre labbra hanno profferito menzogne, le vostre lingue hanno pronunciato ingiustizie". E i nostri Maestri di benedetta memoria hanno già sancito che (Talmud Bavli, trattato Sotà 42a) "Quattro gruppi non ricevono il volto della Presenza Divina" e uno di essi è quello dei bugiardi.


Un altro gruppo si trova a un livello vicino al loro, pur non essendo esattamente come loro: essi ingannano con i loro discorsi e con le loro parole, nel senso che il loro sistema non è quello di inventare storie e fatti che non sono mai successi, ma quando raccontano qualcosa condiscono il loro racconto con frottole che passano loro per la testa. Essi si abituano a farlo al punto che questa diventerà per loro una cosa naturale. Questi sono i millantatori, alle cui parole non si può dare nessun credito come nel detto dei Maestri di benedetta memoria (ibid., trattato Sanhedrin 89b): "Questa è la punizione del millantatore: perfino quando dice la verità, nessuno lo ascolta", perché ormai si sono assuefatti al brutto vizio al punto di non riuscire più a pronunciare con la loro bocca parole prive di inganni. È di questo che si rammaricava il profeta dicendo (Geremia 9, 4): "Hanno insegnato alla loro lingua a dire menzogne; si stancano a fare il male".


Altri ancora, il cui difetto è più lieve dei precedenti, sono coloro che non sono altrettanto assuefatti alla menzogna, però non si preoccupano di allontanarsene e quando capita ne dicono una. A volte la diranno per scherzo e così via, senza cattive intenzioni, tuttavia il saggio33 ci ha fatto sapere che tutto ciò è il contrario della volontà del Creatore, benedetto Egli sia, e della virtù dei Suoi devoti, come è detto (Proverbi 13, 5): "Il giusto odia ciò che è menzogna". E a questo proposito viene il monito (Esodo 23, 7): "Allontànati dalla menzogna". Come vedi, non è detto "Stai attento alla menzogna" bensì "Allontànati dalla menzogna", per ricordarci l'enorme distanza e la grande fuga che sono necessarie per sfuggirle. E già disse [il profeta] (Zefania 3, 13): "I superstiti del popolo ebraico non commetteranno iniquità, non diranno cose ingannevoli e non si troverà nessun imbroglio nelle loro bocche". E dissero i nostri Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Shabbat 55a): "Il Sigillo del Santo, benedetto Egli sia, è 'Verità'." E se la verità è stata scelta come sigillo dal Santo, benedetto Egli sia, il suo contrario [la menzogna] deve certamente essere abominevole davanti a Lui. E il Santo, benedetto Egli sia ha messo solennemente in guardia riguardo alla verità, dicendo (Zaccaria 8, 16): "Ditevi la verità l'un l'altro"; e fu detto (Isaia 16, 5): "E un trono verrà approntato con la clemenza e si siederà su di lui in verità?"; e fu detto (ibid. 63, 8): "E disse: ma essi sono il Mio popolo, figli che non mentiranno"; da cui si impara che una cosa dipende dall'altra. E fu detto (Zaccaria 8, 3): "E Gerusalemme venne chiamata 'città della verità'", per accrescere la sua importanza. E riguardo al versetto (Salmi 15, 2) "E dice la verità in cuor suo" già dissero i Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Makkot 24a): "Come Rav Safra34 ecc." per dire quanto sia grande l'obbligo di dire la verità. E già proibirono al Talmid Chakham di rimangiarsi la parola, fatta eccezione per tre casi; e uno dei pilastri sui quali poggia il mondo è la verità, perciò chi mente è come se portasse via le fondamenta del mondo, mentre il contrario è vero per chi presta attenzione a [dire solo] la verità, è come se sostenesse le fondamenta del mondo.


E già raccontarono i nostri Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Sanhedrin 97a) del luogo in cui la gente prestava la massima attenzione alla verità35: lì, l'angelo della morte non aveva potere. E poiché la moglie di Rabbi Ploni modificò la sua parola, malgrado l'avesse fatto con buone intenzioni attirò in questo modo su di loro l'angelo della morte, finché la mandarono via per questo motivo e tornarono alla tranquillità. E non c'è bisogno di dilungarsi su questo argomento che la ragione comanda e la mente impone.


Anche gli aspetti della profanazione del Nome [di D-o] sono numerosi e importanti, perché l'uomo deve avere molta cura dell'onore del suo Creatore e qualunque cosa si faccia bisogna osservare e riflettere per evitare di provocare qualcosa che possa recare offesa all'onore del Cielo, che D-o ce ne scampi. E già abbiamo studiato che (Massime dei Padri 4, 4): "La profanazione involontaria del Nome [di D-o] è [punita] come quella volontaria". E i Maestri di benedetta memoria dissero (Talmud Bavli, trattato Yoma 86a): "Qual è un esempio di profanazione del Nome [di D-o]? Disse Rav: come se io comprassi carne senza pagarla immediatamente. Rabbi Yochanan disse: come se io camminassi senza Torà e senza Tefilllin36." L'idea è che ognuno, secondo il proprio livello e la propria reputazione, deve riflettere per evitare di fare qualcosa che non si addica a qualcuno del suo rango: infatti, quanto più è saggio e importante, tanto più dovrà prestare attenzione al suo servizio [di D-o] e alla precisione con cui lo svolge. E se non lo fa, il Nome del Cielo viene profanato per causa sua, che D-o ce ne scampi. Infatti, l'onore della Torà richiede che chi studia molto faccia anche prova di grande rettitudine e di ottime maniere. E in chi abbonda nello studio, la carenza in quelle [virtù] disonora il suo studio e provoca, che D-o ce ne liberi, una profanazione del Suo Nome benedetto, che ci ha dato la Sua santa Torà e ci ha comandato di studiarla e di pervenire grazie al suo studio al nostro perfezionamento.


Anche il rispetto dello Shabbat e delle feste è importante poiché numerose sono le leggi al riguardo e infatti dissero [i Maestri] (Talmud Bavli, trattato Shabbat 12a): "La normativa sullo Shabbat è abbondante" e perfino i decreti [chiamati] 'Shvut37, pur essendo norme rabbiniche, ne sono una componente essenziale. E dissero anche (ibid., trattato Chaghiga 16b): "Non considerare mai la Shevut come una cosa di poco conto, perché [anche] l'imposizione [delle mani sull'animale] è una Shevut e cionondimeno al suo riguardo i più grandi Maestri della generazione avevano pareri discordanti". E comunque i dettagli delle regole nelle loro partizioni sono spiegati nei libri dei Poskim: tutti sono ugualmente obbligatori e richiedono la stessa attenzione da parte nostra. E il motivo per il quale la gente trova difficile rispettarlo è [l'obbligo di] astenersi dall'attività lavorativa e dal parlare del proprio commercio, benché questo divieto sia spiegato nelle parole del profeta (Isaia 58, 13): "E lo onorerai astenendoti dal seguire le tue vie, dall'occuparti dei tuoi affari e dal parlarne nelle conversazioni". La regola generale dice che è vietato occuparsi e parlare [durante lo Shabbat] di attività che è vietato svolgere di Shabbat. Perciò è stato vietato esaminare i propri beni al fine di verificare ciò che si ha da fare l'indomani38 oppure avvicinarsi ai limiti della città, per arrivare più in fretta ai bagni una volta giunta la notte39. Ed è [anche] vietato dire: "Domani mi occuperò di quella cosa" oppure "Domani comprerò quella merce" e tutto questo genere di discorsi.


Fin qui abbiamo parlato di alcune Mitzvot riguardo alle quali vediamo la gente cadere spesso in errore: da queste possiamo trarre [simili conclusioni] riguardo a tutti gli altri divieti, poiché ogni divieto ha partizioni e dettagli, alcuni gravi e altri meno. E chi vuole essere integro, deve esserlo in tutti e puro da tutti e già dissero i Maestri di benedetta memoria (Midrash Shir Hashirim Raba 6, 6): "[Impariamo dal versetto] (Shir Hashirim 6, 6) 'I tuoi denti sono come un gregge di pecore': così come la pecora è modesta, anche il popolo ebraico fu modesto e integro durante la guerra di Midian. Rav Huna spiega a nome di Rav Acha, che il motivo fu che nessuno pose i Tefillin della testa prima di quelli del braccio, perché se perfino solo uno di loro avesse invertito l'ordine Moshè non li avrebbe elogiati e non sarebbero ritornati incolumi". E anche nel Talmud Yerushalmi dissero: "Chi parla [tra le preghiere di] Yishtabach e Yotzer commette un peccato sufficiente a farlo rinviare dal fronte40". Vedi quindi fin dove debbano arrivare la vera meticolosità e la vera integrità nelle proprie azioni.


E così come bisogna essere integri nelle proprie azioni, bisogna esserlo altrettanto nel carattere. E un temperamento integro è quasi più difficile da acquisire che un comportamento integro, perché la natura [dell'uomo] ha più influenza sui tratti che sulle azioni, per via del fatto che l'indole e il carattere sono loro direttamente favorevoli o contrari. E ogni battaglia che si combatte contro la propria natura è aspra, come spiegarono i Maestri di benedetta memoria con il loro detto (Massime dei Padri 4, 1): "Chi è forte? Colui che domina il proprio istinto". E infatti i tratti caratteriali sono numerosi, perché se tante sono le azioni che attengono all'uomo in [questo] mondo, altrettanti sono i tratti che lo inducono a commetterle.


Perciò, allo stesso modo in cui abbiamo parlato delle Mitzvot che più richiedono di ripulirsi, nel senso di [evitare] gli gli ostacoli in cui la gente ha l'abitudine di inciampare, parleremo ora in dettaglio dei vizi più importanti, perché sono frequenti. Essi sono: l'orgoglio, l'ira, l'invidia, il desiderio. Tutti questi sono brutti difetti la cui malvagità è nota e riconosciuta, tanto da non richiedere alcuna prova: sono dannosi di per sé stessi e hanno anche pessime conseguenze, perché sono tutti estranei alla ragione e ognuno di essi è sufficiente per condurre l'uomo a commettere gravi peccati.


  • Riguardo all'orgoglio, c'è un versetto esplicito che dice (Deut. 8, 14): "E il tuo cuore si inorgoglirà e dimenticherai il Signore tuo D-o".

  • Riguardo all'ira, dissero i Maestri di benedetta memoria (si veda Talmud Bavli, trattato Shabbat 105b): "Considera chi si arrabbia alla stregua di uno che rinnega i princìpi [della Torà]".

  • Riguardo all'invidia e al desiderio fu già insegnato esplicitamente (Massime dei Padri 4, 21): "L'invidia, il desiderio e gli onori accorciano la vita dell'uomo".

E infatti l'osservazione necessaria è che bisogna evitare questi [difetti] e tutti i loro derivati, poiché sono tutti rami distorti di una vite corrotta41. E ora li discuteremo uno a uno.


Il principio dell'orgoglio è che l'uomo ha una grande stima di sé stesso e immagina in cuor suo che a lui spettano le lodi. Tuttavia ciò può essere la conseguenza di numerosi e diversi ragionamenti, perché alcuni si ritengono intelligenti, altri si compiacciono del loro bell'aspetto, altri pensano di essere onorevoli, altri si compiacciono delle loro ricchezze, altri si considerano esperti. In regola generale: chi pensa di possedere una qualunque delle cose buone di questo mondo rischia di sprofondare nel pozzo della superbia. Inoltre, una volta che l'uomo si è fermamente convinto di essere importante e degno di elogi, questo pensiero non conduce a una unica conseguenza, bensì ne genera molte, diverse tra di loro e a volte addirittura opposte, benché tutte derivino dalla stessa radice e abbiano la stessa finalità. Esiste infatti un tipo orgoglioso che per via del fatto che pensa di meritare elogi e di essere una persona di grandi pregi e qualità, si convince che gli si addice di tenere una condotta particolare e marcata da grandi onori; quando cammina, quando si siede, quando si alza, quando parla e in tutti i suoi atti: cammina sempre con una calma estrema, posando il tallone davanti all'alluce, invece di sedersi si corica, si alza in piedi piano piano come un serpente, parla solo con le persone più in vista e perfino con loro si limita a poche frasi, come i monaci idolatri; e anche in tutti i suoi altri gesti, movimenti e attività, nel suo modo di mangiare, bere, vestirsi e in tutto il suo modo di fare si comporta con grande pesantezza, come se tutta la sua carne fosse di piombo e tutte le sue ossa fossero di pietra o di sabbia.


Esiste anche un altro tipo di orgoglioso il quale pensa che, essendo lui degno di lodi e ricco di pregi, deve per forza terrorizzare la gente e far sì che tutti tremino di fronte a lui, perché non accetta che gli altri vengano a parlargli e a presentargli delle richieste. E se osano andare a parlare con lui, con la sua voce li spaventa e con il soffio delle sue labbra li riduce al silenzio, rispondendo con durezza e con un volto adirato, in qualsiasi momento e a qualunque ora.


Esiste anche un altro tipo di orgoglioso, il quale pensa di essere giunto a un tale livello di lustro e di nobiltà che gli onori sono ormai indissociabili dalla sua persona al punto da non averne più nessun bisogno; e per provarlo si comporta umilmente e rinuncia al proprio rango, dimostrando grande modestia e infinita umiltà: il suo cuore si insuperbisce nel pensiero di essere talmente eccelso e venerabile da non avere nessun bisogno di onori e di poter rinunciare a essi, avendone già in grande quantità.


Esiste anche un altro tipo di orgoglioso che vuole essere considerato speciale nelle sue virtù ed eccellente nelle sue azioni, al punto che non gli basta ricevere i complimenti di tutti per i pregi che pensa di avere; egli pretende anche che gli vengano dedicate altre lodi sperticate sulla sua eccezionale umiltà. Il risultato è che costui si fa un vanto della propria umiltà e pretende che venga celebrata la sua apparente fuga dagli onori. Una persona che ha questa sorta di vanità si abbassa frequentemente al di sotto del livello di persone molto più semplici o della gente più misera pensando di mostrare in questo modo il massimo dell'umiltà; egli rifiuta ogni appellativo prestigioso e respinge tutte le lodi, pensando dentro di sé che nessuno al mondo sia saggio e umile quanto lui. E tuttavia agli orgogliosi di questo tipo, benché a priori si mostrino umili, non mancheranno inciampi che a loro insaputa riveleranno la loro superbia, come una fiamma che divampa da una fornace. E i Maestri di benedetta memoria già proposero questo esempio (Midrash Bamidbar Raba, Korach, 17): "Come una casa piena di paglia, con dei buchi [nei muri] nei quali la paglia penetrava: col tempo, la paglia che era nei buchi cominciò a uscire all'esterno, cosicché tutti scoprirono che quella era una casa [piena] di paglia". Anche nel nostro caso, [questi orgogliosi] non potranno camuffarsi per sempre e le loro azioni riveleranno i loro cattivi pensieri perché la loro è una umiltà fasulla e una modestia ipocrita.


Esiste anche un altra categoria di orgogliosi la cui vanità è celata in cuor loro e non viene mai professata: tuttavia essi pensano in cuor loro di avere molta saggezza, di possedere grandi e precise conoscenze e che poche persone si trovino a quei livelli di saggezza; perciò non prestano attenzione alle parole del prossimo, pensando che ciò che è impegnativo per loro non può essere semplice per gli altri e che ciò che la loro mente considera chiaro è così evidente che non fanno caso a chi ha un parere diverso dal loro - che si tratti di uno dei Primi Maestri o di un Maestro recente42 - e non hanno nessun dubbio riguardo alle loro convinzioni.


Tutte queste sono conseguenze dell'orgoglio che fa regredire i saggi e rende insensata la loro conoscenza43 e devia il cuore dei più grandi saggi: e gli allievi che non hanno ancora studiato abbastanza, perfino quelli che sono sul punto di aprire gli occhi44, pensano di essere già i più grandi dei saggi. E di tutti loro è detto (Proverbi 16, 5): "Tutti i cuori orgogliosi sono un abominio per Hashem" e chi vuole [acquisire] la virtù dell'integrità deve ripulirsi da tutte queste forme [di orgoglio] e deve anche sapere e capire che la vanità è una vera e propria cecità che impedisce alla ragione dell'uomo di vedere i propri difetti e di riconoscere la propria bassa condizione. Perché se potesse vedere e riconoscere la verità, si distoglierebbe e si allontanerebbe il più possibile da tutte quelle strade perverse e corrotte. E ne parleremo ancora con l'aiuto del Cielo quando tratteremo della virtù dell'umiltà45 che, per via delle grandi difficoltà che si incontrano per acquisirla, è stata posizionata tra le ultime nella Braita di Rabbi Pinchas46.


E ora parleremo dell'ira.


Esiste un tipo di persona irascibile di cui si dice (si veda Talmud Bavli, trattato Shabbat 105b) "Chi si arrabbia è come se praticasse l'idolatria": si tratta di chi si arrabbia ogniqualvolta viene fatta una cosa contraria alla sua volontà e si riempie di collera al punto da perdere il controllo della mente e dei sentimenti: una persona di questo tipo sarebbe in grado di distruggere il mondo intero, se ne avesse la possibilità, perché la ragione non ha nessuna presa su di lui, fuori di senno come le bestie feroci; e di lui è detto (Giobbe 18, 4): "Tu che ti divori nel tuo furore, forse che per te la Terra sarà abbandonata?". Ed è certamente propenso a commettere tutti i tipi di trasgressioni esistenti, se la sua ira lo spinge a farlo, perché il suo unico movente è la sua collera e laddove essa lo porta lui andrà.


C'è un altro tipo di persona irascibile, molto diversa dalla precedente: è un tipo che non si arrabbia per qualsiasi cosa accada, piccola o grande che sia, che non sia conforme alla sua volonta, ma quando si mette in collera, la sua ira sarà furiosa, secondo la definizione dei Maestri (Massime dei Padri 5, 1): "Difficilmente si arrabbia, ma si calma con difficoltà". E anche questo è sicuramente un male, perché quando è in collera può provocare un danno che non riuscirà più a riparare in seguito.


Esiste anche un tipo meno irascibile, che non si adira facilmente e perfino quando si arrabbia la sua è un'ira misurata: non perde la ragione e contiene la sua rabbia. Costui è meno propenso a combinare guai rispetto ai primi due che abbiamo descritto, ma sicuramente non ha ancora raggiunto lo stato di integrità, perché non è ancora arrivato nemmeno a quello della prudenza. Difatti, fintantoché la collera ha presa su di lui, non esce dal novero degli irascibili.


Esiste pure un grado ancora più contenuto di questo e include chi si arrabbia difficilmente e quando lo fa non si tratta di una furia distruttrice e devastante, bensì di una lieve contrarietà, che dura un attimo e nulla più, cioè il tempo che intercorre tra il momento in cui sorge istintivamente la rabbia in lui e il momento in cui la ragione si desta e le si oppone; di costui dissero i Maestri di benedetta memoria (ibid.) "Difficilmente si arrabbia e si calma con facilità" ed è certamente un carattere positivo, perché l'uomo ha una tendenza naturale ad arrabbiarsi e se riesce a dominarsi al punto che perfino nel momento in cui si arrabbia la sua collera resta limitata e a controllarsi al punto che perfino questa lieve contrarietà non dura a lungo bensì passa e svanisce, merita certamente elogi. E riguardo al versetto (Giobbe 26, 7) "Egli sospende la Terra nel vuoto" dissero i Maestri (Talmud Bavli, trattato Chulin 89a) che "il mondo sussiste solo per chi si trattiene47 durante una lite", cioè quando che la rabbia si è già istintivamente manifestata in lui e ciononostante egli riesce a frenare la sua bocca.


Ma la virtù di Hillel l'anziano le supera tutte, perché non si contrariava mai per nessun motivo e la rabbia non cominciava nemmeno a destarsi in lui48: questo carattere è certamente del tutto integro riguardo all'ira.
E perfino per una Mitzvà i Maestri di benedetta memoria ci hanno raccomandato di non arrabbiarci e questo vale perfino per il maestro con il suo allievo e per il padre con il figlio. Ciò non significa che non bisogna punirli, anzi [se necessario] che li puniscano pure, ma senza rabbia, solo per condurli sulla retta via; e che la loro collera apparente sia solo una collera del volto ma non una collera dei cuori. E disse il re Salomone (Kohelet 7, 9): "Non ti affrettare come da tua indole ad adirarti ecc." ed è detto (Giobbe 5, 2): "Poiché l'ira uccide il dissennato". E dissero i Maestri (Talmud Bavli, trattato Eruvin 65b): "L'uomo si riconosce da tre cose: il suo bicchiere, la sua tasca e la sua collera49."


Anche l'invidia non è altro che ignoranza è stupidità, perché l'invidioso non solo non ne ottiene nulla, ma nemmeno toglie alcunché alla persona invidiata. In fin dei conti ci perde solo lui, come nel versetto che abbiamo evocato in precedenza (Giobbe 5, 2): "E l'invidia uccide lo stolto". Infatti, esistono persone così stupide che quando scorgono un bene nel prossimo perdono le forze, si inquietano e si dispiacciono, al punto che non riescono nemmeno ad approfittare dei propri beni, tanto sono attristate da ciò che vedono in mano al prossimo. Questo è ciò che disse di loro il saggio [re Salomone] (Proverbi 14, 30): "L'invidia fa marcire le ossa".


Altri invece non si dispiacciono e non si addolorano in questa misura, ma provano comunque un certo dispiacere, o quantomeno si raffreddano nel vedere qualcuno che sale un gradino più in alto, quando non si tratta di uno dei propri più cari amici; a maggior ragione se si tratta di qualcuno per cui non si prova grande simpatia e ancor di più se si tratta di un forestiero proveniente da una terra straniera. E puoi notare che a volte possono pronunciare parole di gioia o riconoscere che [quel tale] se lo merita, ma il loro cuore si consuma dentro di loro . E questa è la reazione più frequente nella maggior parte delle persone, perché pur non essendo veramente invidiosi, non sono del tutto immuni da questo [difetto].


Questo è ancora più vero se chi esercita la stessa professione ha successo, poiché ogni artigiano odia il suo concorrente (Midrash Bereshit Raba 19) e a maggior ragione se ha più successo di lui. E se sapessero e se capissero che nessuno può intaccare nemmeno un capello di ciò che è destinato al prossimo50 e tutto proviene da Hashem51, secondo i Suoi piani imperscrutabili e la sua impenetrabile saggezza, non avrebbero assolutamente nessun motivo di rammaricarsi per il successo altrui. E questo è ciò che profetizzò il profeta per i tempi futuri, quando il Santo, benedetto Egli sia, rimuoverà dai nostri cuori questo spregevole vizio [dell'invidia] affinché il bene del popolo ebraico sia completo: allora, nessuno più si dispiacerà per la riuscita altrui e chi ha successo non dovrà più nascondere sé stesso e i propri beni dalla gelosia [degli altri], come è detto (Isaia 11, 13): "E la gelosia di Efraim verrà rimossa e gli oppressori della tribù di Yehuda scompariranno: Efraim52 non invidierà più Yehuda ecc.".


Questa è la pace e la serenità degli angeli del servizio divino, tutti felici nelle loro mansioni, ognuno al posto che gli compete: nessuno di loro invidia il prossimo in nessun modo, perché tutti conoscono l'assoluta verità e sono raggianti per il bene che incombe loro e felici della loro parte.


E vedrai che l'invidia ha una sorella che è la bramosia, il desiderio, che tormenta il cuore dell'uomo fino al giorno della sua morte, come dissero i Maestri di benedetta memoria (Midrash Kohelet Raba 1): "Nessuno giunge alla morte avendo soddisfatto metà delle proprie ambizioni". E infatti la radice del desiderio è duplice: da una parte i beni materiali, dall'altra gli onori. Ambedue [queste tentazioni] sono pessime e arrecano parecchi guai all'uomo.


Difatti, la brama del denaro imprigiona l'uomo nel carcere del mondo [materiale] e lega sue braccia con le corde della fatica e del travaglio, come nel versetto (Ecclesiaste 5, 9): "Chi ama il denaro non potrà mai saziare il suo desiderio53;" la brama del denaro distoglie l'uomo dal servizio divino e quante preghiere vengono perse e quante Mitzvot vengono dimenticate per l'eccesso di lavoro e per lo sforzo speso in molteplici attività commerciali. E a maggior ragione, quanto viene tralasciato lo studio della Torah! E già dissero i Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Eruvin 55a): "Il versetto (Deut. 30, 13) 'Non si trova al di là del mare' parla di coloro che viaggiano oltremare per commercio". E abbiamo imparato nelle Massime dei Padri (Avot 2, 5): "Non tutti coloro che si occupano troppo di affari acquistano saggezza", perché è [la brama del denaro] a spingere l'uomo a correre molti pericoli e attraverso le molte preoccupazioni consuma le sue forze, anche dopo che ha accumulato molte ricchezze; e abbiamo imparato (ibid. 2, 7): "Chi possiede molti beni ha molte preoccupazioni". È [la brama del denaro] a spingere spesso a trasgredire le Mitzvot della Torà e perfino le regole naturali dettate dalla ragione.


Ma ancora più forte è la brama degli onori, perché l'uomo può dominare il proprio istinto per quanto riguarda il denaro e gli altri piaceri, mentre invece gli onori sono più pressanti, poiché egli non può sopportare di sapersi a un livello inferiore a quello degli altri; e molti sono caduti in questa trappola e sono finiti male. Per esempio, a Yerov'am [Geroboamo] figlio di Nevat fu vietato l'accesso all'Olam Haba [il Mondo Futuro] solamente per [aver preteso] onori, come dissero i Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Sanhedrin 102a): "Il Santo, benedetto Egli sia, lo prese per il vestito e gli disse: 'pentiti, cosicché Io, tu e il figlio di Ishay54 cammineremo nel Gan Eden.' Gli chiese: 'Chi starà davanti?' Gli rispose: 'Il figlio di Ishay starà davanti.' [Yerov'am] rispose: 'Se è così, non mi interessa'."


Cosa ha provocato la perdita di Korach55 e di tutta la sua assemblea insieme a lui? La [ricerca degli] onori, come confermato esplicitamente dal versetto (Numeri 16, 10): "E pretendete anche una carica!" e i nostri Maestri di benedetta memoria ci hanno raccontato (Midrash Bamidbar Raba 18) che tutto ciò avvenne perché [Korach] aveva visto Elitzafan figlio di Uziel [diventare] principe e avrebbe voluto essere lui principe al posto suo. E secondo il parere dei nostri Maestri di benedetta memoria (Zohar Bamidbar 158a), è la [ricerca degli] onori che ha indotto gli esploratori a dire del male della Terra [d'Israel], provocando così la loro propria morte e quella di tutta la loro generazione: essi temevano che una volta giunti alla Terra [promessa] il loro status sarebbe diminuito e avrebbero perso la loro carica di principi d'Israel a vantaggio di altri, nominati in vece loro.


Perché [il re] Saul cominciò a perseguitare [il re] David? Solo a causa dell'onore, come è detto (Primo Libro di Samuele 18, 7-9): "E le donne risposero dicendo gioiose: 'Saul ne ha colpiti migliaia e David miriadi56.' [...] E a partire da quel giorno Saul trattò David con ostilità". Cosa spinse Yoav a uccidere Amasa? Solo [la ricerca dell']onore, perché David aveva detto [riguardo a Amasa] (Secondo Libro di Samuele 19, 14): "Se non sarai il capo del mio esercito per sempre [al posto di Yoav]".


La regola generale dice che di tutte le tentazioni e le passioni del mondo, quella che più di tutte esercita pressione sul cuore dell'uomo è l'onore, senza il quale egli si accontenterebbe del proprio livello di vita, di vestirsi per coprire il proprio corpo e di abitare in una dimora che lo protegga dalle intemperie, facendo sì che procurarsi i suoi fabbisogni gli sia agevole: sarebbe libero dal bisogno di compiere grandi sforzi per accumulare ricchezze, ma per non vedersi al di sotto e inferiore agli altri, egli si impone questo pesante fardello cosicché la sua fatica non ha più fine. Perciò dissero i Maestri di benedetta memoria (Massime dei Padri 4, 21): "L'invidia, il desiderio e gli onori accorciano la vita dell'uomo". E ci hanno messi in guardia (ibid. 6, 5): "Non cercare grandezza e non desiderare gli onori". Quanta gente si riduce alla fame e si umilia vivendo di elemosina piuttosto che scegliere un lavoro che non considera dignitoso, temendo che gli venga a mancare il rispetto [degli altri]! Esiste qualcosa di più stupido? E preferiranno l'ozio, che conduce alla follia e alla depravazione, all'inganno e a tutti gli altri tipi di trasgressioni, tutto ciò per non sminuire la propria condizione e svilire il loro fantomatico onore. Eppure, i nostri Maestri di benedetta memoria, che ci hanno sempre insegnato e indicato le vie della verità, dissero (Massime dei Padri 1, 10): "Ama il lavoro e disprezza gli onori". E dissero anche (Talmud Bavli, trattato di Pesachim 113a): "Scuoia una carcassa al mercato piuttosto che dire: sono un gran signore, sono una persona importante". Dissero anche (ibid., trattato Baba Batra 110a): "Che l'uomo preferisca sempre un lavoro che non si addice [al suo rango], piuttosto che ricorrere all'aiuto del prossimo".


La regola in questo argomento è che la ricerca degli onori è uno dei maggiori ostacoli che si pongono davanti all'uomo e non gli è possibile servire fedelmente il Creatore quando è preoccupato per il proprio prestigio personale, poiché comunque la sua stupidità imporrà un limite all'onore che egli rende a Hashem. Questo è ciò che disse il re David, la pace sia su di lui (Secondo Libro di Samuele 6, 22): "Mi umilierei ancora di più e mi considererei una persona di poco conto". E il vero onore è unicamente l'autentica conoscenza della Torà. E dissero anche (Massime dei Padri 6, 3): "Non vi è onore all'infuori della Torà, come è detto (Proverbi 3, 35): 'I saggi erediteranno gli onori'." E senza la Torà l'onore è puramente illusorio e immaginario, una inutile vanità. Per riuscire, conviene alla persona integra ripulirsene e purificarsene completamente.


Ecco ho incluso fin qui molti dei dettagli dell'integrità e questo schema si applica anche a tutte le altre Mitzvot e virtù: "Che il saggio ascolti e ne apprenda una morale e che l'uomo ragionevole ne tragga delle astuzie" (Proverbi 1, 5).


Non posso negare che per raggiungere questo [livello di] integrità sia necessario un po' di sforzo, ma secondo me non tanto quanto appaia a priori. E in questo argomento, la riflessione è più difficile dell'azione: infatti, chi si convince in cuor suo e stabilisce fermamente la propria volontà di far parte delle persone che possiedono questa virtù, adottando gradualmente questa abitudine, la troverà molto più accessibile di quanto pensasse: e questa è una cosa che l'esperienza dimostra essere vera.

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Note del traduttore:
[1] I Maestri usano due termini distinti a questo riguardo: il Gazlan (chi commette Ghezel) indica chi si appropria apertamente e a volto scoperto di ciò che appartiene ad altri; il Ganav invece è chi ruba di nascosto perché teme di essere scoperto. Il lettore sappia che il Talmud biasima il secondo ancora più del primo, perché nascondendosi dimostra di temere il giudizio degli uomini ma non il giudizio divino.
[2] Qui si parla del Ghezel, l'estorsione commessa alla luce del sole.
[3] Questo invece è il furto perpetrato di nascosto.
[4] Si tratta di Hamotzì e delle ultime due benedizioni della Birkhat Hamazon, si veda il Mishné Torá di Rambam, Hilkhot Berachot 2, 2.
[5] Saggio dell'epoca della Mishnà, citato come modello di onestà verso il suo datore di lavoro (Talmud Bavli, trattato Makkot 23).
[6] Talmìd Chakhàm (pl. Talmidé Chakhamìm): Letteralmente "allievo di un saggio". Più precisamente, il termine indica un saggio che ha raggiunto un livello tale di erudizione e di conoscenza della Torà da rappresentare il modello della società ebraica tradizionale. È noto il passaggio del Talmud che attribuisce ai Talmidè Chakhamìm il merito di portare la pace nel mondo grazie alla loro opera di diffusione della Torà (voce tratta dal nostro Glossario pubblicato nelle Leggi della Maldicenza del Hafetz Haim, che abbiamo tradotto e pubblicato presso Morashà e sul sito dei Maestri della Torà).
[7] Si veda il Talmud Bavli, trattato Taanit 23b.
[8] Il Talmud afferma che affittare o noleggiare un bene a qualcuno è come vendere quel bene per un tempo prestabilito. Il Ramchal compara dunque il rapporto di un salariato con il suo datore di lavoro all'affitto di un bene materiale.
[9] In modo da ingannare gli eventuali acquirenti, convinti di acquistare merce nuova o quasi nuova.
[10] Il testo originale parla di una Prutà, la più piccola somma di denaro avente una rilevanza economica nella Halakhà. I saggi fissano il suo valore in un quarantesimo di grammo d'argento, che oggi equivarrebbe a poco più di un centesimo di euro.
[11] Come è noto, la pioggia è una delle benedizioni la cui chiave Hashem ha tenuto per Sé. E questa benedizione può essere accordata o meno in funzione del nostro comportamento.
[12] Come testimoniato da Bereshit 6, 11-13. Si veda anche il Talmud Bavli (trattato Sanhedrin 108a).
[13] Si impara dal Salmo (128, 3): "Tua moglie è come una vigna prosperosa".
[14] La generazione della guerra di Midian (Roth).
[15] Letteralmente "una cosa", ciò che significa anche "una parola".
[16] Si consulti Isaia 22, 14 con il commento di Rashi.
[17] Cioè Hashem sarà in collera non solo con chi dice volgarità ma anche con chi le ascolta senza protestare, si veda Rashi.
[18] L'istinto malvagio.
[19] A differenza di quanto sostenuto dallo Yetzer, si veda poche righe più in alto.
[20] Il Karet è una punizione celeste che consiste in una morte prematura, si veda il Talmud Bavli, trattato di Kritut.
[21] I nostri Maestri, quando prendono decisioni giuridiche riguardo all'attuazione dei precetti della Torà.
[22] Il Sifra è un commento al libro del Levitico, redatto dal Maestro Rav in epoca Talmudica.
[23] Si tratta del divieto di suggerire un consiglio fuorviante, si veda Vaykrà (19, 14).
[24] Dalla vergogna. La conclusione della Ghemarà indica che l'obbligo di rimproverare il peccatore non include i casi in cui quel rimprovero lo farebbe vergognare (letteralmente: alterare il suo volto, cioè arrossire e impallidire).
[25] Quindi si tratta di un'immagine, usata per esporre il divieto di proporre qualcosa a qualcuno che per via di una sua debolezza farà necessariamente la scelta sbagliata.
[26] E poiché Hashem conosce i segreti dei nostri cuori, non si può tendere un trabocchetto a chi non può evitarlo e sperare di farla franca.
[27] Per approfondimenti su questo versetto si veda la discussione nel Talmud Bavli, trattato Meghillà 13b.
[28] Chushai diede un consiglio sbagliato a Avshalom, salvando così la vita al re Davide (Secondo Libro di Samuele 15, 32 e seguenti).
[29] Una risposta come questa, che oltre a dare indicazioni pertinenti sul luogo in cui si può trovare il fuoco in quel momento, implica anche che a casa di quel tale il fuoco è sempre acceso e i banchetti conviviali sono frequenti. Questa implicazione, del tutto inutile ai fini della risposta, trasgredisce il divieto di Lashon Harà. Per più dettagli sulla polvere di Lashon Harà si veda il capitolo 9 delle Leggi della Maldicenza.
[30] I quali detrattori sicuramente coglieranno la palla al balzo per dirne del male. Quindi anche chi dice del bene può a volte essere responsabile di una Lashon Harà.
[31] Ebbene sì, non solo fare del male al prossimo ma anche privarlo di un bene dovuto è una forma di vendetta ed è vietata.
[32] Hin o hen significa sì, da cui il gioco di parole che supporta l'invito dei nostri Maestri di benedetta memoria a dire sempre il vero, in ogni sì e in ogni no.
[33] Il re Salomone.
[34] Un cliente avvicinò Rav Safra mentre questi leggeva lo Shemà e non poteva rispondere alle sue sempre crescenti offerte. Alla fine Rav Safra gli vendette il prodotto al primo prezzo proposto (rinunciando a tutte le proposte successive), perché già a quel momento aveva deciso in cuor suo di vendere.
[35] Questo episodio è citato anche nello Shaaré Kedushà di Rabbi Haim Vital.
[36] Va precisato che pur trattandosi di cause di forza maggiore, gli osservatori esterni non lo sanno e ciò non si addice a Rabbi Yochanan (si veda Rashi).
[37] Decreti rabbinici sullo Shabbat, appunto.
[38] Talmud Bavli, trattato Shabbat 103a.
[39] Talmud Bavli, trattato Eruvin 39a.
[40] Solo chi è senza peccati può combattere: la legge ebraica esenta gli altri perché è troppo pericoloso andare in guerra quando si è pieni di colpe.
[41] Espressione tratta da Geremia 2, 21.
[42] I Maestri della Torà vissuti fino all'epoca di Rabbi Yossef Caro (circa 5 secoli fa) sono designati con il nome di Rishonim (primi) e quelli successivi con il nome di Acharonim (ultimi).
[43] Citazione quasi letterale da Isaia 44, 25.
[44] Cioè sono quasi in grado di poter capire da soli senza l'ausilio del maestro (Rot).
[45] Nei capitoli 22 e 23.
[46] Si vedano la prefazione e il primo capitolo.
[47] Gioco di parole tra Bolem (forma del verbo frenare) e Blima (Bli Ma, cioè senza nessuna cosa, ovvero il vuoto).
[48] Si veda il Talmud Bavli, trattato Shabbat 30b.
[49] Cioè dalla sua attitudine verso le bevande alcoliche, dalla sua onestà negli affari e dalla sua capacità ad arginare la collera.
[50] Talmud Bavli, trattato Yoma 38b.
[51] Citazione da Kohelet 9, 2.
[52] All'epoca del regno di Yehuda, la tribù di Efraim contestò la supremazia di Yehuda creando antagonismo tra di loro. La profezia di Isaia ci insegna che questa concorrenza tra le due tribù d'Israel scomparirà prima della fine dei tempi e Efraim riconoscerà il ruolo regale di Yehuda.
[53] Gioco di parole tra denaro e desiderio: in Lingua Santa si dicono ambedue 'Kesef', il cui significato originale è 'argento'.
[54] Si tratta del re Davide.
[55] Si veda tutto il capitolo 16 del libro di Bamidbar.
[56] Cioè lodavano David per aver piegato un numero di nemici dieci volte più grande, ciò che mise in moto la gelosia del re Saul [Shaul].

Testo originale in Ebraico

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